Premio Racconti nella Rete 2020 “La stanza della fantasia” di Roberta Morini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Era una fresca domenica mattina di primavera e in via dell’Indipendenza a Padova una multipla grigio metallizzata era parcheggiata davanti ad un grande palazzo condominiale tipico di quella grande e affollata città. A bordo sui sedili posteriori c’erano Pierre e Sofia due fratelli di 10 e 8 anni.
Sofia: naso appiccicato al vetro del finestrino guardava il grande palazzo che fino a quel momento era stata la sua casa; mentalmente elencava le finestre di quello che era stato il suo mondo e si chiedeva se un estraneo da fuori capiva quale era la finestra del bagno, della cucina o della sua camera.
Con l’indice ne disegnava i contorni sul vetro della macchina appannato dal suo respiro. Sofia era felice, a lei piacevano le novità e affrontava quel trasloco che si apprestavano a fare con entusiasmo. Pierre accanto a lei stava seduto impettito, guardava in avanti, lo sguardo non metteva a fuoco niente di preciso di tutto quello che lo circondava: era furibondo.
Furibondo per quell’ ennesimo trasloco; questo era il terzo da quando era nato e sapeva che non sarebbe stato l’ultimo, per questo era tanto arrabbiato, ogni volta doveva ricostruire i rapporti e le amicizie con tutti e per lui introverso questo era molto difficile e faticoso, soprattutto inutile perché sapeva già che tutto il suo lavoro sarebbe stato vano con l’inevitabile cambio di residenza che si verificava ogni 3/4 anni a causa del lavoro di suo padre.
In casa ne avevano parlato a lungo con lui, ma effettivamente non c’erano altre soluzioni se non quella di seguirlo tutti visto che sarebbe andato a lavorare in una zona molto distante da Padova e traslocando avrebbero continuato a vivere tutti insieme in famiglia e questo era l’importante, Pierre era d’accordo, amava i suoi genitori e la sorellina, ma sapeva già che l’inserimento a scuola con i nuovi compagni di classe non sarebbe stato facile e questo lo tormentava.
Erano rimasti soli in macchina momentaneamente, mentre il padre prendeva gli ultimi accordi con gli operai del furgone dei traslochi che li avrebbe seguiti nel viaggio fino alla nuova casa.
Adesso stava arrivando la mamma sorridente, dopo aver fatto l’ultimo controllo in casa per verificare di aver preso tutte le scatole con le loro cose.
Pierre pensò a come sembrava tutto facile: la loro vita, le loro cose, raccolte in cubi di cartone, senza mobili o altri complementi di arredo che ogni volta cambiavano; ma bastava aprire quegli scatoloni e la nuova casa non sarebbe stata più un’estranea e avrebbe preso i colori della loro vita, della loro storia.
Quasi contemporaneamente i due genitori aprirono ognuno dal proprio lato le portiere della macchina e salirono, un attimo dopo la macchina si avviò per la nuova destinazione che si trovava nel cuore della Toscana; nella campagna lucchese in una villa dei primi del ‘900 con un grande e bellissimo parco.
Erano le tre del pomeriggio quando la Multipla seguita dal furgone dei traslochi varcava l’ingresso del viale che conduceva alla villa; il grande cancello in ferro battuto era aperto e sembrava li aspettasse. I pneumatici della macchina cantavano sotto la pressione con il bianco ghiaino steso perfettamente sulla stradina.
Intorno a loro un bellissimo parco molto curato e dietro una dolce curva apparve finalmente la nuova dimora. Aveva un aspetto sobrio e solido: di pianta rettangolare, posta su due piani più le soffitte era intonacata di un giallo chiaro con le persiane verdi e nell’insieme rimandava un’immagine rassicurante e questa fu l’impressione di tutta la famiglia Alterigi, perché tutti e quattro si guardarono e contemporaneamente sorrisero.
Fuori ad aspettarli c’era una signora molto curata nell’aspetto che educatamente aspettò che scendessero dalla macchina e si avviò verso di loro con un bel sorriso di benvenuto e una calorosa stretta di mano.
