Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “‘O tuppo, Napulione e antichi maquillage” di Ezilda Pepe

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Davanti al bagno della casa di mia nonna, c’era una stanza piccolina.
Una finestra, un comò antico , con un piano di marmo su cui erano collocati, in un ordine fisso, uno specchio dorato, spazzole, pettini, due confezioni di lacca per capelli, un barattolo di vetro blu che conteneva diversi smalti di colori chiari e perlati,la foto di vari Lari e Penati di famiglia, la macchina da cucire Singer ,’a cascia, imbottita, coperta di stoffa a righe beige e diversi cuscini.
Era il posto in cui andare a rifugiarsi con un librino perchè, di fatto, serviva essenzialmente a tre necessità : ‘o tuppo, Napulione e ‘o maquillage.
Attività che venivano espletate al mattino con puntualità compulsiva. Nelle mattine di giugno di fine scuola, era per me un appuntamento fisso. Ogni giorno andava in scena una sacra rappresentazione, il cui introibo era la cerimonia ‘ro tuppo, officiata da Zia Alfonsina e dalla cognata Ezilda.
Sulla sedia ad alto schienale sedeva mia zia davanti alla quale, su un telo di lino venivano posti due pettini, uno a coda e ‘o pettine stritto, sottili legacci neri, e ‘spungoli per fissare le chiome e un flacone che conteneva un profumo leggero, misto di acqua e colonia Atkinson, una colonia inglese dal sentore aspro e maschile.
Allestito l’altare con gesti ieratici e uguali, mia zia chiamava la cognata che, in cucina lavava le tazze della colazione, che aveva servito alle figlie ancora a letto e non rispondeva che al terzo richiamo, manifestando riluttanza a compiere un servizio sacerdotale che si ripeteva immutato da decenni.
Ogni giorno, mia nonna faceva ‘o tuppo a zia Alfonsina che di quella cerimonia era officiante, pretendendo che ogni momento del rito avvenisse secondo delle regole fisse.
Non si poteva mutarle nè distrarsi, i numi si sarebbero offesi se tutto non si fosse svolto ritualmente.
Non riuscivo a guardare mia nonna che scioglieva i lunghi capelli grigi, li aspergeva di profumo e li pettinava co’pettine stritto, non guardavo, sentivo il pericolo di offendere una divinità,non conoscevo Tiresia, ma il senso del mito mi era presente.
Solo quando i capelli erano stati raccolti in una coda al centro della testa, il silenzio veniva interrotto e dal rito ancestrale si passava dalla sacra rappresentazione, alla scena di teatro in vernacolo.
“Ezì, ‘e trecce strette, m’arracumann’, nun fà sempe chell, una cosa devi fare e falla bene , nun fai niente ‘ra matina ‘a sera, sul ‘o tuppo e manc’ chell’ vuò fà”
Mia nonna continuava in silenzio, solo di tanto in tanto, ripeteva fra sè ” Stu tuppo ‘o scepp’, invece di ringraziare ogni matina”.
” Dopo aggia cucinà, vir ‘e fa ampress’ e nun arrunzà, faccio l’alici ‘a tianella, fa scenn ‘ a fà a spesa e figlie toje, si nu fosse pe’ mme ndà sta casa hai voglia e sta rjuni e muort’e famma”.
La cerimonia terminava con un andante allegro perchè era il momento del caffè di metà mattina con la signora Baldi e la figlia, anch’essa attempata vergine Vestale, la parabasi ci portava in cucina.
A quel punto, mia nonna, come antica Sibilla stremata, si coricava sulla cascia, interrompendo i rapporti col mondo dei vivi.
Dopo un pò le giungeva la voce stentorea della cognata che la chiamava in cucina
” Ezì, Ezì, vien che s’hanna taglià e ‘mulignane!”
Mia nonna non rispondeva subito e ogni volta zia Alfonsina recriminava ” ‘o sapevo, sta facenn Napulione” e ogni volta, come ad illuminare un ombrifero prefazio spiegava agli astanti ” Napulione nu durmeva a notte, rurmeva ‘o juurno, ogni tanto si faceva nu poc e suonno e vinceva e guerre, a nonna toja fa cumm’a Napulione, ma guerra nun ne ha mai fatta. ‘Nda sta casa ‘e sciabole stann’appese e ‘e foderi cumbattono”
In cucina, in ascolto era spesso con me qualche nipotino della Signora Baldi, l’antica vicina di casa, e a noi picoli Zia Alfonsina narrava delle vanità della cognata ” In camera da letto. davanti alla fotografia di tuo nonno c’era un vaso con dei fiori rossi di carta velina. Ogni giorno io levav’a povera e ‘o guardavo, ma i fiori erano semp’chiù spennati.. ‘Na matina, la acchiappai ‘ncopp’ o fatto : che faceva ‘a nonna toja? Spennava e fiore, inumidiva il petalo e si metteva ‘o russo ‘nfaccia. Ecco qua, perciò teneva quel colorito ‘e giovinezza. Accattaje ‘e fiori bianchi e si levava ‘o vizio”
Mia nonna,intanto tornata in cucina, rispondeva ” Tu sì na bizzoca, meno male che ora ogni mattina mi trucco, mi tingo i capelli, mica comm’a te che mi pari ‘na vecchia e l’ottuciento!”
Si erano ormai fatte le undici e una voce attesa gridava dalla strada ” ‘E ceveze” e noi bambini mangiavamo i frutti rosso scuro che lasciavano sulle labbra come un rossetto color sangue.

Loading

6 commenti »

  1. Grandioso. Di nicchia, ma grandioso! Confesso che in qualche caso mi sono aiutato googlizzando…
    Suggerirei di spezzare certi periodi un po’ lunghi, per accrescere la leggibilità e conferire ancora più ritmo.
    Chiarirei inizialmente che Ezilda è la nonna e curerei meglio la spaziatura che affianca i segni di interpunzione.
    Tutto qui: dovrei essermi già fatto odiare abbastanza (^_^)

  2. Delizioso racconto in dialetto. Mi sono divertita molto leggendolo. Hai saputo caratterizzare benissimo i personaggi e farli vivere in questo “quadretto” casalingo. Complimenti!

  3. Ezilda, oltre ad aver scritto un racconto magnifico, ho appena scoperto che hai una cultura e una competenza sconfinata.
    È una vera sciagura non averti come Ministro dell’Istruzione!

  4. Che bello il napoletano, che bello capirlo, penso sia un privilegio (sono avellinese). Il racconto è vivo. Bello!

  5. Uh! Che bello Ezilda. Mi hai riportata indietro ai miei ricordi di infanzia, con mia nonna Margherita, detta Rita perché il nome era troppo altisonante e a quei tempi metteva imbarazzo, che si faceva fare la crocchia da mia zia e, in effetti sembrava ‘na vecchia e l’ottuciento! Ma era moderna, come la cognata del tuo racconto, e a un certo punto si scocciò della cerimonia e del disturbo che arrecava, si tagliò i capelli e se li fece argentare.
    Detto per inciso, lei era friulana. Altre latitudini, stesse abitudini.

  6. Leggere il tuo racconto e saperlo fra i vincitori mi ha reso felice di aver partecipato al concorso. Ad maiora semper!

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.