Premio Racconti nella Rete 2020 “All’ombra di noi” di Enrico Ruffato
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020La villa della famiglia dei Bastiani di Valzo è in piedi da almeno cinquecento anni. Un tempo era stata una semplice fattoria, alla quale era stata aggiunta una torre di pietra, così, tanto per darsi un tono. Nel secolo successivo a quello di fondazione, il piccolo edificio ad un solo piano era stato innalzato, poi dotato di un’entrata monumentale, con colonne e capitelli e tutto il resto. Le finestre erano state decorate prima con fregi floreali, poi con timpani di pietra bianca. Una seconda ala, perpendicolare al primo nucleo e punteggiata da finestre a doppio battente, era stata costruita dove un tempo c’erano i porcili. E i Bastiani di Valzo, da semplici nobili di provincia, erano diventati amici del principe vescovo, parenti – alla lontana – del re, e alla fine un importante punto di riferimento per tutto il bel mondo degli aristocratici. Due secoli dopo la sua costruzione, sopra il portone della grande villa, era stato affisso il blasone con la lince nel campo di stelle, simbolo di una dinastia forte, ambiziosa, sana.
Già da molte generazioni i Bastiani di Valzo abitano nei loro palazzi in città. Quando però l’età si fa avanzata e il vigore inizia a scomparire, i Marchesi Bastiani di Valzo tornano, immancabilmente, alla loro villa di campagna, per morire in pace, lo sguardo rivolto ai campi e ai boschi.
Si contano solo poche eccezioni alla regola. Ci fu il Marchese Anzio Bastiani di Valzo, che si inabissò nel ’32 con il suo aeroplano; poi la Marchesa Clozia degli Andrighi, vedova Bastiani di Valzo, che morì di malattia fulminante durante una vacanza nelle colonie – mentre era con il suo amante, dissero le malelingue. Agli ospiti della villa – che sono sempre meno, a dire il vero – viene infine ricordato anche il Marchese Gianalberto Bastiani di Valzo, che cercò eroicamente di tornare alla villa, per morire con i suoi antenati, ma fu finito dalle truppe nemiche dell’Imperatore mentre cercava di attraversare il fiume, a nord della tenuta. Tutti gli altri Marchesi e Marchese Bastiani di Valzo riuscirono invece a ricongiungersi alla loro terra prima dell’ultimo istante.
Oggi è toccato al Marchese Ultimo – che ironia – Bastiani di Valzo. Il Marchese è morto nel pomeriggio, all’età di ottantanove anni, la mente ancora lucida e le gambe ancora solide. Purtroppo, il fegato non era invece della stessa qualità di fattura.
Non rimangono molti Bastiani di Valzo, al mondo. Ma questo al Marchese non importa più, perché l’ultima cosa che ricorda è di aver fissato il muro dove è appesa la specchiera, e di aver pensato che bisogna far togliere quelle brutte macchie di muffa.
Poi ha sentito qualcuno piangere, qualcun altro che diceva “…è morto?”
…E poi nient’altro.
Certo, deve essere passato un bel po’ di tempo, dal suo ultimo respiro. Perché la villa in cui il Marchese si ritrova è vuota. I suoi figli sono andati via. La camera dell’infermiera è stata ripulita. È anonima come quella di un albergo. Strano, quest’ordine: quella ragazza adorava le riviste di enigmistica, ne teneva una in ogni stanza. Quindi ne aveva almeno ottantasette. Eppure, oggi non se ne vede nemmeno una. “Peccato” pensa Ultimo, “mi sarebbe piaciuto fare un sudoku”.
Si sente leggero, ma non incorporeo. Sa di essere morto, ma non capisce che cosa è diventato. Un fantasma? Sul tavolo della sala da pranzo azzurra – i suoi amici, in collegio, trovavano sempre molto divertente l’idea che lui avesse una casa così enorme da dover distinguere, con dei colori, le varie sale da pranzo – trova un foglio stampato, i caratteri neri e spessi.