La signora Luisa, così si chiamava la donna, dopo i primi convenevoli li accompagnò in casa facendoli accomodare nel grande e luminoso soggiorno, qui in modo affabile spiegò alla famiglia che la villa aveva due appartamenti, a loro era stata riservata l’ala a nord, mentre la parte a sud era privata e i proprietari ne usufruivano poche volte durante l’anno, quindi praticamente erano soli.
Per qualsiasi necessità avrebbero fatto riferimento a lei e mostrò loro un suo biglietto da visita. La signora si alzò dalla poltrona e andò verso la porta a vetri che dava sul balcone, guardando il parco e rivolgendosi a loro disse che nella dependance della villa abitava il giardiniere e custode della casa di campagna; concluse dicendo che era un uomo molto solitario e di poche parole ma brava persona, li invitò ad alzarsi e a affacciarsi al balcone per poterlo vedere e così facendo tutti e quattro videro un uomo anziano in tuta da lavoro, molto alto e magro, in testa portava un grande cappello di paglia intrecciata, quindi non ci fu il modo di vederlo in viso. Notarono una lunga barba grigia che gli scendeva dal mento, girandosi l’uomo mostrò di portare i capelli lunghi raccolti in una coda all’altezza della nuca che gli scemava sulle spalle magre.
Luisa consegnò le chiavi dell’abitazione e si congedò da loro augurandogli una buona permanenza.
Il resto del pomeriggio i ragazzi lo passarono in esplorazione dell’appartamento, mentre i genitori aiutati dagli operai della ditta di traslochi scaricarono il furgone dalle loro scatole, cercando man mano che le aprivano di mettere tutto a posto.
Con grande sorpresa la sera quando arrivò l’ora di andare a letto i ragazzi sul comodino della loro camera trovarono un regalo ciascuno lasciato dal proprietario della villa. Sofia trovò una scatola di latta rosa pastello e aprendola scoprì che questa a sua volta conteneva alcuni piccoli barattoli di vetro pieni di deliziose caramelle alla frutta, mentre Pierre trovò una fionda di legno fatta a mano, ne rimase entusiasta si vedeva già sdraiato sull’erba con la fionda in tiro pronta a colpire.
Si addormentarono felici, ripromettendosi che l’indomani sarebbero andati nel parco: lui con la fionda a caccia e Sofia con un barattolino di caramelle per quando si sarebbero fermati a riposare.
Il sole splendeva anche quel lunedì mattina e i due fratelli dopo una ricca colazione chiesero alla madre se potevano andare a giocare fuori nel parco………. Avevano percorso il viale inghiaiato che il giorno prima li aveva portati alla dimora e adesso erano davanti al grande cancello chiuso, decisero di tornare indietro e di addentrarsi nel parco.
Da lontano l’occhio vigile del giardiniere li stava osservando, i due bambini parlavano tra loro e ridevano seguendo i vari sentieri del grande giardino; a un certo punto scorsero in mezzo ad alti cespugli la dependance della villa nominata dalla signora Luisa, incuriositi si avvicinarono alla costruzione in evidente stato di abbandono: le persiane ormai vecchie e sciupate erano aperte mostrando gli infissi di legno consumati dal tempo e le intemperie, c’era persino una finestra con il vetro rotto. Dal tetto scendeva una grondaia arrugginita sganciatasi dalla u di ferro che la sorreggeva. Il portone di ingresso a due ante in legno scuro era in pessime condizioni: in basso il legno si era gonfiato e dava l’impressione che la porta fosse socchiusa, Sofia salì i due gradini che portavano al porticato d’ingresso e sospinse leggermente la porta che si aprì completamente, mostrando un ingresso molto ampio illuminato da un enorme lampadario a gocce di cristallo, una scala semicircolare in marmo e ferro battuto portava al piano superiore e sul pavimento in parquet scintillava un bellissimo tappeto persiano Nahavand rosso con dei motivi geometrici.
