Premio Racconti nella Rete 2020 “Il filo” di Alessia Scali
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Ecco, hai appena tirato fuori dall’armadio tutto il necessario e l’hai poggiato con cura sul letto.
Valigia: piccola ma capiente. Quattro camicie, tre pantaloni, una giacca, svariate maglie di lana, tre paia di calzini e sei mutande che con il tuo colon irritabile non si sa mai. Il pigiama a quadretti. Lo stretto necessario per tre giorni di viaggio. A te non piace viaggiare anzi lo odi proprio, e mentre giri nervosamente nella stanza, ti chiedi perché diavolo hai accettato l’incarico.
Di solito non esci mai da casa ma questa volta devi essere impazzito, non c’è altra spiegazione. Vai in salotto e ti accasci sulla poltrona, già pronto per la neuro ma poi ti chiedi chi può stabilire davvero chi è pazzo e chi non lo è? Non certo tu che vai dallo psicologo appena un paio di volte la settimana. Mica come quella stronza del piano di sopra che, oltre allo psicologo da cui va cinque giorni la settimana, mangia solo tofu, pratica yoga, canta a squarciagola dei mantra tibetani e a quanto ti ha detto il portiere fa pure sesso tantrico.
Ridi isterico perché sai che il sesso tantrico non esiste. Quella volta che ci hai provato non ha funzionato e il fatto che tu fossi da solo non conta. Ancora seduto prendi il ventaglio, hai caldo, e ti sbottoni pure la camicia. Durante la vostra ultima seduta lo psicologo ti ha detto che devi uscire di più, vedere gente, fare cose insomma ma tu di cose ne fai già abbastanza: un lavoro che svolgi da casa, lo psicologo appunto e poi la domenica a pranzo da tua madre. Mettici pure la casa da tenere pulita, un’ora al giorno su You Porne e la settimana è finita. Sul tavolino accanto alla poltrona c’è un carillon, lo prendi e lo apri. Ti è sempre piaciuto il suo suono, di solito ti mette di buonumore ma questa volta è diverso. Nel carillon c’è un piccolo specchio, ti guardi il viso. Del naso ti danno fastidio i peli, li tagli ogni due giorni ma quelli continuano a crescere.
Sorridi e almeno i tuoi denti sono una garanzia. Ci tieni tanto al tuo sorriso ma devi ancora controllare il kit di base: spazzolino, dentifricio, scovolini, filo interdentale, specchio anti-nebbia e falce dentale per il tartaro. La sirena di un’ambulanza ti distrae. Ti alzi e torni in camera da letto a finire la valigia. Sul fondo riponi le scarpe avvolte in un sacchetto di stoffa e a salire tutto il resto. Controlli il kit nel beauty, manca il filo interdentale. Vai in bagno e non lo vedi, cerchi nei cassetti, nella doccia, dietro il bidè. Controlli anche tra i vestiti, dentro l’armadio, sotto le lenzuola ma niente. Provi a ricordare quando l’hai visto per l’ultima volta ma lo sforzo ti fa ruttare. Non hai ancora digerito la cena ma hai già fame, ti gira la testa. Lasci perdere la valigia e vai in cucina, prendi il vasetto dello zucchero e un cucchiaio e cominci a pescare a caso ma ne tiri fuori poco o niente perché il vaso è quasi vuoto. Poi ti dici che in questi casi è meglio il sale e ne butti giù mezzo cucchiaino ma solo allora ti ricordi che è da un po’ che non controlli la pressione. Apri la credenza e accanto ai piatti c’è lo sfigmomanometro. Lo prendi, infili il bracciale di gomma, gonfi la pompetta fin quando non senti più la pulsazione dell’arteria del polso e rilasci la valvolina, lentamente. Ecco, lo sapevi, hai centocinquanta su ottantacinque. Sei a rischio ictus e i piedi ti si sono gelati nelle ciabatte.
Ti dici che forse è arrivata la tua ora e ti rimetti seduto in poltrona, ormai la camicia è zuppa, pensi di avere la febbre e maledici il riscaldamento centralizzato, poi ti chiedi come hai potuto decidere di partire ad aprile che non è proprio il mese giusto per mettersi in viaggio. Avresti preferito agosto, pure luglio ma aprile proprio no. Almeno però non è Pasqua che poi ogni anno viene sempre diversa e non hai mai capito questa storia di Cristo e della resurrezione che poi non è che sulle tombe scrivono di qualcuno nato il venticinque dicembre e morto fate un po’ quando vi pare. E poi chi ti dice che è morto davvero o magari è tutta una leggenda come per Elvis? Ripensi al filo e ti convinci che a prenderlo sia stata la filippina che viene il lunedì. Ti scoppia un terribile prurito in un orecchio. Riesci a resistere solo per un po’ poi cedi e cominci a grattarti con il mignolo finché non lo senti andare a fuoco. Smetti e sei sfinito. Guardi la finestra e fuori piove. La tua vita è davvero un inferno e la tua salute è ormai al limite. Tossisci. La tua bronchite sta peggiorando, e tutta questa umidità non farà bene alle tue ossa. Le medicine però le hai prese ma non sai se ti basteranno per tutto il viaggio così decidi di portare anche qualche siringa, casomai dovesse servirti per un’iniezione. Con l’influenza che gira.