“Il Marchese Ultimo Maria Gianprimo Bastiani di Valzo è mancato nella mattina del ventisette maggio. Ne danno il triste annuncio…ecc ecc.”
Fuori piove e tira vento. Ecco. Difficilmente siamo ancora in maggio. Ultimo solleva il foglio e lo getta con noncuranza su una sedia.
“E così, un nome altisonante e un po’ ridicolo, una stirpe e dei natali di grande prestigio, e si finisce a essere una frasetta su di un foglio, fotocopiata male e con un carattere stupido. E veniamo trattati come un qualsiasi ferroviere.”
Chissà perché gli è venuto in mente il paragone con il ferroviere. Lui è un Marchese. Niente a che fare coi ferrovieri. Eppure, non riesce a ricordare un solo momento in cui è stato Marchese. Cosa fa un Marchese? Ultimo cerca di sforzarsi a ricordare, ma gli fa solo male la testa.
Con il dorso della mano, si asciuga la fronte dal sudore. Un tessuto ruvido gli graffia il sopracciglio sinistro.
Ultimo si guarda la mano. È coperta da un guanto di pelle spessa. La fattura è grossolana; quelle seconde dita mal si adattano alla sua ossatura delicata. Quasi tutto l’avambraccio è protetto da un risvolto scanalato. È un guanto ben strano, di foggia antica e oggi completamente inappropriato a qualsiasi mestiere. È il guanto di un macchinista di locomotiva.
“Strano” pensa ultimo, togliendosi il cappello per grattarsi la testa pelata.
Cappello? Era sicuro di non avere un cappello, fino a un minuto fa. Lo esamina per bene. Ecco. Un bel berretto cilindrico, di tela grezza, da vero operaio delle regie ferrovie. Ultimo è stupito, ma non troppo. Da morti, cosa aspettarsi? Dopo una vita passata a temere il fuoco dell’inferno e a desiderare le nuvolette del paradiso, trovarsi in casa propria, vestiti da macchinisti, non è poi il peggio che possa succedere.
Ma poi, sarà morto davvero? Rimettendosi il cappello in testa, sente il guanto passare in mezzo a una folta criniera di capelli. “Ok” pensa Ultimo. “Ho in testa i miei capelli di quand’ero giovane. Sono morto. Indubitabilmente.” L’ultima volta che li ha visti, quei capelli, erano perlopiù sparsi sul cuscino.
“Morto e macchinista!” ride Ultimo. Ed è felice, perché quando era solo un piccolo marchesino aveva espresso migliaia di volte il desiderio di poter diventare un macchinista. Erano belli, i treni della sua infanzia. E poco importava quello che diceva la zia: “Ma Ultimino, non puoi diventare un ferroviere! È un lavoro da poveri!” E poi arrivava sempre il babbo e aggiungeva: “Tu studierai legge e i treni te li potrai comprare! Altro che macchinista!”
Toh. Un ricordo. Almeno uno.
Ultimo prova a pensare, sull’onda di questa ritrovata scheggia di memoria. Non è mai diventato un macchinista, di questo è sicuro. Cos’era diventato, invece? Ecco che la mente vacilla di nuovo. Ah, sì, un Marchese. Ma fare il marchese non è un lavoro, è un titolo. Ma è anche un’occupazione? “Cosa è che ci definisce?” pensa Ultimo. “Cosa sono stato, nella mia vita?”