Pierre aveva seguito Sofia e anche lui era rimasto stupefatto: tanto la casa al di fuori era fatiscente e tanto era lussuosa e fastosa al suo interno, fecero solo due passi per ammirare meglio quell’insieme di maestosità poi fu un attimo; la porta alle loro spalle si chiuse con un tonfo assordante come se pesasse quintali e fu buio totale.
Ebbero la sensazione che il pavimento sotto di loro si alzasse e tutto ad un tratto sobbalzò in maniera sostenuta, entrambi caddero in ginocchio e si resero conto che entrando erano montati sul tappeto rosso di Nahavand , che adesso si stava sollevando da terra, ci fu un’altra scossa : il tappeto si stava muovendo in avanti lentamente ma stava prendendo velocità. Pierre ebbe la sensazione che si inclinasse verso l’alto come se fosse in salita.
Poi ci fu solo il buio, la velocità con cui il tappeto viaggiava, il vento che ne conseguiva e le loro urla disperate mentre si reggevano ai bordi del tappeto; un incubo……. Pierre non riusciva a pensare a niente, era paralizzato dalla paura. Si voltò leggermente a destra, allungò una gamba e senti il corpo di Sofia pietrificato come lui dal panico; la sentiva urlare a squarciagola.
Poi così come tutto era iniziato il tappeto rallentò docilmente, si fermò e si abbassò, i due bambini sentivano il suolo sotto il tappeto e con sgomento si alzarono nell’oscurità e mossero alcuni passi fino a quando non lo sentirono più sotto i loro piedi, si presero per mano incapaci di parlare, erano sudati dalla paura…fu Sofia a rompere il silenzio e chiese a Pierre: – Adesso cosa facciamo?
I loro occhi si erano abituati all’oscurità e adesso nella penombra riuscivano a intravedersi, Pierre si guardò attorno e capì che si trovavano in una grotta.
C’era un silenzio assordante, il tempo era scandito dalle gocce d’acqua che dal soffitto cadevano pesantemente al suolo, scandendone il tempo come un vecchio orologio a pendolo.
Guardandosi intorno il ragazzo si rese conto che se fossero tornati indietro avrebbero affrontato solo il buio, mentre dalla parte opposta si intravedeva uno spiraglio di luce, così disse a Sofia: – Andiamo da quella parte, verso la luce.
Man mano che avanzavano lo spiraglio di luce si apriva sempre di più, facendogli capire che seguendolo sarebbero usciti da quella grotta, Pierre non aveva il coraggio di pensare a cosa o chi avrebbero trovato una volta usciti fuori, quasi si sentiva più sicuro lì dentro. Intanto l’uscita si avvicinava, il fascio di luce adesso li avvolgeva completamente erano fuori. Sofia si era portata una mano tesa sulla fronte così da ripararsi dai raggi di sole che le colpivano il volto, Pierre non ebbe questa precauzione e ne rimase accecato per qualche istante.
Poi piano piano socchiuse gli occhi fino ad aprirli completamente; l’ambiente che lo circondava era piacevole, si trattava di un grande giardino almeno così sembrava non c’erano pericoli.
Si stava incominciando a rilassare chiedendosi dove mai fossero capitati quando una visione lo raggelò: in lontananza distingueva bene una giraffa, impossibile sbagliarsi, stava mangiando le foglie di un larice in tutta tranquillità. Pierre si guardò attorno con più attenzione e prese finalmente coscienza dell’ambiente in cui si trovava ed esclamò: <IMPOSSIBILE !>
Non aveva mai visto né sentito parlare di un ambiente come quello, dove le varie specie di piante convivevano in un unico habitat. Ma che fine aveva fatto il principio secondo il quale ogni specie vegetale ha bisogno di un ambiente adatto alle proprie caratteristiche? Mentre camminava osservava la natura impazzita che lo circondava: c’erano piante di conifere che crescevano rigogliose accanto a palme cariche di datteri e piante di musacee piene di caschi di banane mature, alberi da frutta con i rami pesanti di frutta da cogliere.
