Premio Racconti nella Rete 2020 “Il viaggio di trilletta” di Alessandra Montali (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Nel piccolo paese della valle viveva Trilletta, una giovane ranocchia che amava cantare sulle rive del fiume, nelle notti di luna piena.
Trilletta aveva una voce diversa da tutte le altre, melodiosa e soave attirava tutti i piccoli abitanti del fiume che si ritrovavano sotto il ponte del paese tra gli anfratti erbosi, avvolti dalla nebbiolina.
Una mattina però Trilletta si accorse di non avere più la voce. Le amiche disperate corsero a chiamare la dottoressa Cra che si precipitò a visitarla.
“Cara Trilletta, questo posto non va più bene per te. Troppa umidità, hai una brutta infiammazione alla gola. Devi trasferirti. L’aria del mare ti farà bene, poi quando sarai guarita, ritornerai al fiume.”
Trilletta ascoltò sbigottita mentre la dottoressa Cra continuava :”C’è un grazioso laghetto proprio vicino al mare. Devi andare lì. Ti accompagnerà Graziano, non temere è un mio amico fidato.”
La piccola rana si sentì morire, ma tutte le amiche la incoraggiarono con affetto e lei accettò di partire. Le ranocchie si distribuirono lungo le rive del fiume e a gran voce chiamarono Graziano, il cormorano che soggiornava nel parco acquatico poco lontano dal paese.
Lo videro arrivare da lontano: elegante con le lunghe ali, sorvolò il fiume e atterrò vicino al gruppo delle ranocchie.
“Salve a tutti!” esordì togliendosi il cappellino bianco dalla testa.
La dottoressa gli spiegò la situazione e lui accettò di accompagnare Trilletta al mare.
“A presto!” le dissero in coro le amiche tra le lacrime. Le abbracciò tutte con lo sguardo e senza voltarsi indietro si sistemò tra le piume di Graziano. Tremando di paura, chiuse gli occhi e gli strinse con delicatezza le manine intorno al collo. Graziano si librò in volo e Trilletta si concentrò sul gradevole effetto dell’aria che l’accarezzava. Riaprì gli occhi solo quando capì che Graziano era finalmente atterrato. Si ritrovò circondata da canne alte, marischi e da strane creature che la stavano osservando con interesse.
“Ciao!” le dissero “noi siamo le tartarughe americane e siamo ghiotte di…rane!”
Trilletta corse a rifugiarsi in un anfratto del laghetto, così stretto che soltanto lei poteva entrarci, mentre Graziano, con un movimento repentino dell’ala, le fece indietreggiare.
“Ritornerò a prenderti appena lo vorrai, tieni questa collanina, ha una piccola stalattite bucata. Se ci soffi dentro, io ti sentirò e ti verrò a prendere.” Le disse il cormorano avvicinandosi alla sponda del piccolo lago.
Trilletta si accarezzò il piccolo ciondolo e seguì con gli occhi tristi il volo di Graziano verso casa, fino a che diventò un puntino nel cielo.
I giorni passarono, ma la brezza marina non riuscì a far ritornare la voce alla ranocchietta. Sconsolata se ne stava nel piccolo nascondiglio tra le canne e l’acqua salmastra del laghetto. Come ogni mattina usciva dall’acqua e saltellava intorno al lago. Faceva dei grandi respiri e provava a emettere alcuni suoni. Tutta concentrata chiudeva gli occhi e spingeva per far uscire qualcosa dalla gola. Le sarebbe bastato anche un piccolissimo suono, per darle coraggio, speranza e per farle accettare quell’esilio forzato. Ma nulla, ogni giorno così. Una mattina, mentre si era fermata vicino allo steccato dello stagno, vide all’improvviso qualcosa che volava. Lì per lì pensò fosse il suo amico cormorano. Alzò una zampina in segno di saluto. Ma più quell’uccello si avvicinava e più si rendeva conto che non era Graziano. Impaurita provò a saltare dentro lo stagno, ma qualcosa l’afferrò per il laccetto della collana e si sentì sollevare in aria. Agitava vorticosamente le zampine e girò la testa per capire chi l’avesse afferrata. Vide sopra di sé un grosso becco grigio, poi all’improvviso il misterioso volatile la mollò e lei planò sulla sabbia. Il faccino si conficcò nella sabbia riscaldata dal sole e con tutti quei granelli nel naso iniziò a starnutire. Di fronte a lei un tappeto azzurro: il mare, gliene aveva parlato la mamma e si era raccomandata di stargli alla larga:” L’acqua salata non fa bene alle rane.”