Si dirige nella sala da musica, così chiamata perché c’è un clavicembalo ammuffito che tutti, nella sua famiglia, hanno sempre odiato. Ma una famiglia nobile non è abbastanza nobile, se non ha una sala da musica. Sugli scaffali, negli ultimi anni, Ultimo ha fatto ammucchiare i suoi cimeli. Forse questo lo aiuterà a ricordare cosa è stato. Si ferma un istante. Scorre il dito su alcuni tomi di diritto, poi su di una pergamena incorniciata. “Marchese Ultimo Maria Gianprimo Bastiani di Valzo. Dottore in Giurisprudenza, con votazione finale di 110 Summa cum Laude”
“Allora sono stato un avvocato!” esclama Ultimo. E si tocca di nuovo i capelli. Solo che questa volta sono lunghi, bianchi, a boccoli. Pettinati con una scriminatura nel centro della testa. Li sente, secchi e sfibrati, sotto i polpastrelli. Ma sono una parrucca! Al tatto lo può percepire chiaramente, perché i guanti gli sono spariti dalle mani. Si toglie la parrucca e, sotto, i capelli ci sono ancora. Solo, sono un po’ più radi. Si strofina il petto, e si scopre vestito di una toga nera.
“Un avvocato. Sono più vecchio, ora. Sto ripercorrendo la mia vita! Sono stato un avvocato.”
“Non sei mai stato un avvocato!” ride Valeria, da una foto.
Ultimo si volta e un sorriso gli illumina il volto.
“Valeria! Amore mio! Allora ci sei anche tu! È il paradiso! Sono in paradiso!”
Valeria Landi di Santangosto, Marchesa della villa Bastiani di Valzo, ride ancora più forte.
“Ma no, che non ci sono! Non vedi? Sono in una fotografia!”
È vestita da ballerina di flamenco. Una foto di carnevale? Una festa in maschera? Chi se lo ricorda.
“Beh, ma mi stai parlando! Quindi ci sei!”
“Ma no! Caro, vedi, sembro io, ma non sono io.”
“Valeria, aiutami! Non capisco che succede! Prima ero vestito da macchinista! Adesso sono vestito da avvocato!”
“Ma no! Non sei vestito! Sei un avvocato!”
“Ma se hai appena detto che non sono mai stato un avvocato!”
“Già. Lo sei adesso!”
“Valeria, è un incubo? Mi sembrava tutto così leggero, fino a un minuto fa! E adesso tu mi tormenti! È forse l’inferno?”
Il sorriso di Valeria è imperturbabile. “Ma cosa dici, sciocco!” Adesso è vestita da scienziata, con tanto di camice bianco, chignon, occhiali e fiala fumante in una mano. “Senti” dice, “facciamo così: vieni nella galleria degli antenati. Staremo in compagnia!”
La galleria degli antenati! Ultimo non se la ricordava nemmeno più. Per un momento, si vergogna di essersi scordato dei suoi illustri zii, nonni e cugini. Forse, ora che è morto, li rivedrà!
“Ma certo, Valeria! Sarete tutti lì! Arrivo subito!”
“Non farti idee sbagliate, però!” continua a ridere Valeria. Ora è una sirena, con la lunga coda di squame e due conchiglie sui seni. Ultimo si indigna un po’ per il contegno della propria moglie.
La galleria degli antenati è situata al piano terra della nuova ala, quella costruita nel Settecento. Alle pareti, ritratti di zie dalle acconciature ingioiellate e di nonni dallo sguardo severo, che sembrano agitarsi. Ma forse è colpa del buio della stanza. Le finestre, un tempo sempre aperte, ora sono sprangate.
Ultimo passeggia lungo il grande corridoio. Quando era ragazzo, aveva sempre avuto soggezione di quei volti immobili. Invece, adesso che è morto, si sente uno di loro.
“Valeria! Dove sei?” chiama.
“Ma qui!” risponde la moglie dal fondo della sala.
La parte della galleria dedicata agli ultimi Marchesi è la meno affascinante. Ai ritratti si sono sostituite delle foto, sfocate e ingiallite. Valeria appare in una posa austera, a mezzo busto, il doppio mento ben spianato, i capelli raccolti sulla nuca. Curioso: tiene in mano un grande mazzo di rose rosse, che spiccano come una macchia di sangue nella foto in bianco e nero. Alle sue spalle, un’insegna che recita: “Valeria la Divina! In Sogno di una notte di mezza estate – tutto esaurito per sei settimane! La più grande attrice vivente!”
