Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Un ritorno a casa” di Davide Gallo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Era ormai arrivata la sera al cantiere, il gelo di dicembre penetrava fin dentro le ossa e la vicinanza del mare rendeva l’aria umida e pesante. I motori delle macchine smisero di lavorare, le luci si spensero, i cancelli vennero chiusi e tutti i lavoratori tornarono dalle loro famiglie. Era iniziato il fine settimana per tutti. Un fine settimana che sarebbe durato poco, come sempre.

I lavori al cantiere erano in ritardo nella tabella di marcia a causa di un grosso incidente con le betoniere del calcestruzzo. Sbadatamente un’autista andò a sbattere contro uno spartitraffico posizionato all’ingresso del cantiere facendo ribaltare il mezzo e spargendo il calcestruzzo per tutta la strada. Ci vollero due giorni per sistemare l’incidente e far si che il lavori riprendessero. Un incidente che costò parecchio all’azienda appaltatrice.

Il nuovo carico di calcestruzzo non sarebbe arrivato prima di una settimana, così il capocantiere Dave dovette rimandare la costruzione di alcune parti dell’edificio.

La sua squadra stava costruendo un grosso stabile per conto di una banca, sarebbe stato il suo ultimo progetto, la sua ultima opera, prima di ritirarsi per sempre da quell’ambiente lavorativo.

“Dave?”

Lo chiamarono, era la voce del suo amico e collega Mike.

Dave si fermò per aspettarlo, si stava dirigendo verso lui.

“Dimmi?”

“Mi è appena arrivato un fax del direttore della banca… dobbiamo cercare di accorciare i tempi e finire nel tempo prestabilito. Gli ho detto che abbiamo perso un po’ di tempo a causa di quell’incidente ma non ha voluto sentire ragioni. E mi ha detto che se non sarà pronto per quella data, declinerà il contratto di costruzione… rischiamo di perdere il lavoro Dave!”

Sospirò. Si mise le mani nelle tasche, prese il pacchetto di sigarette. Se ne accese una. Prese una bella boccata ed espirò il fumo. Fissò la sigaretta fumante, guardò Mike. Annuì col capo, quasi come se fosse rassegnato, ma non sconfitto.

“Ci vediamo lunedì.”

Dave lo salutò così. Con la sigaretta in bocca si avviò verso la macchina. Stava per tornare in albergo, dove avrebbe passato i prossimi due giorni prima di tornare a lavorare al cantiere. Altri due giorni lontano dalla moglie, dalla sua famiglia.

Salì in macchina, nera e ammaccata, piena di polvere… la usava soltanto per andare a lavorare, quindi la usava ogni giorno. Inserì la chiave, girò e accese la macchina. Partì dirigendosi verso la tangenziale. In quel periodo a quell’ora non c’era quasi nessuno in giro a causa del freddo, tutti rimanevano a casa. Imboccò l’incrocio e si immise in carreggiata. Ci avrebbe impiegato quindici minuti per arrivare al suo alloggio in albergo.

Squillò il cellulare. Era sua moglie.

“Pronto, tesoro?”

“Ciao amore… sei già in macchina?”

“Si, sono appena partito. Sto entrando in tangenziale. Tu che fai?”

“Niente, sto guardando la tv sul divano. Sai che Jenny si è lasciata con Michael?”

“Di che parli?”

“Di Lois nel caso, quel telefilm che stavamo guardando assieme… non ricordi?!”

“Ah si, scusa… non ricordavo.”

“Immagino… sei super impegnato, non hai più tempo per guardarlo. Recupereremo assieme.”

“Si… va bene.”

“Amore… che hai? Sembri strano. Problemi a lavoro?”

“Si. Si, il direttore della banca ha deciso che dobbiamo affrettare i lavori altrimenti rescinde il contratto con la nostra squadra e ci ritroviamo senza lavoro… dopo tutto lo sforzo che abbiamo fatto per recuperare il tempo perduto a causa di quell’incidente.”

“Gli avete spiegato che non è stata colpa vostra e che avete fatto l’impossibile per rimediare?”

“Si, ma non ha voluto sentire ragioni. Vuole che lo stabile sia terminato entro la data prestabilita a prescindere dai nostri problemi. Ma che cavolo, dovremmo fare straordinari su straordinari.”

“Questo vuol dire che non sarai a casa per Natale?”

Stette in silenzio. Chiuse un attimo gli occhi e sospirò.