Anche Sofia guardava tra il meravigliato e il divertito i fiori delle stelle alpine accanto alle rose , le margherite che crescevano spontanee accanto alle genziane e i botton d’oro; era un concerto di specie vegetali , profumi e colori pazzesco e bellissimo nello stesso tempo. Mentre camminavano videro un gruppo di oche selvatiche che gli stava venendo incontro, c’era mamma oca e dietro in fila indiana i suoi tre piccoli, quando gli furono vicini Sofia esclamò: – Buongiorno! –
Mamma oca alzò le ali in segno di saluto e rispose: – Buongiorno a Voi e benvenuti! – Poi riprese il suo cammino dicendo ai suoi piccoli : – Qua qua, venite con me, tutti qua qua qua –
Sofia era contenta, Pierre si sentiva preso in giro, pensava non può essere vero, più si guardava attorno più si diceva: – Impossibile – a voce alta. A parte la diversità di specie vegetali che vivevano l’una accanto a l’altra e gli animali che parlavano sembrava non esserci altre forme di vita. Poi all’improvviso seduto su una roccia alta una decina di metri o forse più Pierre scorse una figura umana in lontananza, si avviò con Sofia lungo un sentiero inerpicato fatto di sassi e arrivò dinanzi a un uomo vecchio, indossava una tunica grigia logora, aveva dei lunghi capelli bianchi che gli scendevano sulle spalle, anche la barba lunga e grigia gli toccava il petto .
Nella mano destra teneva un bastone di legno e sul manico a ombrello spiccava una lettera incisa in profondità nel legno d’ebano, si trattava di una grande P. Sofia si avvicinò con fiducia a lui e con un colpetto di tosse distolse il suo sguardo fisso sul golfo che si apriva davanti a loro, l’uomo abbassò lo sguardo e guardò i due ragazzi studiandone la fisionomia e rimase in silenzio.
Pierre prese coraggio, lo guardò dritto negli occhi sperando che non si accorgesse di quanto era spaventato e gli chiese; – Salve, mi scusi mi può dire dove siamo? – L’uomo ricambiò lo sguardo , i suoi occhi azzurri come il mare che avevano difronte emanavano una sensazione di pace e tranquillità, abbozzò un sorriso e rispose: – Figliolo, non so rispondere a una domanda così precisa……- Poi allargò le braccia e disse: -<Vedi tutto questo? Ebbene qui ci siamo anche noi…..>
Pierre scocciato da una risposta così evasiva insistette: – ma dove siamo? Questo posto ce l’avrà un nome, sarà vicini a un paese, una città; noi ci siamo trasferiti qui da poco e io non conosco questa zona, mi dica per favore noi vorremmo tornare a casa! -Il vecchio rispose: – io non so indicarti la strada per tornare a casa, dovresti saperla tu che l’hai percorsa fino ad arrivare qui! – Pierre tremava dalla rabbia, quel vecchio si stava prendendo gioco di lui, il suo corpo acerbo di ragazzo era teso come una corda di violino e in più gli sembrava che quel vecchio leggesse i suoi pensieri e le sue emozioni come se lui fosse un libro aperto e questo lo esasperava.
Il vecchio adesso aveva messo una mano sulla testa riccioluta di Sofia e la stava accarezzando, anche Sofia provò a parlargli: <la prego signore, noi vogliamo tornare a casa… >
Poi mentre lo guardava posò lo sguardo sulla P incisa sul manico del bastone e gli chiese: < Come ti chiami? > lui guardando Sofia rispose: -<Io ho tre nomi.> Sofia; -Allora sei una persona importante! – Il vecchio sorrise e con la testa annuì, la bambina in soggezione per quella rivelazione rimase zitta.