“Sai? Non mi ricordavo più che fossi un’attrice!” esclama Ultimo.
“Ma per chi mi hai preso? Per una specie di Grace Kelly? No, che non ero un’attrice!” risponde Valeria. “Io ero una… una… una scrittrice di libri di cucina di successo!”
D’un tratto, Valeria è vestita da cuoca. Quel tipo di cuoche delle osterie di paese, o delle trasmissioni culinarie in tv. Una cuoca alla buona, insomma.
Ultimo si sente provato. “Cos’eri, allora? Valeria, chi eri?”
“Boh.” ride Valeria. “Non me lo ricordo! Magari puoi chiederlo a tuo zio!”
“Lo zio? C’è mio zio Arnoldo?” chiede Ultimo. Che bellezza! Arnoldo Bastiani di Valzo era il suo parente preferito. Una volta, quando era piccolo, aveva… aveva… Ultimo non ricorda più nulla del suo passato con lo zio Arnoldo.
“Sono qui!” Lo zio Arnoldo si muove in un ritratto enorme, l’ultimo dipinto a olio della galleria dei Bastiani di Valzo. È raffigurato a cavallo. Ha un curioso cappello da vecchio film e tiene in mano un lazo.
Ultimo ricorda di aver commentato spesso quel quadro, quando era bambino. Passeggiava lungo la galleria insieme allo zio Arnoldo – lo zio Arnoldo da vecchio – e si soffermava di fronte a quell’Arnoldo a colori, giovane e aitante sul suo cavallo da caccia. Eppure, non gli sembra di aver mai visto lo zio in versione cowboy.
“Zio Arnoldo! Ci sei anche tu! Spiegami cos’è questo aldilà! Tu mi hai sempre spiegato tutto! …Lo facevi, vero? Mi spiegavi le cose, vero? Non lo ricordo più.” Di nuovo quel dolore alla testa. Ultimo si fruga nelle tasche del camice e ne estrae una pasticca di paracetamolo. “Vedi, zio? Ora sono un medico! Sono stato un medico?”
“Non lo so. Io non c’ero.” risponde lo zio. “Io non ero io.”
“E chi eri, allora?”
“Ero… molte cose.” Lo zio Arnoldo sembra soffrire delle stesse fitte alla testa di Ultimo. “Tu, piuttosto, chi eri?”
“Zio, non lo so! Forse ero…” Ultimo fruga nella memoria. “…Un mago!”
Per magia – appunto – la sua tonaca coperta di stelle e il suo cappello a punta lo fanno librare nell’aria. Ultimo non si stupisce più, ma certo è stanco di questo continuo mutare.
Man mano che si avvicina, levitando, alle volte della galleria, vede d’insieme una gran folla di parenti. Tutti sembrano felici, intenti a cambiare costume e ruolo in continuazione. Solo alcuni se ne stanno seri, impettiti in abiti civili. In questo gruppo di musoni, ultimo riconosce suo padre.
“Babbo!”
“Figlio?” La voce del Marchese vecchio è cupa. “Perché sei vestito così?”
“Non lo so, babbo, aiutami! Non ricordo più chi ero! Chi ero?”
Il Marchese Giacinto Bastiani di Valzo corruga la fronte. “Non eri tu.”
“Chi dovevo essere, babbo?”
“A quattro anni volevi essere un macchinista. A sette, un mago. A diciassette, un medico delle missioni umanitarie. A venticinque, un avvocato. E non sei mai stato tu.”
“E chi sono stato, invece?”
Il Marchese si rabbuia. “Come posso saperlo? Non sono tuo padre.”
“Chi sei, allora?”
“Siamo quello che volevamo essere!” risponde lo zio Arnoldo, dal suo cavallo.
Ora appare in armatura di cavaliere medievale, con l’elmo e il cimiero a forma di ali di cigno. Si appresta ad affrontare un drago, il quale minaccia la zia Proserpina Figlini – Bastiani di Valzo, nella cornice accanto, tutta in rosa e con un cappello a due punte col velo.