L’uccello la stava osservando con aria interrogativa, mentre si toglieva tutta la sabbia di dosso.
“Ma tu chi sei? Ti avevo scambiata per un pesce che era guizzato fuori dello stagno. Ogni tanto ne prendo qualcuno al volo. Ah non mi sono presentato: sono Ivano il gabbiano.”
Le si avvicinò e Trilletta indietreggiò.
“Non aver paura, non voglio mangiarti. Non sei mica un pesce.” Si fermò un attimo, reclinò la testa di lato senza smettere di fissarla e poi aggiunse:” Non lo sei vero?”
La ranocchia si affrettò a scrollare la testa.
“Ma tu non parli?”
Trilletta scrollò di nuovo il capo, ma senza voce capì che non avrebbe potuto aggiungere altre spiegazioni.
“Magari sei commestibile anche se non sei un pesce. Fammiti dare una beccatina.”
Trilletta scappò saltellando sulla spiaggia, sentiva le ali di Ivano dietro di lei. Quanto avrebbe voluto gridare per chiedere aiuto!
In quel momento un enorme granchio corse sulla sabbia verso Trilletta. La povera rana si sentì perduta e capì che da uno dei due sarebbe stata di certo divorata. Il gabbiano appena vide il granchio frenò subito la corsa e invertì la rotta. Trilletta rimase impietrita di fronte a quello strano animale.
“Non aver paura! Non voglio mangiarti!” le disse.
La rana lo lasciò avvicinare e lui si presentò.
Gabrio era il vecchio granchio del posto, che aveva sentito parlare di Trilletta dai discorsi delle tartarughe. Le rivelò un antico segreto:” Tu devi andare da Silla che sta sui monti, parecchio lontano da qui.”
Trilletta spalancò gli occhietti e Gabrio continuò:” Si dice che sia una specie di fata. Aiuta sempre tutti quelli che hanno un cuore puro.”
Trilletta annuì speranzosa.
“Ti potrebbe accompagnare la mia amica. L’importante è che tu non ti spaventi per le sue dimensioni, sai, è un po’ grande. Ha un grande becco, zampe robuste e artigli d’acciaio.”
Trilletta impallidì.
Gabrio si affrettò ad aggiungere:” Ma è buonissima! Si chiama Ilaria. Adesso le faccio un fischio e tra poco sarà qui con noi.”
Gabrio soffiò tra le chele e ne uscì un suono strano che si propagò nell’aria. Le tartarughe si nascosero subito tra le canne. Gli uccelli scapparono e le cicale si zittirono. Il silenzio era rotto soltanto dal vociare delle onde del mare, lì vicino. Sia Gabrio che Trilletta non riuscivano a staccare gli occhi dal cielo. Il granchio indicò un puntino e l’avvertì che Ilaria stava arrivando. Era ancora parecchio lontana, ma da come batteva le ali, si capiva che era grande e più si avvicinava, più Trilletta aveva paura. Un vento improvviso accompagnò l’atterraggio dell’animale. La piccola rana fu scaraventata nell’acqua e Gabrio ruzzolò varie volte sui sassolini.
“Salve a tutti. Io sono l’aquila Ilaria e volo veloce nell’aria.” Il rapace si presentò gonfiando il petto.
“Ilaria cara, che piacere rivederti.” L’accolse Gabrio appena riuscì a ricomporsi.
Intanto Trilletta aveva tirato fuori la testa dall’acqua e stava scrutando la nuova arrivata. Era maestosa e regale nel portamento, lo sguardo fiero e intelligente. Osservò gli artigli possenti e rabbrividì al pensiero di starle vicino. Guardò i due amici che parlavano tra loro, poi Gabrio la chiamò e Trilletta timidamente uscì dall’acqua. Si sentì una formica vicino a lei.
“Non ti preoccupare, mia piccola amica, ti condurrò io dalla maga Silla. Presto, salta su, ci aspetta un viaggio emozionante fino alle montagne.”
Trilletta spiccò un gran salto e atterrò tra le folte piume di Ilaria. Da quell’altezza Gabrio sembrava minuscolo. Agitò la zampina in segno di saluto e si accovacciò dietro il collo dell’aquila. Con le zampine strinse con delicatezza il collo del rapace e decise di non chiudere gli occhi: doveva avere il coraggio di guardare dove stesse andando. In breve tempo, il mare lasciò spazio a prati ricchi di fiori, alberi e animali che attraversavano le valli. Poi il paesaggio divenne più roccioso, capì che le colline dalle forme dolci e arrotondate avevano lasciato il posto alle montagne con le loro alte vette appuntite.