Pierre e Sofia si misero seduti per terra ai piedi di quell’uomo misterioso e nel piegarsi Pierre sentì la fionda nella tasca dei pantaloni, ripensò alla sera prima, a come era stato felice per quel regalo inaspettato. Sofia tirò fuori il suo barattolino di caramelle e così per cercare confidenza prima di prenderne una per se ne offrì una al vecchio che l’accettò volentieri. Pierre era talmente assorto nei suoi pensieri per quella situazione così assurda e nello stesso tempo preoccupato perché non sapeva come uscirne fuori che non notò il bellissimo vascello che stava ancorato nel golfo proprio davanti a lui: era il Vasa. Furono abbattute mille querce per costruirlo, all’epoca fu il vascello da guerra più grande e costoso mai costruito. Ne conosceva tutta la storia e ne possedeva anche un modello di legno in miniatura che aveva montato con suo padre e tanta pazienza. Si distolse dai suoi pensieri sentendo un rumore dall’alto, sembrava un battito di ali amplificato, poi la vide nel cielo era un’aquila, le ampie ali dispiegavano un volo potente, veleggiato e maestoso, stava scendendo in picchiata verso di loro, Pierre ebbe paura strinse a se Sofia temendo il peggio, anche il vecchio alzò gli occhi e vedendola fece un grande sorriso, mostrando una fila di denti inaspettatamente bianchi e perfetti. Poi esclamò a voce alta: – chrysateos! Sei venuta a trovarmi! Non vi preoccupate lei è qui per me! –
Infatti l’aquila atterrò su uno sperone di roccia alle spalle del vecchio e rimase lì fiera, impettita in tutta la sua prestanza fisica. A questo punto Pierre esasperato si rivolse al vecchio urlandogli: <Ma che luogo è questo? Quando mai un’aquila che è un uccello solitario cerca la compagnia di un uomo? >.
Adesso piangeva, dicendo: < Dove siamo? >. L’uomo rispose: <Siamo nell’Iperuranio, una zona aldilà del cielo dove vi sono le idee immutabili, perfette raggiungibili solo con la mente. Non è colpa mia se siete qui….. >Pierre replicò: – Noi vogliamo tornare a casa, nella realtà, questo luogo è bello certo, ma adesso basta…. –
Il vecchio: – Io posso fare ben poco per aiutarti, devi rivolgerti a madre natura e chiedere a lei, ma non ti riceverà se non ti presenterai a lei con le tre chiavi d’oro. – Pierre: – Farò qualunque cosa per riportare a casa Sofia! Il vecchio si umettò le labbra e lentamente disse: – La prima chiave si trova presso la “ Quercus citrus limon” ovvero la quercia dei limoni, le altre due chiavi le troverai strada facendo. –
Pierre annui e rispose: – Grazie. – Il vecchio improvvisamente diventò molto serio, si alzò in piedi e con fare solenne si rivolse a Pierre chiamandolo Adamo dicendo: – Non ti ho dato né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri esseri è contenuta da leggi da me prescritte. Tu la determinerai da nessuna barriera costretto secondo il tuo arbitrio, alla cui podestà ti consegnai. Ti ho posto qui in mezzo al mondo perché da quassù tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Pierre non era sicuro di aver capito tutto il concetto dell’orazione del vecchio, ma gli era chiaro che se fosse uscito da quel luogo sarebbe stato solo merito delle sue capacità; si rese anche conto che uscire da quell’ambiente non sarebbe stato facile, avrebbe dovuto fare ricorso a tutte le sue forze, prima tra tutte mantenere la calma concentrandosi, lasciando la mente libera dalla sua emotività che molte volte lo paralizzava lasciandolo inerme nel momento di agire. Si disse devo rimanere fermo e lucido. Con questa convinzione prese la situazione in mano: scrutando dall’alto della scogliera dove si trovava vide una zona boscosa non lontano da loro, la indicò a Sofia e ripercorsero il sentiero che li aveva portati su quell’altura, quindi si avviarono verso la macchia , ben presto si trovarono nel bosco e in mezzo a ippocastani, pini e sequoie videro la quercia dei limoni. I suoi frutti scintillavano in mezzo agli altri alberi era altissima, osservandola da vicino Pierre si accorse che fra tutti i limoni ne spiccava uno in particolare per le sue proporzioni smisurate rispetto agli altri frutti. Senza dubbio quel limone conteneva la prima chiave d’oro, ma come arrivare a staccarla dalla pianta? Pierre e Sofia si guardarono intorno come per cercare qualcosa o qualcuno che li avrebbe aiutati.