“…purtroppo, credo di si.”

“Ah… va bene.”

“Perdonami. Giuro che ho fatto il possibile, che sto… facendo il possibile pur di finire in tempo. Ma se non ci tolgono i fondi e il lavoro, siamo rovinati… sono rovinato.”

“Lo so, ti capisco.”

La macchina continuava a viaggiare. Solitaria nella notte, in una strada quasi nascosta dalla nebbia penetrante.

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“Già… voglio finire in fretta, così potrò prendermi un po’ di tempo. Un po’ di tempo per pensare a me, a te, a noi… al nostro futuro.”

“A farci una famiglia.”

“Già… famiglia.”

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“Senti… non ti preoccupare, per quest’anno andrà così, ci penseremo poi… d’accordo?”

“D’accordo.”

Sorrise. Un leggero sorriso gli si forma in volto.

“Per il resto tutto ok?”

“Non proprio, Chris si è fatto male ad una gamba durante lo spostamento di alcune travi… lo hanno portato in ospedale, messo il gesso e tre mesi di convalescenza. Proprio non ci voleva.”

“Oh, mi dispiace.”

“Si, anche a noi. Questo lavoro ci sta sfinendo, mentalmente e fisicamente.”

“Dai, non abbatterti. Vedrai che andrà tutto bene.”

“Già, come no… dicono tutti così.”

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“Hey…”

Cercò di calmarlo con voce gentile. Sapeva che in quel periodo non era molto stabile ed era facilmente irascibile.

“Si, perdonami.”

“So come ti senti.”

“Questa situazione è sempre più pesante e stressante. Non so quanto possa reggere ancora.”

“Stai ancora pensando a lei?”

“Si… come ogni giorno.”

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“Le ho fatto visita oggi… sembrava stesse bene.”

“Sembrava stesse bene? E come… come puoi dirlo?”

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“…lo sentivo, presentimento.”

“…già… presentimento.”

“Hey…”

“Si… si, perdonami. Lo so, lo so.”

“Amore… non avresti potuto farci niente… neanche se fossi stato qua.”

“Che ne sai?” le rispose infastidito.

La macchina accelerava sempre più nella notte.

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“…”

“Non puoi saperlo, come non posso saperlo neanche io. Magari avrei potuto, magari no.”

“Dave… è stato un incidente. Non avresti potuto fare niente a prescindere.”

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“Un incidente?” alzò la voce. Sentiva il sangue ribollire dentro di lui. “Certo, un incidente. Se fossi stato io alla guida della sua auto, forse non sarebbe successo niente.”

“O forse si, sarebbe potuto succedere anche con te alla guida.”

“È vero, vero… vero… ma questo non lo sappiamo. E intanto lei non c’è più.”

“Hey.” questa volta il tono di voce si fece un po’ più serio. Sapeva che stava perdendo il controllo, doveva cercare di tranquillizzarlo.

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“Hey un cazzo. Hey… un cazzo.” strinse i denti.

Ci fu un lungo silenzio. La macchina continuava ad andare, sempre più veloce. Le uscite agli svincoli si alternavano una dopo l’altra. Ma sembrò non farci caso, superò anche la sua.

La tangenziale si prolungava per 10 chilometri ancora prima di trovare un ponte per l’inversione di marcia.

Ma sembrò non interessargli.

“Vuoi parlarne?” la sua voce, sempre calma e pacata, cercava di rassicurarlo e farlo tranquillizzare.

“Di cosa… di cosa dovrei parlare? Di me che ero qua, in questa merda di cantiere, a perdere tempo dietro incompetenti mentre le moriva, mentre lei magari pensava a me, mentre lei chiamava il mio nome?”

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“Dave.”

“Sai, sai… non sono mai stato un buon figlio. Le ho sempre dato problemi, fatto preoccupare… ma ero giovane, ero ragazzo… pensavo, pensavo che fosse così che un figlio si dovesse comportare. E lei comunque, lei era sempre la, come una mamma doveva fare… come una madre deve essere. Presente, serena, protettiva. E le ho sempre e solo dato dispiaceri.”

“Amore… sai che non è così, non lo pensava.”

“Ah no, non lo pensava? E che ne sai? Che ne so? Non gliel’ho mai chiesto. Non ho avuto l’occasione, e ora non ce l’avrò mai più.”

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“Si, ho studiato, ho preso il diploma, anche se in ritardo… e ho costituito una mia impresa edile.”

