Premio Racconti nella Rete 2010 “Armenia” di Patrizia Colaianni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Cara mamma,
ti ho scritto appena ho potuto, anche se non so quando riceverai la mia lettera.
Ecco ciò che mi è accaduto: uscendo dal lavoro, mi sono recata a mangiare in una mensa quando, improvvisamente, ho sentito il bisogno di andare in bagno. Vedo un gabbiotto e mi ci infilo dentro. Non so quanto tempo ci sono stata…
Ad un certo punto avverto l’ondeggiamento della cabina, come se stessi sul treno. Alla fine, tento di aprire la porta ed è bloccata. Dopo un po’, provo nuovamente. La portiera mi è stata aperta in modo brusco. Un rozzo signore con i baffi e la pelle ambrata su un viso grassoccio e dai tratti orientali, mi fa cenno di scendere alla svelta.
Mi ritrovo sui binari di una specie di trenino, in una piazzetta circondata da grandi alberi. Mi sembra di essere sul lago di Como, poiché vedo in lontananza una grande distesa d’acqua verdognola, circondata dalle montagne.
In preda al panico, cerco di chiedere informazioni ad un venditore, in un chiosco all’aperto, al centro della piazzetta. Non capisce la mia lingua, ma mi indica un prete, che mi viene incontro. Il suo aspetto è arzillo, nonostante si appoggia ad un bastone e ha il viso rugoso ricoperto da una lunga barba bianca: è abbastanza anziano. Il reverendo mi saluta e mi chiede come mi chiamo. Io gli ho fatto molte domande in inglese: è l’unica lingua che capisce…Gli chiedo, per prima cosa, dove mi trovo. Lui non risponde subito, mi dice di seguirlo. Siamo entrati in una grande chiesa prospiciente il lago. Dietro la sagrestia c’è un piccolo locale nascosto, dove abitano delle persone, sei in tutto. Mi presenta loro e poi se ne va. La signora più anziana parla la mia lingua e mi dice: “Sei in Armenia!”
Il cuore mi palpita più di prima. Un nugolo di domande si affacciano sulla soglia della mia coscienza e una confusione mi assale la mente. Come ho fatto ad arrivare in Armenia?! Da un gabbiotto igienico…
Mi fanno sedere; cercano di calmare la mia ansia con un bicchiere d’acqua, dei calorosi sorrisi e pacche sulla spalla. Un ragazzo mi fa vedere che ha un computer, col quale si può comunicare all’esterno e all’estero.
Mi connetto alla mia casella di posta elettronica e spedisco un messaggio alla mia amica Sandra e un altro a mio cugino Roberto. Spero vivamente che, almeno loro, hanno ricevuto le mie missive.
Ho provato a chiamarti con il mio cellulare, sai mamma, ma la chiamata non è consentita.
Ho paura. Credo di essere stata rapita!
Mi trattano bene, ma mi manca il calore della mia Patria, l’Italia, e dei miei affetti.
Ignoro lo scopo del mio trasferimento forzato in Armenia. Sono rinchiusa nella sacrestia di Sevanavank, il monastero di Sevan. Il sacerdote, Moses, mi dà il pasto una volta al giorno. Spesso mangio la trota del lago Sevan, l’ishkhan Koravats, accompagnata dall’insalata, da fette di pane, lavash, e da albicocche.
E’ estate e la spiaggia del Sevana Lich è frequentata da molti turisti, oltre che dalla gente del posto. A poca distanza dalla sponda del lago e dal luogo in cui mi trovo, è situata la cittadina di Sevan.
Moses mi ci ha fatto fare un giro e poi mi ha permesso di ritornarci da sola. Ti spedisco la lettera dall’ufficio postale situato sulla via principale della città.
In realtà, vedendo i taxi lungo la Nairian Poghots, vorrei buttarmi dentro ad uno di questi e andare all’aeroporto, per tornare a casa. Non ho potuto! Moses mi ha elargito dei soldi solo per un soorch, il caffé fortissimo degli armeni.
Se penso che a luglio dovevo venirti a trovare in Sicilia e, invece, sono involontariamente qua, mi vengono i brividi!
Ho pensato di farla finita con la mia prigionia, con la mia vita,… ma non posso e non voglio.
Al monastero, l’altra sera, è venuto un uomo, con la carnagione scura, circa quarantenne, ma portati male e dall’aria severa, malcelata da un paio di grossi baffi nerissimi. Si chiama Sinanian ed è venuto a cercarmi.
Sembra un gentiluomo, molto raffinato e vive e lavora a Yerevan.
Da ciò che mi ha confermato Moses, è un signore molto ricco. Il tempo libero lo trascorre nei locali notturni del quartiere di Nork, o nei caffé. Il motivo per cui vuole conoscermi è che si è perdutamente innamorato di me. Vuole sposarmi, anche contro la mia volontà. A quanto pare ha visto una mia foto su qualche rivista, dato che anni addietro facevo la ballerina.
Lui non mi lascerà tornare in Italia…e, per questo, sono qui: mi porterà all’altare.
Ho sempre pensato di sposare un giorno l’uomo che avrei amato e, invece, sono stata rapita da uno sconosciuto.
Ti prego, mamma avvisa le autorità competenti, in Italia. Aiutami a liberarmi dal mio oppressore. Da sola non ce la farò mai!
L’amore per te e la mia passione per la vita sono gli unici valori che mi sono rimasti, in questo mondo fatto di amarezze.
Aspetto con speranza che il mio Dio mandi la sua arca per salvarmi da una vita di sofferenza; non posso credere che il mio destino sia finire così, sposata ad un uomo che non amo.
L’amore è il fuoco della vita, ma senza di esso non c’è la potenza spirituale necessaria per andare avanti e la vita perde di significato.
Tuttavia, in questo breve periodo difficile trascorso in Armenia, la “terra di pietre urlanti”, per definizione di un poeta russo, ho capito che la gioia di vivere vale di più di qualsiasi tristezza.
Ti voglio tanto bene,
la tua bambolina bionda, Flowers.
Ciao… barev dzez, come si dice da queste parti.