Alle loro spalle stava arrivando una giraffa , si fermò davanti a loro guardandoli con i suoi grandi occhi dalle lunghe ciglia e lentamente abbassò il lungo collo; la testa fine e elegante era rivolta verso Sofia , infatti le disse: – Sofia sali sul mio dorso e afferra il limone – L’animale si mise in ginocchio sull’erba soffice in attesa. La bambina intimorita non sapeva cosa fare, ma dopo un cenno di approvazione del fratello salì sulla base del collo della giraffa che si innalzò fino ad arrivare al grosso limone, che Sofia stacco con facilità.
Appena scesa dalla giraffa Sofia le chiese: – Come fai a sapere il mio nome? – La giraffa rispose; – Vi ho visti arrivare e ho sentito mentre vi chiamavate – Sofia: – Tu come ti chiami? – La giraffa con un sospiro rispose: – Avrei voluto tanto chiamarmi Penelope, ma madre natura ha deciso! Giraffa! Non mi si addice questo nome, non è vero ragazzi? – ; senza aspettare la risposta si girò per andarsene con movimenti sinuosi, mostrando il posteriore e la lunga coda. Pierre teneva fra le mani il grosso limone che Sofia aveva raccolto, lo addentò provocando un’incisione sulla buccia e lo aprì facilmente, vide subito la bellissima chiave d’oro la cui testa finemente lavorata gli ricordava un disegno di stile arabesco, lungo la canna della chiave era inciso con chiare e eleganti lettere VASA.
Sul momento non riuscì a collegare un nesso logico tra il galeone e la scritta sulla chiave, poi si ricordò che in quell’ambiente la parola logica non esisteva. Ammesso che il Vasa si trovasse in quel luogo dal nome stravagante: Iperuranio, l’unica cosa da fare era quella di tornare alla scogliera che dava sul golfo e così fecero. Infatti all’interno del golfo c’era ormeggiato il mitico Vasa. Pierre e Sofia erano sulla spiaggia antistante al golfo alle spalle della scogliera, guardavano increduli e sbigottiti il galeone in tutta la sua bellezza, poi Pierre disse: – Sofia tu aspettami qui –
Senza perder tempo si tolse la maglietta i pantaloni e le scarpe , entrò in acqua con calma concentrandosi solo sul suo ritmo respiratorio, si immerse e a nuoto si diresse verso il vascello .
In prossimità del Vasa c’era un faraglione e il ragazzo si fermò un attimo per riprendere fiato, attaccandosi allo scoglio roccioso che emergeva dall’acqua, ancora una volta a voce alta disse: -Impossibile! –
Pierre aveva osato solo con il pensiero di poter vedere dal vivo il Vasa che si trovava nel museo di Stoccolma e adesso era davanti ai suoi occhi. Il galeone aveva su entrambi i lati delle meravigliose statue di legno coloratissime, alcune ricoperte con foglie d’oro; raffiguravano gli imperatori romani, inoltre c’erano delle sculture di leoni simbolo della potenza svedese, altre statue rappresentanti eventi mitologici nordici e persino una statua del re Gustav Adolf Vasa che l’aveva commissionata. (La sera del 10 agosto 1628 la nave fu varata nonostante non avesse superato la prova di stabilità a causa del pesante ornamento e le dimensioni sproporzionate che il re aveva preteso: troppo lunga ma soprattutto troppo alta rispetto alla larghezza. Durante il viaggio di inaugurazione una folata di vento la fece inclinare e l’acqua entrò nello scafo dai portelloni dei cannoni lasciati incautamente aperti per magnificare il vascello.
Così la nave affondò a poca distanza dalla costa e a pochi metri di profondità.) Pierre sapeva benissimo che era impossibile salire a bordo, sperava che la seconda chiave si trovasse in uno dei portelli dei numerosi cannoni che si trovavano in basso lungo la fiancata del galeone.
