Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Primo Giorno” di Rachele Avagliano

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Le scale! Via, via di qui! Buio. Ansimante e accecata dalla luce fredda del primo pomeriggio, mi ritrovo nell’aria pungente di febbraio, in via Santa Maria. Destra. 

“Ne converrai che il pessimismo hugoniano della prima produzione poetica può essere ricondotto…”. I due avventori ed io condividiamo lo spazio angusto finché l’ascensore arriva al piano. Sono mezz’ora in anticipo, ma l’aula dei seminari, dove regna il silenzio più assoluto tra i banchi isolati, è già quasi piena. Mi siedo in ultima fila.

Ai lati della strada, gli occhi grandi dei passanti seguono incuriositi la sfilata di un insolito Pierrot: grottesco, con troppe lacrime e la risata isterica. Sinistra. 

Mi guardo intorno. Tra le barricate di libri che scoraggiano l’approccio spuntano schiene curve armate di lapis. E’ il primo giorno del primo anno: cosa mi sono persa? 

La strada è deserta. Ora! Con l’ingombrante borsa a tracolla mi lancio in una fuga scomposta e claudicante, ma senza preavviso un gruppetto di conoscenti gira l’angolo. Troppo tardi per salvarmi. Rallentano il passo, si consultano. Accennano un saluto mentre sfreccio nella direzione sbagliata con le scarpe sciolte. “Non posso venire a lezione. Devo andare, devo andare!”. Dove sto andando?

I due normalisti dell’ascensore sono seduti in seconda fila. Varcata la soglia, la loro conversazione è stata interrotta per letture solinghe di argomento meno triviale. Apro la cartella nuova di pacca e con aria sostenuta ne estraggo il contenuto: carta e penna. Dopodiché ricopio in bella grafia il titolo del seminario dalla locandina appesa. Bene. Quando arriva il professore?

Giunta sulla circonvallazione, nel caos del traffico e in debito di ossigeno, le idee si schiariscono. So dove sto andando. Mi sembra di respirare per la prima volta quando rilascio le unghie dai palmi sanguinanti e distendo la fronte. Con andatura decisa ma controllata mi dirigo in via dell’Ozeretto e suono il campanello. Signore fa’ che ci sia, fa’ che ci sia… La porta si apre sul mio sorriso bagnato: “Ciao Andre”.

“Buonasera a tutti”. Gli studiosi trasaliscono richiamati dallo stato di torpore assorto, chiudono i libri, aggiustano la seduta e predispongono l’ascolto. “Oggi ci occupiamo dei quaderni di Voronež di Osip Mandel’stam e dei relativi problemi di edizione dei testi poetici in epoca sovietica”. Così il docente dalla stazza imponente si accinge a leggere a voce alta lunghi passi in lingua originale tenendo ben alto il libro dal titolo incomprensibile. Le parole minacciose sono scandite dalle sopracciglia inarcate, la fronte aggrottata marca il ritmo e le rime si arricciano sui lunghi baffi che incorniciano la bocca sporgente. Con discrezione cerco sguardi complici tra la platea, ma nessuno batte ciglio. Gli studiosi annuiscono, trascrivono sporadici appunti in caratteri cirillici, martellano l’indice sulla guancia con lo sguardo profondo e assente. Il mio unico pensiero è quel sogno di quando avevo otto anni: trovarmi a scuola in pigiama. Poi, improvvisamente, il professore abbandona la declamazione e comincia ad emettere un ronzio prolungato. Ora un fischio assordante. Inizio a sentire caldo, molto caldo. Intorno a me gli studiosi continuano a sottolineare rivolti verso la cattedra vuota, in attesa dell’inizio della lezione. Con le mani insensibili mi aggrappo al tavolino: tutto è avvolto in una pellicola blu mentre precipito senza muovermi. Sto impazzendo? No, sto per morire. Aiutatemi, vi prego, sto per morire…

Andrea non mi ascolta. “Era come, come se…”. Scruta nel mio occhio tra pollice ed indice e con l’altra chela mi tasta il polso. “Come se tutto fosse già successo!”. Guarda l’orologio: “Pupille dilatate, battito accelerato, sudorazione fredda. Hai un attacco di panico”. Prima che possa ripetere trasognata la definizione scientifica di “fuori di testa”, sono seduta a capo riverso con un sapore amaro sotto la lingua. “Dài, raccontami”. E’ così difficile e imbarazzante spiegare quello che alla luce dello Xanax appare così stupido. Ma mio fratello, come sempre, capisce perfettamente. “E’ molto bella questa cartella”. Con gli occhi bassi annuisco e stringo tra le braccia il regalo di papà. “Forse, però, è un po’ troppo grande”. Stringo ancora più forte corrugando la fronte, poi allento la presa e annuisco di nuovo. Sul letto di Andrea sprofondo in un sonno chimico e fisiologico che si protrae fino a sera. Quando mi sveglio, con la bocca asciutta, un solo pensiero ad attendermi. “Domani ho la seconda lezione, Andre”. Lui sorride. “Andrà meglio”.

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4 commenti »

  1. Racconto letto con piacere, complimenti.

  2. Un racconto da 120 battiti al minuto. Bella scrittura, efficacissima. Un po’ contagioso, anche. Brava!

  3. Anche in questo tuo racconto noto il tuo “stile” . Una scrittura “precisa” ricca di dettagli e nonostante il linguaggio ricercato, comunque accattivante ed emozionale. Ottima prova.

  4. Vi ringrazio moltissimo per i vostri commenti! Un caro saluto a tutti.

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