Si sentiva al sicuro protetta dalle piume morbide. Aveva dormito così poco in quei giorni di permanenza al lago per paura di essere mangiata dalle tartarughe, che adesso si rese conto di avere un sonno tremendo. Si raggomitolò sbadigliando. Neanche si accorse che gli occhi le si stavano chiudendo e poco dopo sprofondò nel sonno.
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“Trilletta… Trilletta…” una voce la raggiunse e all’improvviso si ritrovò sveglia. Davanti a sé gli occhi dorati di Ilaria la stavano scrutando.
“Dormigliona, siamo arrivate.” Le bisbigliò.
La ranocchia saltò subito in piedi e si guardò intorno. Si trovava in una grotta poco illuminata. Il leggero sibilo del vento entrava da una spaccatura del soffitto, da dove penetravano anche i raggi di luce.
Trilletta dovette socchiudere gli occhi per mettere a fuoco la figura che sedeva al centro della grotta.
“Vieni Trilletta, voglio conoscerti.” Esordì la voce.
La piccoletta indugiava e così Ilaria la spinse con delicatezza col becco. Si avvicinò titubante e capì che si trattava di una bella signora dai capelli neri, ondulati, vestita con un lungo abito verde smeraldo.
“Sono Silla e ti trovi nella mia casa. Conosco la tua storia, so che hai perso la voce.”
Trilletta annuì sospirando.
“So che il mio amico Gabrio ti ha parlato di me.”
Trilletta fece di sì con la testolina.
“Parla. Ti è concessa la voce per poter parlare con me.” Le spiegò la donna.
“Dav…vero?” balbettò la ranocchietta incredula.
“Certo. Dimmi cosa faresti per poter riavere per sempre la tua voce e ritornare a cantare nelle notti di luna piena?”
“ Qualsiasi cosa.” Le rispose decisa.
“Uhm…sicura?”
“Sicura.” Ribadì Trilletta.
La maga si passò le dita tra i capelli, le sorrise mostrando denti bianchissimi e ritornò a parlare:” Sono felice di questa tua risposta, perciò decido che tu, Trilletta, ranocchietta dalla voce melodiosa, rimanga qui per sempre tra i monti a cantare per deliziarmi.”
Trilletta sobbalzò e disse tutto d’un fiato:” No, non posso rimanere qui con te, maga Silla, le mie amiche mi stanno aspettando da tanto tempo. Scusami.”
Gli occhi della maga mandarono bagliori, l’espressione del viso si indurì e con voce cupa le disse:” Se tu non resti con me, io sarò costretta a toglierti la voce per il resto dei tuoi giorni. Questo è lo scotto che devi pagare per ritornare a cantare.”
Trilletta scrollò la testolina e replicò :”Non mi importa della voce. Rivoglio le mie amiche e mi manca il fiume. Mi mancano tanto, loro sono parte di me.”
Silla rimase immobile a fissarla, aspettò che Trilletta ci ripensasse. Provò a farle cambiare idea.
“Staresti bene, non ti farei mancare nulla. Anche qui c’è un meraviglioso fiume che scorre tra le gole di questa montagna e ti faresti nuovi amici. Tutti ti ascolteremo cantare nelle notti di luna piena.”
“No.” Rispose e saltò sul dorso di Ilaria pronta per ripartire.
L’aquila abbassò gli occhi e stava per spiccare il volo dal balcone della grotta, quando la maga la fermò:” Aspettate!”
Ilaria e si fermò. La maga porse la mano a Trilletta e lei ci saltò sopra. La fece accomodare sulla spalla e i loro sguardi si incrociarono.
“Ho un’altra possibilità da offrirti. Se vorrai continuare a cantare nel tuo fiume, devi mettere nella sua acqua una pozione magica che io stessa ti preparerò e che ti proteggerà la gola.”
“Sì!” esclamò la ranocchietta felice. Poi ritornò pensierosa e chiese:
” Ma questa cosa…cosa fa all’acqua?”
La maga spiegò:” L’acqua del fiume non sarebbe pulita come lo è ora e molte delle tue amiche potrebbero avere il mal di pancia… ma forse i più sfortunati sarebbero i pesci. Potrebbero morire.”
Trilletta rimase a bocca aperta. Come poteva accettare un simile compromesso?
