Premio Racconti nella Rete 2020 “Questa discarica non s’ha da fare” di Leonardo Schiavone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020«Oh, ragazzi, in campana che stavolta lo becchiamo», sbraitava il “cencioso” arrivando tutto trafelato.
«Ma chi hai visto, il cadavere del Duce?», scherzò il “roscio” per tutta risposta.
«Vi dico che era lui, l’ho visto coi miei occhi», ribattè il primo, abbozzando un mezzo sorrisetto e mimando una fascia sul petto messa in diagonale.
«Ma chi, Mario? Quel sindaco di merda?»
«E chi se no. Non stavamo parlando proprio di lui ieri sera? E’ entrata prima quello scorfano di sua moglie e subito dietro anche lui.»
«Ma allora è un’occasione che non possiamo farci scappare, ragazzi. Corriamo a dargliene quattro a quel miserabile venduto», convenne l’unica ragazza del gruppetto.
Dal crocchio che stazionava ai giardinetti, si staccarono frettolosamente in quattro e marciarono decisi verso il fruttivendolo che affacciava sul marciapiede di fronte.
Mario era girato dando le spalle all’entrata, intento a fissare il proprio cellulare, mentre la moglie concionava col verduriere, arrotolando bene le “erre” di rape e carote.
Il primo cittadino di Colle Pizzo Papero sentì solo il tonfo di un melone che si sfrantumava contro la propria nuca. Poi si ritrovò nella baldoria più totale.
«Quanto hai preso di mazzetta per i tuoi loschi giochini, brutto stronzo?», gli urlò in faccia senza troppe perifrasi il “cencioso”, quello che sembrava il più minaccioso della risma.
«Sì, sì, sei proprio uno stronzo», gli fece eco la sua ragazza che sfoggiava il lato sinistro della testa completamente rapato, arricchito da abominevoli piercing nasali e sopracciliari.
E poi giù spintoni, sputi e minacce naso contro naso, da far presagire l’immediato colpo di capoccia.
La selva di insulti non lasciava scampo. Era interrotta unicamente da lanci di pomodori, peperoni e qualunque altro ortaggio capitasse sottomano, con cui bersagliavano il sindaco altri due ragazzi sopraggiunti a dare man forte.
«Oh Maronna mia!», tuonò Peppiniello il fruttivendolo, con gli occhi fuori dalle orbite.
«Questi peperoni sono della mia campagna… ueh fetentoni, non me li potete sfracagnare così, fatelo per l’anima dei muorti!»
Mario, il “sindachicchio”, come l’avevano soprannominato in paese, fu colto alla sprovvista. Facendo attenzione a non pestare i propri occhiali finiti sul pavimento, ebbe giusto un singulto e non trovò di meglio che rispolverare un vecchio classicone:
«Non è come pensate, posso spiegare tutto».
Non finì neppure di dirla completamente quella frase. Servì solo a fare da spartiacque fra un “prima” e un “dopo”, in cui si ritrovò con l’occhio sinistro vistosamente ammaccato. Il “secco”, nuova promessa dei pesi piuma, era uno che parlava poco, ma il suo gancio non aveva perdonato. Soprattutto, non avevano alcuna intenzione di perdonare tutti gli altri compagni che erano con lui.
«Ueh, bello, la discarica qui non la fai. Mai e poi mai. Cacciatelo bene in testa», ringhiò un altro di quei ceffi. Poi anche il “rasta” volle dare il proprio pregevole contributo alla discussione. Afferrò il cetriolo più grosso che vide su un banchetto, si scrollò i capelli posticci e minacciò senza troppi giri di parole:
«Altrimenti, questo cetriolo te lo faccio ingoiare tutto intero, ma solo dopo averlo fatto assaggiare a tua moglie.»
Il linguaggio rude di quei giovani del Centro Sociale non lasciava margini di equivoci.
La signora quest’ultima chiosa se l’era persa, però!
Da lontano si sentivano già le sirene delle volanti che Magda, la moglie del borgomastro, aveva allertato, riuscendo precipitosamente a sgattaiolare fuori dalla rissa.
«Via, via, meniamo le tolle», fu il segnale di ritirata del “cencioso”.
Alla luce dei lampeggianti in avvicinamento, i cinque sciagurati se la diedero a gambe.
Il sindaco era rimasto ancora in piedi, con una cassetta della frutta infilata fra capo e collo, acciaccato in ogni dove. Il fruttivendolo, invece, seduto a terra a gambe divaricate, con le spalle appoggiate al bancone e la pappagorgia tremolante, si sventolava e si asciugava la fronte con uno strofinaccio, ancora incredulo per quanto era successo.