Insomma, era già tutto abbastanza incasinato così che anche il tuo capo si è sbalordito quando gli hai risposto che saresti andato a Bologna per quel convegno, convincendolo che da Milano è solo un’ora di treno e in quella città non si perde neanche un bambino. Avevi riso della tua stessa battuta, il tuo capo no. Solo adesso ti rendi conto che a Bologna potresti perderti lo stesso o peggio essere derubato. Per non parlare poi delle temperature che lì sono piuttosto rigide e tu hai sempre freddo e neanche a ferragosto ti levi la maglia di lana. Fai mente locale sul filo, non vuoi darti per vinto. Ti alzi e torni di nuovo in camera da letto, stavolta cerchi tra i vestiti sporchi e finalmente lo trovi, ti era caduto nel cesto pronto per la lavanderia. Ti senti sollevato, pensi di meritarti una coca cola. Vai in cucina, apri il frigo e trovi l’ultima lattina, ti senti pure fortunato.
Ti rimetti in poltrona, la apri e bevi un paio di sorsi poi ripensi al viaggio e al fatto che non conosci neanche il nome dell’albergo. Non hai avuto il coraggio di chiederlo a quella zitella acida della Mirella che ti odia a sufficienza per averti prenotato una bettola con cimici di benvenuto, sicuro. Ti senti lo stomaco bloccato, come un sasso. La coca ti fa malissimo e non capisci come ti sia potuto saltare in mente di berla. Senti già le viscere pronte alla corrosione definitiva. Appoggi la lattina sul tavolino proprio accanto al piatto della cena in cui hai lasciato un pezzo di pane. Lo prendi e lo sgranocchi. Pensi che forse ti farà bene, pensi che forse quell’amido eviterà la catastrofe finale. Alla fine ti rialzi, devi sbrigarti. Il beauty l’hai già preparato ma devi metterci dentro il filo ritrovato. Lo controlli e ti accorgi che la confezione è vuota. Hai un tremore. Sai già che non puoi stare tre giorni senza, metti che poi ti s’incastra qualche verdura lì in mezzo e che figura ci fai? Senti una fitta al petto ma il cardiologo ti ha detto che al cuore non hai niente allora provi a calmarti, bevi un bicchiere d’acqua ma è inutile. Sai bene che sono le due di notte e non è che puoi uscire da casa così e andare nel primo posto che capita a cercare il filo interdentale.
Già ti vedi al market h24 del pakistano dietro l’angolo a chiedere quello leggermente gommato, da viaggio, marca perlax, che ci tieni al bianco dei tuoi denti. Quello come minimo tira fuori un machete e ti fa fuori all’istante. Soprassiedi e decidi che in quelle condizioni non puoi più partire. Devi avvisare il tuo capo ma poi cosa gli dici? “No, guardi dottore, è che mi mancava il filo per pulirmi i denti”. Seguirebbe immediato licenziamento. Nella stanza fa ormai un freddo cane e ti gocciola pure il naso ma non puoi più tornare indietro, sai che ti sei fregato da solo ma almeno per il filo devi rimediare. Cammini in lungo e largo nello stretto corridoio finché hai un’illuminazione. Apri freneticamente un cassetto in cucina, lo svuoti, ne apri un altro e infine un terzo e alla fine lo trovi. Un filo bianco, immacolato, igienico, per cucinare. E’ ancora sigillato, non lo hai mai usato e sei sicuro di non averlo nemmeno comprato tu. Immagini che sia stata la filippina ma poi, sarà l’effetto della caffeina nella coca cola, hai uno scatto di energia e vai rapido in bagno.
La lampadina funziona a scatti, decidi di cambiarla ma un’altra volta. Preferisci non perdere tempo, ti concentri e procedi. Tagli il filo, lo infili tra i denti, provi a muoverlo avanti e indietro ma ti rendi conto che quello non esce più. Imprechi qualcosa di incomprensibile mentre il filo resta lì, bloccato nella tua cavità orale. A un tratto e senza nessun preavviso vedi il sangue che ti cola dalla bocca, scivola sul mento, e goccia a goccia cade nel lavandino. Ti scoppia pure il mal di testa ma tu continui a tirare e con un colpo secco riesci a sfilarlo. Ti guardi allo specchio e sei soddisfatto almeno finché non apri la bocca e ciò che vedi ti lascia sgomento. Abbassi lo sguardo e lo avvisti, lì, isolato, vicino al tappo, tutto sporco, l’incisivo, andato. Non ti senti molto bene, stai per svenire ma prima pensi che Freud è morto, forse anche Dio e domani devi pure partire.
Bella descrizione di una nevrosi. L’atmosfera patologica è palpabile.
mi piace il ritmo, così serrato e ansiogeno spiega perfettamente il tipo di psicosi
Registro e ritmo adattissimi alla situazione narrata. Complimenti.
Registro e ritmo adattissimi alla situazione narrata, complimenti.
Ottima scrittura che rende il lettore partecipe delle ansie ipocondriache del protagonista. Testo originale anche per la scelta del pdv della narrazione che risulta efficace anche senza l’utilizzo della prima persona. Molto molto brava. Complimenti.