“Lei ne era felicissima di questo, lo sai anche tu.”

“Si, certo… era felice. Finalmente avevo una metà nella mia vita, un mio percorso. E dove mi ha portato? A questo, a stare lontano nel momento in cui lei aveva veramente bisogno. Lei c’è sempre stata per me, e io?”

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“Io qua, a spaccarmi la schiena per qualche soldo. E sono pure lontano da te ora, lontano. Non passerò neanche il Natale assieme a te.”

“Tesoro…”

“Ed è sempre qua, sempre impresso in me. Il ricordo di quel giorno, di quella telefonata… non sono riuscito neanche ad andare al suo funerale.” urlò a telefono. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. La macchina acquistava sempre più velocità.

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“Non sono riuscito a salutarla, a dirle qualcosa, anche solo un addio, anche solo riuscire a toccare la sua bara, la sua lapide. Niente. Niente. E sono qua, da solo, a girare con la macchina per tornare in un buco di stanza d’albergo aspettando che il tempo passi per poi tornare il quel cazzo di cantiere.”

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“Non sono capace di fare niente, non sono buono a niente… tutte le cose importanti, non ho più niente ormai. E non ho dato loro mai il giusto valore, e orami è troppo tardi. Lei mi ha sempre dato tutto, mi ha sempre spronato, mi ha sempre aiutato… e io qua, qua, qua lontano da lei.”

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“Ma non me ne frega più niente, ormai la vita fa solo schifo. Mi son stufato di tutto questo.”

La pioggia nell’asfalto rubò l’aderenza dei pneumatici. In un secondo Dave perse il controllo della macchina che cominciò a sbandare. Tentò di fermare la macchina, ma la velocità e il l’acqua glielo impedirono. Il veicolo cominciò a girare su se stesso per parecchi metri invadendo la corsia opposta, senza mai ribaltarsi. Fortunatamente a quell’ora non c’era mai traffico, eliminando il rischio di causare incidenti.

Finì la sua corsa dritto sul guardrail.

La macchina terminò la sua corsa improvvisamente. Fumo bianco e denso cominciò a fuoriuscire dal motore. La parte anteriore e laterale sinistra erano completamente distrutte.

La tangenziale si fece improvvisamente silenziosa.

“Dave. Dave. Amore. Dave rispondi. Cosa è successo? Dave?”

L’airbag della macchina funzionò a dovere salvandogli la vita.

Cercò di riprendersi dal colpo ricevuto. Un rivolo di sangue gli mascherava metà volto. Stordito cerco di capire cosa fosse successo.

Si ricordò di aver caricato nel cofano posteriore delle sacche di cemento, forse è stato grazie a quella zavorra che la macchina non si ribaltò.

Prese il cellulare in mano.

“Hey. Hey… sono qua.”

“Che è successo?” era preoccupata dopo aver sentito tutto quel frastuono.

“Ah…” si toccò la fronte insanguinata. “Niente… niente. Ho avuto un incidente, sono uscito fuori strada.”

“Tutto bene?”

“Si, io si… ma la macchina non molto. Nulla di rotto comunque, gambe e braccia sono a posto.”

“Chiama subito un’ambulanza.”

“Si ora lo faccio. Scusa… per prima… ho perso un po’ la testa.”

“Non preoccuparti. Ora esci da la.”

Stette un attimo in silenzio. Scoppiò a piangere.

“Mi manca… sai? Mi manca tantissimo.”

“Lo so, lo so. Anche a me… ma ora calmati, esci da la e torna a casa.”

“Si, si.” si riprese “Si, torno a casa.”

“Dai, che ti stiamo aspettando!”

“Ti… stiamo aspettando?”

“Si… ti stiamo aspettando… papà!”

“Papà?”

“Si dave… sono incinta!”

Sbarrò gli occhi dalla felicità. Incredulo. Soave e leggera, una parola risuonò in quella notte “Mamma.”

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1 commento »

  1. Ciao Davide. Si capisce che è una storia pensata e che dietro alle tue parole c’è un progetto. E questa è una cosa importante e più che positiva.Ho apprezzato molto l’incipit, che mi ha immediatamente trasportato proprio in quel cantiere. Bravo.Dolce il finale che si apre alla speranza. Un incidente che sa trasformare un probabile tragico finale in un vero lieto fine in cui il protagonista si riappropria della sua vita e dei suoi affetti.

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