L’entrata dei primi agenti fu il momento d’oro per Magda, che cominciò a raccontare gesticolando vorticosamente, scordandosi persino di respirare. E prima usava la forma attiva, e poi ripeteva tutto in forma passiva, e poi ricominciava daccapo aggiungendo nuovi dettagli, e poi cambiava interlocutore, gli pinzava un braccio e riferiva convulsamente per l’ennesima volta ogni particolare, compreso la sfumatura di rosso dei pomodori che erano volati.
«Ora basta», sbottò il maresciallo dei Carabinieri con fare scorbutico, «siete tutti co-co-convocati in ca-caserma questo pomeriggio alle quattro in pu-pu-punto. E… e… eeeee… adesso, ditemi quale direzione hanno preso quei ba-balordi quando sono sca-sca-scaaappati».
Il maresciallo Incespica, corredato da sopracciglia talmente folte da poterci organizzare dentro una caccia al cinghiale, confabulò un po’ con la Centrale Operativa e le volanti ripartirono a sirene spiegate.
Dall’adiacente negozio del parrucchiere, Mario sentiva parlare già di vile aggressione e quasi gongolava credendo che riguardasse proprio lui. La radio era accesa e c’era stato l’ennesimo attentato terroristico. Il “sindachicchio” rientrò subito nelle sue misure.
“Curre curre guagliò”. Però questi le mazzate, più che pigliarle, le danno.
Non sarebbe male come sceneggiatura.
Ciao.
Un racconto spassoso pieno di ortaggi. Uno spaccato di realtà raccontato in modo leggero.
Un bel siparietto, dai tempi rapidi e ben scanditi e con personaggi dettagliati al punto giusto! Da Schiavo a Schiavone, complimenti, mi è piaciuto!
Grazie a tutti: vi ho foraggiato adeguatamente, ma è stato un buon investimento (^_^)
Le mascherine sono molto caratterizzate e credibili, forse valeva la pena enfatizzare ancora un po’ il finale. Bello.
Grazie per l’osservazione, Gianna, ma in questo caso ho preferito una narrazione più asciutta proprio per conferire più impatto.
Comunque, la sintesi è un difetto che mi riconosco ed invidio le donne che in questo ambito hanno sempre una carta in più; una fantasia che consente loro di tirare talmente tanto una frase fino a ricavarne un intero romanzo. Io, ahimé, credo di non esserne proprio capace.
Fortunatamente, anche il racconto breve è un genere assai gustoso. È una sfida che può dare grandi soddisfazioni nel riuscire a cristallizare, in poche righe, storie che regalano emozioni e piacere di lettura. Quelli bravi riescono ad assemblare davvero delle piccole perle, beati loro!
Non vorrei essere nei panni di Mario, primo cittadino di un paese il cui nome lo rende già una macchietta. Un racconto ben congegnato, divertente e fresco. I miei complimenti
Caro Leonardo, concordo con te nell’affermare che si può dire molto dicendo poco. Come sottolineava un noto musicista jazz, “la nota migliore è quella che non suonerai”. Bisogna lasciare un po’ di spazio e di “lavoro” anche al lettore. E, comunque, a questo racconto non manca proprio niente. Bravo!
E’ vero! E’ già una sceneggiatura: tutto reso in modo visivo, con annotazioni d’ambientazione precise e dialoghi sincopati. Una bella scena!
Spassoso racconto dalle interessanti caratterizzazioni, tutte sopra le righe, dalle sopracciglia del maresciallo dei Ca-Ca-Carabinieri, ai ‘muorti’ di Pippiniello, al sindachicchio travolto da frutta e verdura per finire alla moglie logorroica. Bravo!
La tua scrittura è molto caricaturale, molto visiva, molto farsesca. è la tua “voce” come dicono gli insegnanti di scrittura. Sul finale si perde un po’ di pathos e forse avresti avuto bisogno di più caratteri rispetto a quelli richiesti.
Davvero uno spaccato, reso molto bene, da una scrittura frizzante, efficace e visiva! Mi è sembrato di vedere la scena e ho apprezzato la tua capacità di tratteggiare bene i personaggi, che risultano un po’ macchiettistici, veri tipi umani. Bello, bravo! Poteva anche concorrere nei corti 😉
Siparietto davvero divertente. Ben gestiti i personaggi. Gli ortaggi come “armi improprie” ci stanno a pennello. 🙂
Un racconto che mi ha divertito, grazie a una scrittura leggera e al tono farsesco che qui ci sta proprio bene.