“Io voglio essere Ultimo Maria Gianprimo Bastiani di Valzo! Quello che sono sempre stato!” grida Ultimo.
“Amore della nonna, quello è solo un nome.” dice una signora secca e piccola, in abiti da aviatore di inizio secolo. “Vedi, per esempio, io mi chiamavo Concetta Glinda delle Lenarde Martondi, moglie del tuo nonno Marchese Ulderico Angioino Bastiani di Valzo. Ma tutti questi nomi non hanno nessun senso, se non sono collegati a un essere che è. Che diritto ha, un nome, di essere noi?”
“Il nostro nome è importante, mamma!” tuona il padre di Ultimo dalla sua cornice.
“Da morti, i nomi sono solo rumori!” ride la nonna, che sembra sfrecciare veloce fra le linee cinetiche di un’istantanea della Millemiglia.
“È vero.” commenta un piccolo ritratto fotografico a lato di una finestra. “Per esempio, tu porti il mio, di nome, eppure non avevamo nulla in comune, io e te.”
Seppur nato in un’epoca di nomi altisonanti, a Ultimo è toccato chiamarsi come l’attendente di fanteria del padre, un contadinotto delle valli al quale il vecchio Marchese era enormemente affezionato. Il suo è l’unico ritratto non nobile che prenda posto nella galleria degli antenati dei Bastiani di Valzo.
“Ultimo Berti.” dice Ultimo Bastiani di Valzo. “Non mi ricordo più nulla nemmeno di te. Ma tu non eri uno di noi, vero?”
L’attendente plebeo sorride. “Dipende. Cosa siamo, noi? Cosa siete, voi?”
Sta suonando il violino. Una musica soave si diffonde nella stanza.
“Ma intendo noi Bastiani di Valzo!” esclama Ultimo.
“Noi non siamo i Bastiani di Valzo.” sottolinea lo zio Arnoldo Bastiani di Valzo.
Ultimo non sa più che fare. Gli sembra tutto assurdo, e questi stupidi morti insistono a non volergli rispondere con chiarezza! Si volge verso la nonna. La guarda con intensità… e comprende che non ricorda nulla nemmeno di lei. Sente gli occhi bruciare per la voglia di piangere. Sente che le voleva un bene profondo; eppure, non se la ricorda. A guardarla bene, comprende che la vecchia non indossa un costume da aviatore, no: è vestita da pilota di auto da corsa, con gli occhiali e il casco di cuoio.
“Cosa siamo, nonna?”
“Dentro di me” declama la nonna “io sapevo di essere un’automobilista! E non mi lasciarono mai guidare! Così mi rassegnai a portare solo il mio nome e fare quello che credevo di dover fare.”
“E cos’era, nonna?”
“Non lo so! Non l’hai capito, ancora? Noi non siamo i morti. Noi siamo i sogni di chi è morto.”
Ultimo si guarda le mani. Sono scheletriche. Si tocca la faccia. Sente le ossa del suo teschio. Avvicina le dita agli occhi, e scopre di poterle infilare nelle orbite.
“Hai sognato anche di morire, vero?” chiede l’antica pro-prozia Ilde. Sta seduta vicino ad una culla vuota, listata di nero. Ma, dalla culla, gorgoglia la risata di un neonato.
Ultimo annuisce. “Credo che tutti abbiano sognato di morire, qualche volta, zia Ilde.”
Ilde Denvazzani in Bastiani di Valzo ne conviene, solenne. “Anche io l’ho sognato. E poi ho sognato che mio figlio fosse vivo.”
“Era giovane, quando è morto, zia?”
“Non lo so. Io sono solo il sogno di una madre. Ma credo di sì. Sono felice, così felice di essere madre, che posso immaginare solo di essere stata concepita da qualcuno che ha sofferto un lutto.”
La zia Ilde, d’un tratto, diventa torva e sibilante.
“E invece voi” dice “siete qui con i vostri sogni idioti!”
