Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Nessuno” di Saverio Martiradonna

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

George raccomandò a Irina di badare ai loro sette figli e di restare in silenzio. Armato di un nodoso randello cominciò a salire le scale che portavano al piano superiore. C’era buio pesto, la casa era sprovvista di energia elettrica e di acqua. George con la sua famiglia era arrivato in questa casa abbandonata, da circa un’ora; nemmeno il tempo di sistemare le loro poche cose che erano riusciti a portarsi dietro, che dal piano superiore cominciarono a sentire rumori di passi, senza alcuna sosta.

George, per farsi luce, si procurò una torcia rudimentale. Accese un pezzo di legno con uno straccio imbevuto di alcool che l’avvolgeva nell’estremità. Lui era un uomo robusto e coraggioso, tante volte si era scontrato con altri uomini della sua stessa etnia rom, uscendone sempre vittorioso. George man mano che saliva le scale continuava a chiedere ad alta voce: “Chi è là? Chi è là? Nessuna risposta giungeva, ma il rumore dei passi era sempre costante. “Ehi là, tu perché non rispondi? Anche se sei arrivato prima di noi in questa casa, non ti permetterò di mandarci via” disse George. “Tu sei solo, mentre, io ho una moglie e sette figli, perciò, puoi ben capire, che sono disposto a tutto pur di non andarmene via da questa casa”.

“Non ti preoccupare, a me, la vostra presenza non dà alcun fastidio” fu la risposta che gli giunse.

George avvicinò la torcia per vedere meglio l’uomo che, finalmente, era a distanza ravvicinata, e dopo averlo visto bene, indietreggiò spaventato. Scese le scale così in fretta che a metà rampa, all’incirca, rotolò giù rovinosamente. Irina accorse verso il marito, inciampando essa stessa sul suo corpo. La torcia procurò una ferita alla mano sinistra di George, che cominciò a bestemmiare in una lingua incomprensibile, forse, il dialetto, che parlavano nel loro clan di appartenenza.  

“George cos’hai visto di così terribile, dimmi” chiese Irina al marito cercando di aiutarlo a sollevarsi. I bambini, intanto, si erano spaventati ed erano usciti fuori, sotto una pioggia battente.

“Irina, su c’è un fantasma. Andiamo via Irina” biascicò con gli occhi sbarrati.

“Ma che dici George, i fantasmi non esistono, sicuramente, ti sei sbagliato”.

 Ma prima che George potesse risponderle, dal piano di sopra si sentì una voce: “Fate entrare i bambini, e voi non preoccupatevi di me, se avete paura, starò io fuori, la pioggia non può bagnarmi”.

George e Irina, spaventati, corsero fuori e raggiunsero i figli, che si erano stretti l’uno contro l’altro per farsi coraggio, come una mandria che, circondata dai predatori, si stringe formando un cerchio. Il fantasma li raggiunse in un baleno: era piuttosto leggero rispetto ai vivi. “Per satana, non avvicinarti a noi” gridò George, brandendo la torcia ancora accesa. Lo colpì più volte, ma la torcia attraversava il corpo del fantasma senza ferirlo, anzi, quello rideva ogni volta che veniva colpito, e non rideva per burlarsi di lui, ma perché quei colpi gli provocavano un solletico. “Basta, basta per favore, mi fai solletico” gli urlò il fantasma. “Ora, calmati e ascoltami”.

George, come colto da una paralisi, lo ascoltò nel silenzio della notte, disturbato solo dal rumore della pioggia che batteva sulla terra. “Io non voglio farvi del male. Se hai paura di me andrò via io e lascerò che questa casa diroccata possa riparare te e la tua famiglia”.

Tutto il coraggio di George sembrava essere svanito: “Signor fantasma” disse con voce flebile e balbettante: “No, no, non possiamo accettare, tu sei arrivato prima di noi, per cui, tocca a te occupare questa casa. Noi ne cercheremo un’altra”. Il fantasma rispose che non era d’accordo, e che a malincuore, sarebbe andato via lui. George, intanto, potette guardarlo bene da vicino e gli parve di averlo conosciuto, ma non ne era proprio sicuro. Comunque, si fece coraggio e gli disse che forse, il suo viso gli ricordava qualcuno che lui aveva conosciuto. La risposta del fantasma lo sorprese: “Ora, che anch’io posso guardarti bene in viso, posso dirti che ci conosciamo. Io sono Michele Ferretti e tu George Lukaku”.

“Sì, sì Michele Ferretti, mi ricordo anche io di te. Tu, mi hai fatto un grande favore, sì ora, ricordo bene. Mi hai scagionato da una brutta accusa. Sei stato l’unica persona che ha avuto il coraggio di testimoniare a mio favore”.

“Già, ti accusarono d’aver investito e ucciso un bambino con la tua vecchia mercedes, e invece, ti eri fermato a soccorrerlo dopo che era stato investito da una donna del posto. Fummo in tanti a vedere chi era stato, e solo io venni a testimoniare. Gli altri si rifiutarono perché non vedevano di buon occhio che il vostro accampamento fosse nelle vicinanze del paese. Vi volevano mandare via”.