Si immerse di nuovo apprestandosi a fare il giro dello scafo per controllare, fu fortunato la trovò quasi subito, era avvolta in una striscia di velluto rosso, la prese e se la sistemò con cura tra l’elastico dei boxer e il suo fianco. Poi con il cuore gonfio di emozioni tornò a riva. Sofia eccitata come lui lo aspettava con ansia, insieme svolsero il tessuto che conteneva la seconda chiave.
Era identica alla prima, lungo la canna videro l’incisione di una testa di leone e una frase: “ Se per la gola mi prenderai, tu mi risveglierai .” Rimasero ammutoliti, ancora una volta il ragazzo ragionando si ricordò di aver visto un leone di pietra mentre si dirigevano nel bosco alla ricerca della quercia dei limoni, quindi ripercorsero il sentiero che portava in quella zona , addentrandosi nella macchia ben presto scorsero una radura , nel centro di essa c’era un leone di pietra delle dimensioni di un leone vero, sotto la zampa destra teneva uno scrigno di legno. Alle spalle del felino c’era un grande cancello di ferro battuto, uguale per dimensioni e disegno al cancello della villa. Tutto questo era inquietante, ma Pierre si sforzò di mantenersi lucido e non disse niente a Sofia che non l’aveva notato. “Se per la gola mi prenderai, tu mi risveglierai “ cosa voleva dire questa frase….. doveva toccare la gola del leone di pietra? E se si risvegliava e lo attaccava? Pierre aveva paura, ma doveva fare un tentativo. Si avvicinò al leone e allungò il braccio tremante toccandogli la gola, non succedeva niente, neppure se esercitava una certa pressione, allora ebbe un’idea. Si allontanò con Sofia e si nascosero dietro un cespuglio di felce e da lì Pierre spiegò il suo piano alla sorella: lui con la fionda avrebbe sparato delle caramelle verso il leone, che se si fosse risvegliato si sarebbe allontanato seguendole per terra. A quel punto lei doveva correre verso lo scrigno, portarlo via e tornare da lui. Con la consapevolezza della pericolosità di quell’azione i due fratelli attuarono il piano. La buona sorte fu dalla loro parte, adesso avevano anche la terza chiave, lungo la canna non c’era scritto niente; avevano finito, il leone era tornato al suo posto pietrificato. Il grande cancello si aprì e i due bambini lo varcarono camminando sul bianco ghiaino steso perfettamente sulla stradina, dietro una dolce curva scorsero un trono rifinito in velluto rosso e adornato da fiori appena recisi.
Un nugolo di colombe bianche volava a mezz’aria e dietro di esse si intravedeva una figura femminile, arrivate al trono le colombe si diradarono, mostrando madre natura che si apprestava a sedersi.
Era una signora piuttosto alta e corpulenta, indossava un abito di mussola gialla a mezza manica; sembrava una bambola antica. Quello che colpì di più i due fratelli fu il suo viso: portava i lunghi capelli corvini raccolti sulla testa come un turbante, il volto aveva un trucco pesante: le ciglia lunghe appesantite dal mascara, le sopracciglia disegnate con una matita scura, anche le labbra erano state ridisegnate a forma di cuore con un rossetto sgargiante, inoltre si era fatta due vistosi nei con la matita; uno sulla guancia e l’altro sul mento. Decisamente il suo aspetto era esuberante ed egocentrico. Pierre pieno di riverenza salì i due gradini della pedana sulla quale stava il trono e porse lo scrigno con le tre chiavi d’oro a madre natura, che lo prese e lo aprì poi rivolse ai bambini un sorriso promettente e disse: -Ebbene cosa volete da me? – Pierre: – Noi vorremmo che lei ci indicasse la strada per tornare a casa. – A questo punto madre natura si aprì in una risata cattiva e disse: – Avete visto strade in questo ambiente? –
Pierre: – No – Madre natura continuava con la sua risata sardonica, poi chinandosi verso di loro disse: – Devo ammettere che siete stati bravi a recuperare le chiavi, a parte la prima che vi ha aiutato Penelope. –
Sofia disse: – Come fa a saperlo? – Madre natura: – Io so tutto, non c’è pianta che fiorisca o perda una foglia senza il mio volere! –
Poi continuò: – E così volete tornare a casa….. per fare questo dovete bere l’acqua della sorgente azzurra, ne basta un piccolo sorso i suoi poteri sono eccezionali – Pierre speranzoso le chiese: – Dove si trova la sorgente? Madre natura: – E’ lassù in cima, se vi girate potete vederla – Pierre e Sofia si girarono puntando lo sguardo in alto, videro una montagna impervia con pareti rocciose a picco.