“Non tutti” aggiunge il padre di Ultimo. “Io non avevo sogni.”
“Lasciate stare il ragazzo!” interviene lo zio Arnoldo. “Ora è uno di noi. Se è felice, lasciatelo essere un sogno felice. Se è mesto, sarà un sogno mesto. E questo è quanto.”
Ultimo si siede nel punto di osservazione per i visitatori, proprio al centro della galleria. Si stringe il casco fra le mani. La tuta spaziale lo impaccia. L’assenza di gravità gli rende difficile l’ancoraggio alla panca di legno. Ora è il sogno di un astronauta. E ne è felice, perché dietro la visiera specchiata nessuno può vedere che sta piangendo.
“Dunque questo è l’inferno?”
“Ma sei scemo o cosa?” chiede Valeria. “Per la milionesima volta: tu non sei Ultimo. Non sei un morto. Sei solo un sogno. Quindi non c’è punizione, in tutto questo. Ci sei solo tu.”
“E perché soffro?”
“Boh.” risponde Ultimo Berti. “Forse perché Ultimo Bastiani di Valzo non sapeva cosa sognare, e ti ha lasciato bello incasinato. Io, che ero un plebeo, sognavo solo di imparare a suonare il violino. E ora sono pure bravo! Ma tu, non ti crucciare. Abbraccia la tua materia di ombra. Vivila con gioia. I sogni accomunano tutti noi.”
“Oppure sogna di non essere nulla, come ho fatto io” aggiunge il padre di Ultimo.
“Oppure sogna qualcosa di utile sul serio.” dice la zia Ilde.
Ultimo sente qualcosa illuminarsi dentro. Ora che non è più Ultimo Bastiani di Valzo, Marchese della Villa Bastiani di Valzo, forse… forse può diventare quel che vuole.
“Un’ultima domanda” dice.
I ritratti lo guardano con curiosità.
“Credevo che i sogni si dovessero realizzare in vita. Dove vanno, i sogni non realizzati?”
“Restano nella nostra ombra.” ride Valeria. “Vanità della mente, come i nostri ritratti sono vanità del corpo, no?”
“Ma forse noi, con i nostri titoli e i nostri soldi e la nostra nobiltà… forse avremmo potuto realizzare i nostri sogni nel tempo che avevamo a disposizione, no?”
“Ma è ovvio che no, amore mio. Né i ricchi, né i poveri possono. Hai mai notato come i – pochi – sogni che si realizzano nella vita tendano a sgretolarsi, una volta materializzati? Non esiste mica solo l’illusione dell’immortalità, sai? Esiste anche quella del raggiungimento dei sogni!”
“E la vita, a cosa ci è servita, dunque?”
“Ma a sognare! Eccoci qui, ora, prodotti della vita!”
“Alcuni di voi sono sogni molto tristi.”
“Non badare a loro.” Valeria ora è una pittrice. “Non tutti sognano le inarrivabili, meravigliose ed eccezionali assurdità! Alcuni sognano cose deprimenti. O sognano per combattere il proprio dolore.”
Fuori, il sole sembra non sorgere mai. Ultimo si sdraia sulla panca. Gli pare di fondersi con la stanza. Nel fondo della galleria vede il suo ritratto fotografico, a figura intera. Ora è in mutande e si atteggia a campione di lotta libera. Gli viene da ridere. Si sente dissolvere.
“Staremo sempre qui, al buio?” chiede in un soffio, mentre sembra che la necessità di ricordare la vita non sia più così impellente.
“Come ragnatele, amore mio.” la voce di Valeria è lontana, ma dolce. “Sepolti, eppure solidi e intoccati.”
“Ci sarebbe stato un modo per non soffrire come soffro dentro?”
“Alcuni lo conoscono; altri lo intuiscono, ma lo rifiutano. Avresti dovuto vivere sognando solo l’oblio, mio dolce Marchese Ultimo Bastiani di Valzo.”