“No! Mai!” gridò risoluta e saltò di nuovo sulla schiena di Ilaria.
“Non voglio che il mio fiume diventi sporco e faccia star male i miei amici. Io li amo e preferisco non poter più pronunciare alcuna parola. Imparerò a farmi capire anche senza voce.”
Gli occhi della maga si fecero ancora più luminosi e il bel volto si addolcì. Si avvicinò all’aquila e le accarezzò il bel piumaggio, poi prese il musetto di Trilletta tra le mani e con dolcezza le rivelò: ”Ho voluto solo metterti alla prova. Io aiuto sempre chi giunge a me col cuore puro. Ho capito quanto per te sia importante l’amicizia e il tuo fiume. Avresti preferito perdere la voce per sempre pur di non perdere le amiche e pur di non danneggiare il tuo fiume e i suoi abitanti. Dolce Trilletta, hai superato brillantemente le prove e io, la maga Silla, decido che te ne ritornerai oggi stesso, da dove sei venuta. Aiuterò Ilaria a volare più in fretta e ho già avvertito Graziano che ti aspetterà al lago insieme al mio fidato Gabrio.”
“Grazie, maga Silla.”
“Un’ultima cosa prima che tu vada…Devi bere questa pozione magica, ti guarirà.”
Trilletta sgranò gli occhi e chiese:” Cosa c’è dentro?”
“C’è il raggio più luminoso che la luna ha donato e dentro ci ho trovato i pensieri d’affetto delle tue amiche rane. Ci ho aggiunto un po’ d’acqua della mia sorgente purissima ed ecco la magia!”
Trilletta bevve fino all’ultima goccia, era molto fresca e leggermente frizzante. Le solleticò la gola.
“E ora andate e fate buon viaggio!” augurò Silla.
Trilletta le lanciò un bacetto sulla punta della manina e si accomodò tra le piume di Ilaria. Non vedeva l’ora di riabbracciare le amiche e di fare il bagno al fiume. Si disse che avrebbe dedicato una canzone a Silla, lei era una maga e di certo l’avrebbe sentita cantare, anche se era molto lontana. Avrebbe poi fatto una dedica speciale alla prima occasione di luna piena, quando la regina della notte si sarebbe specchiata in tutto il suo splendore nelle acque del fiume.
Il sole stava tramontando, sospirò di felicità al pensiero che lei, Trilletta dalla voce melodiosa, stava ritornando a casa.
Nessun pensiero le sembrò più bello.
Acc… nel titolo Trilletta non ha la lettera maiuscola. Povera ranocchietta speriamo non si sia offesa.
racconto delizioso
Favola delicatissima, scritta con tocco soave. Il tuo racconto mi ha fatto tornare alla mente una favola che raccontavo ai miei nipoti (oggi sono studenti liceali a Milano) alcuni anni fa. Faccio Gaziano di cognome e raccontavo loro che, una volta, raccolsi un gabienello con l’ala ferita alla spiaggia dei Conigli di Lampedusa (dove trascorro l’estate), lo curai, lo chiamai Gazianello, come Gazianelli chiamo i miei nipoti Roberto Giulio, e lo rimisi in volo. Raccontai loro che ero diventato amico di Gazianello e che lui tornava a trovarmi se lo richiamavo con un fischio. Per qualche anno mi credettero, oggi ovviamente è diverso ma resta l’incanto di una favola bella e la dolcezza di un ricordo indelebile. Brava, complimenti. Non mi è difficile prevedere che sarai una dei finilisti. Un abbraccio, da nonno Gaetano
Grazie Gaetano! Le tue parole mi hanno fatto molto piacere. Fortunati i tuoi nipoti ad avere un nonno così poetico e narratore di belle storie.
Racconto molto piacevole e simpatico.
Bella storia con un insegnamento importante. Vale sempre la pena di rinunciare a qualcosa cui teniamo per proteggere gli altri e la natura.
Per un po’ mi hai fatto tornare bambino. Brava.
Chissà se la ranocchietta è poi riuscita a rimanere per sempre lontana da un piatto di risotto!?!?
Grazie Jessy, Pasqualina e Leonardo per i vostri commenti: i racconti per i bambini trascinano anche gli adulti con animo bambino. Per rispondere a Leonardo: spero che Trilletta si sia salvata dal risotto. Sai? Il mio paese è piuttosto famoso per l’arte culinaria delle ranocchie!
Racconto davvero carino, con una bella morale. Bravissima!