“Già, ma il sindaco e la sua giunta xenofoba, dopo che sono stato assolto, hanno deliberato che il nostro accampamento doveva essere raso al suolo per motivi di igiene, e così eccoci qua ad occupare questa casa diroccata. E tu dimmi di te, come mai sei un fantasma?”.

Prima di dare una risposta a George, lo invitò ad entrare con la sua famiglia nella casa. C’era il pericolo che i suoi bambini potessero prendersi un malanno, di notte sotto la pioggia e con la temperatura che si era abbassata. Dopo essere entrati tutti, George accese un fuoco nel vecchio caminetto che era rimasto in buone condizioni, e così quando tutti si riunirono attorno al focolare, il fu Michele Ferretti cominciò a raccontare quello che gli era successo. “Mentre camminavo per via Cavour, al civico 118, sono stato colpito da un grosso ramo di un pino, caduto a causa del forte vento che quel giorno soffiava a più di cento km all’ora. E’ caduto centrando in pieno il mio capo. È successo ventisei giorni fa. Mi restano altri quattro giorni di vita da fantasma e poi sarò del tutto invisibile come tutti gli altri morti”.

Irina prese coraggio e fece una domanda al fu Michele: “Ma quando si muore tutti diventano fantasmi?”.

Non tutti, fu la risposta. “Solo chi in vita si è comportato da buon cristiano non diventa fantasma, mentre gli altri, a seconda, dei peccati commessi, sono condannati a vagare come fantasmi per un periodo che va da un giorno fino a trenta anni. Io che ho commesso solo pochi torti, ma cose di poco conto, sono stato condannato a trenta giorni. Ai fantasmi è vietato camminare di giorno per le strade: la gente si spaventerebbe nel vederci e molti ci riconoscerebbero. Questo è il motivo per cui, molti castelli e casolari abbandonati sono abitati dai fantasmi. Ma ora, che mi mancano quattro giorni di vita da fantasma, voglio farti ancora un favore”.

“Un altro favore a me? Ma se tu sei morto, come puoi farmi un favore? chiese George, sbalordito da quella promessa.

“Sì, ti farò un favore. Non credi che un sindaco xenofobo e senza cuore meriti una punizione dopo aver raso al suolo il tuo accampamento? Dopo aver tolto un tetto ai tuoi sette figli, a tua moglie e a tutta la tua comunità rom?”.

“Oh, sì! Penso proprio di sì. A cosa stai pensando?”.

“A radere al suolo la sua bella casa. Che ne pensi?

“Oh, non io” rispose George, ne ho avute già abbastanza.

Michele Ferretti lo tranquillizzò. “Sarò io a radere al suolo la sua casa. Noi fantasmi, diventiamo sempre meno consistenti, mi spiego meglio, giorno dopo giorno, il nostro corpo diventa sempre meno palpabile, fino a diventare invisibile l’ultimo giorno. Bene, tra quattro giorni, nessuno riuscirà più a vedermi: sarò del tutto invisibile e poi potrò tornare di là con tutte le altre anime, non prima di aver raso al suolo la casa di quell’arrogante. Ti piace questa vendetta, George?”.

A mezzanotte del trentesimo giorno di vita da fantasma, il fu Michele Ferretti, del tutto invisibile, anche alla vista più acuta, salì sulla ruspa usata per abbattere l’accampamento di George e si diresse verso la casa del sindaco Salvatore Cedron. Suonò il campanello della casa e quando il sindaco fu fuori, diede gas alla ruspa e cominciò ad abbattere le mura che cominciarono a sgretolarsi come biscotti immersi in una ciotola di latte. Tutto il vicinato fu svegliato dal rumore del motore della ruspa e dalle mura che cadevano creando un altrettanto rumore spaventoso. Il sindaco, spaventato, urlò: “Chi è là sulla ruspa? Chi è là?” la risposta che giunse alle sue orecchie, fu “nessuno”.

“Come nessuno?” chiese, sempre più impaurito, il sindaco. La risposta fu: “Non hai occhi per vedere che nessuno guida la ruspa?”. Tutti videro, oltre al sindaco, che sulla ruspa, effettivamente, non c’era nessuno, mentre nell’aria continuava ad echeggiare una sola parola “nessuno, nessuno, sei per caso orbo come Polifemo? Nessuno, nessuno guida la ruspa”.

Tra i cittadini presenti cominciò a girare voce: “Forse, è la mano di Dio o forse è solo nessuno”. Qualcuno si fece il segno della croce, impaurito. Altri continuarono a chiedersi: “Chissà chi è là sulla ruspa”.

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4 commenti »

  1. Lettura piacevole. Oltre la leggerezza, uno spunto per riflettere.

  2. Grazie per aver commentato il mio racconto.
    Condivido il tuo giudizio: uno spunto per riflettere e basta.

  3. Racconto originale, ha il sapore misterioso di una antica leggenda. La scrittura è fluida e i dialoghi sono funzionali al racconto. Un buon lavoro.

  4. Grazie, Monica. Hai colto nel segno. Il racconto sembra un sogno carico di dolcezza. Grazie, ancora

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