Fantasioso, carino assai
Caro Saverio, grazie del suo commento. Sono lieto che le sia piaciuto
Un’ironica via di mezzo fra Sebald e Borges. L’ ho letto con molto piacere.
Racconto piacevole e ben scritto 🙂
Gentile Giuseppe Fabrizio Ernesto Coco, mi fa arrossire! Grazie mille del suo commento!
Non capivo dove andava a parare, ma poi mi ha catturato. Complimenti per aver reso così bene quel piano onirico, in cui tutto è vivo ma un po’ dislocato, inafferrabile e malinconico, e in cui l’unica cosa che rimane forte e reale sono i desideri, le emozioni, e anche i rimpianti. Un racconto molto bello e secondo me molto originale. Azzeccatissima l’ambientazione e la prospettiva storica che mette un po’ in ridicolo una nobiltà che fa della ricchezza e del proprio lignaggio più una prigione che un’opportunità.
Cara Silvia Roncucci, grazie del suo commento! Mi ha fatto molto piacere!
Ironico e leggero, ma solo in apparenza. Una lezione di vita, dove quello che conta realmente sono i sogni e i desideri, perchè, alla fine, null’altro rimane di quello che siamo stati. Complimenti.
Gentile Marco Floridia, grazie del suo commento! L’idea mi è venuta mentre svolgevo alcune ricerche su dei ritratti rinascimentali: i loro occhi erano così vivi che mi sono detto “Chissà quanti pensieri e desideri avevano queste persone! E ora noi, dopo secoli, vediamo ancora l’ombra delle loro speranze in questi quadri.” Sono davvero lieto che le sia piaciuta l’ambientazione e che l’idea di “atmosfera sospesa”, che avevo in testa, sia riuscita a colpirla! La ringrazio moltissimo dei suoi complimenti.
Gentilissima Pasqualina Moro, la ringrazio molto dei suoi complimenti, il suo commento mi ha gratificato molto, perché mi ha dimostrato che il mio racconto l’ha colpita nel modo che desideravo. Grazie ancora!
Decisamente originale. A tratti teatralmente “shakespeariano”, a tratti ha i colori onirici dei fumetti di Gaiman. Pone la divertente (e un po’ inquietante) domanda: quel che sogniamo può aver coscienza di sé? E’ uno spunto di riflessione poetico, ben reso dalla prosa!
Gentile Alessandro Lupi, grazie mille del suo messaggio! In effetti sono un fan delle atmosfere “sospese” di Gaiman, e sono molto contento se sono riuscito a trasmetterle sensazioni simili! La ringrazio di cuore, è stato un commento graditissimo!
Storia curiosa e di piacevole lettura. Mistero e sogno guidano il lettore fino a condurlo a riflessioni più profonde. Un buon racconto che, se posso , dovrebbe essere un pò asciugato. So perfettamente che non si vorrebbe mai tagliare quello che si scrive, ma in questo caso ritengo che il pezzo ne guadagnerebbe.
Gentile Monica Menzogni, la ringrazio del commento. Mi fa piacere che il racconto le abbia trasmesso queste sensazioni. Sulla necessità di rivederne la lunghezza, in effetti è sempre difficile pensare a cosa tagliare: ci sembra sempre di aver messo esattamente quello che ci voleva! Ma, ora che è passato un po’ di tempo da quando l’ho scritto, potrei in effetti rileggerlo con distacco e vedere in quali punti potrei essere, per il futuro, un po’ più “svelto”. Grazie ancora per il suo feedback!
Che delizioso spruzzo di fantastica immaginazione…
Quanti infiniti modi ci sono per declinare la scrittura, per far riflettere e per dar piacere a chi legge!
Grazie per averlo offerto alla mia mente.
Gentile Leonardo Schiavone, grazie a lei per il suo commento così lusinghiero, che mi ha riempito di orgoglio! Le sono grato di aver espresso il suo gradimento, e felice di essere riuscito ad invitarla in questo piccolo viaggio nella mia immaginazione!