La risata sprezzante, maligna, provocante di madre natura echeggiava nell’aria , era talmente convulsa che le faceva sussultare il seno e la pancia . I due bambini chinarono la testa, si voltarono e andarono via con le spalle curve, umiliati e sconfitti.
Tornarono alla radura , non sapendo cosa fare, ma c’era una sorpresa per loro, infatti vicino al leone di pietra videro l’aquila che li aveva spaventati alla scogliera e non era sola ce n’era un’altra identica a lei, sembrava proprio che le due aquile stessero aspettando loro, difatti la prima aquila disse: – Salite –
Pierre aiutò Sofia a sistemarsi tra le potenti ali della seconda aquila, poi salì anche lui sull’altra. Spiccarono il volo e fu bellissimo…… dall’alto il paesaggio era ancora più suggestivo e pazzamente affascinante, tutte quelle piante così diverse tra loro che convivevano insieme.
Pierre si voltò e vide Sofia: teneva le braccia intorno al collo del rapace e si era addormentata con la testa immersa nelle morbide piume. Ben presto si trovarono sull’altura proprio davanti alla sorgente azzurra, che fuoriusciva spontanea dalla roccia, provocando con il suo tonfo un piccolo specchio d’acqua. Pierre si sporse con le braccia tese e le dita delle mani incrociate per formare un incavo e contenere la magica acqua, ma ahimè quando si portava le mani alla bocca per poter bere, si accorgeva che queste erano completamente asciutte.
Ripeté l’operazione molte volte senza successo, era l’ennesima beffa, ma non si scoraggiò, rimase calmo e pensò lucidamente. Il suo viso si aprì in un sorriso, chiese il barattolino delle caramelle ormai vuoto a Sofia e lo riempì d’acqua, aveva capito che quella linfa incantata non doveva essere toccata con le mani.
Si misero l’uno difronte all’altro, il primo sorso fu per Sofia dopo bevve lui, ma ancora accidenti! Non succedeva niente…….
Poi lentamente dal basso si formò una nebbia che si innalzava avvolgendoli, adesso non vedevano più niente di tutto quello che li circondava. Poi gradualmente la nebbia si diradò e si ritrovarono sul portico della dependance del giardiniere.
Lui era lì, proprio davanti a loro, la lunga barba grigia, i capelli lunghi bianchi, lui era il vecchio che avevano conosciuto nell’Iperuranio. Pierre e il giardiniere si guardarono intensamente negli occhi
Il vecchio vide negli occhi del ragazzo il Vasa, il volo con l’aquila, la natura impensabile di quel luogo. Pierre invece vide l’aurora boreale con le sue bande luminose rosse, verdi e azzurre, la rugiada sui petali dei fiori la mattina e rossi tramonti a fine giornata. Sofia guardava estasiata e divertitagli occhi ora dell’uno, ora dell’altro, poi le immagini svanirono e l’iride di Pierre tornò color nocciola, quella del giardiniere azzurra. Quell’uomo misterioso sospinse leggermente il portone che si aprì completamente, mostrando una stanza sguarnita. Non c’era più quel bellissimo lampadario a gocce di cristallo e al posto del tappeto rosso di Nahavand c’era un tavolo di formica scorticato illuminato a malapena da una lampadina attaccata a un filo elettrico che penzolava tristemente dal soffitto. Non c’era niente da dire, Pierre e Sofia si presero per mano avviandosi verso la loro nuova casa, sapendo che avrebbero rivisto quel luogo incantato tutte le volte che lo avessero desiderato, perché LA STANZA DELLA FANTASIA sarebbe stata lì ad aspettarli per sempre.