Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Foto dal Cuore” di Sharon Francois

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Nudo sul letto, un corpo classico, agile e scolpito, innocente della sua giovane bellezza, Sam era il modello ideale per la Nikon D300.

Mayumi si era sciolta dal groviglio delle lenzuola alle sette; la sua sveglia interiore indifferente a ogni situazione. Seduta sul pavimento lo osservava dormire; le sue grandi mani non tradivano alcun rimorso o rimpianto. Sorrise soddisfatta. L’unica nota negativa, l’invidia per il sonno del ragazzo, indisturbato dalle chiacchiere e dalla luce che filtravano dalle tende. Durante la notte le aveva rubato la coperta e l’aria condizionata aveva finito per farla scendere dal letto troppo presto. 

Scosse la testa: in realtà la colpa non era del freddo né del ticchettio dell’orologio. Era scappata, quasi, dal primo abbraccio di Sam per uno sciocco ed inopportuno senso di colpa che non aveva ragione di essere giustificato a nessuno.

Forse era stata sola e impegnata troppo tempo per ricordarsi quanto fosse importante anestetizzare il cervello di tanto in tanto e vivere per desiderio. Sam era stato l’inattesa arma per affondare definitivamente gli egoisti errori con i quali aveva immaginato un futuro: non le aveva promesso niente, nessuna bugia per convincerla a smontare la corazza, solo una generosa disponibilità del suo corpo.

In fondo era quello che lei gli aveva chiesto dal primo momento.

Mayumi fotografava nudi maschili e per offrire al mercato un prodotto nuovo, aveva lasciato il Giappone e si era trasferita a Bangkok da due anni. I due paesi pur essendo generati dallo stesso continente non potevano essere più diversi. In Giappone anche una metropoli sovraffollata e guizzante quale era Osaka aveva un ordine, un protocollo da seguire; a Bangkok sembrava che ogni cosa ed ogni persona seguisse un impulso disgiunto dagli altri. Uno zigzagare di elementi opposto alla linearità di una catena. Individui cordiali distinti dalla massa conciliante. Per Mayumi era stato difficile adattarsi all’ “io” e mettere da parte la società che da sempre era stata il fine ultimo delle proprie azioni; si era trovata smarrita a non avere altro che sé stessa da soddisfare, a scegliere solo per realizzare le proprie aspettative.

La Città degli Angeli era un intricato ventaglio di piccole strade, canali e viali sempre impreziositi da un tempio di squisito decoro. L’architettura Khmer era restia a umiliarsi dietro palazzi più moderni ed efficienti e la capitale era stata divisa in due zone principali dove arte e finanza non s’intralciavano. Il Grande Palazzo Reale, la Montagna Dorata e l’Altalena Gigante erano trofei imperdibili a guardia di una miriade di piccoli mercati di strada, lunghe botteghe di artigiani e infinite statue votive del Buddha.  Wat Rachabopit era stato il primo tempio che Mayumi aveva visitato. Era situato dietro il suo albergo ed era senza dubbio l’edificio più appariscente del quartiere, di per sé solo un agglomerato di baracche in lamiera lungo un fetido canaletto. Per mesi si era astenuta da consumare ogni tipo di pietanza che veniva cucinata e venduta in quei casotti, un ibrido fra abitazione e ristorante. Aveva storto il naso ripetutamente alle scarse condizioni igieniche che insaporivano quegli invitanti piatti ma poi…qualcosa dentro aveva cominciato a cambiare. Aveva scelto di vivere là e la carta vincente che aveva per non lasciarsi sconfiggere dal diverso era fare prpria la differenza. Vivere da giapponese in un luogo che non era il Giappone era un inutile orgoglio che fomentava solo la sua ignoranza e non il coraggio di aver lasciato il proprio paese.

Innamorarsi dell’ambiente che la circondava non voleva dire rifiutare il Giappone ma piuttosto dimostrare come lei, poiché individuo educato alla patria, potesse ancora sentire la sua terra come uno stato in divenire, in perenne confronto con altri e non solo una realtà di fatto immobile. I suoi principi ed il suo credo, limitati per ragioni naturali all’omogeneo ambiente dell’arcipelago, potevano smussarsi e migliorarsi non appena avesse lasciato all’ambiente il compito di incuriosirla. Bangkok era stata una scelta di lavoro ma era ora la sua vita e doveva sentirla in ogni aspetto.

L’azzurro del cielo circondava l’oro dei pinnacoli del tempio; frammenti di vetro colorati incastonati nelle colonne e aroma di frangipani… dolcissimo. Deserto in quella fresca ora del mattino se non per i guardiani di stucco ed i merli, il chiostro era bagnato dalla pioggia della sera prima.

Rinvigorita la sua volontà al successo in quella città, Mayumi aveva iniziato a studiare la lingua, aveva maturato amicizie interessanti e notava con soddisfazione che il proprio website registrava richieste da clienti non circoscritti alle sue conoscenze. L’ultima commissione proveniva da una compagnia di orologi giapponesi che per promuovere il prodotto fra le donne, ricercava volti e corpi pubblicitari non asiatici.  La chiamavano pubblicità di lusso: pur essendo mirata a un pubblico nazionale, mostrava caratteristiche di altri paesi ritenuti generalmente i migliori del campo. Con tutti i fotografi che c’erano sul mercato, Mayumi si era non poco meravigliata che la richiesta venisse fatta a lei, là in Thailandia ma le ragioni le arrivarono eccitate per posta elettronica

“Mayumi, ho mostrato alcune delle tue foto al capo di Teruo: se piacciono ti sei assicurata un contratto da migliaia di yen!”

Sua sorella Aiko era sempre stata la più entusiasta sostenitrice dal momento in cui aveva iniziato a prendere la fotografia sul serio. Così quando era venuta a sapere che la ditta del fidanzato cercava foto professionali per una pubblicità nuova, lo aveva convinto a mostrare al capo il portfolio della sorella. Venti giorni dopo Mayumi aveva assicurato che le foto sarebbero state pronte per la fine di settembre ma a distanza di pochi giorni dalla scadenza, gli scatti si erano rivelati vuoti e deludenti.

Per colpa della fretta, aveva dovuto candidare modelli casuali con cui non aveva mai lavorato; le agenzie di cui si era servita fino ad allora erano sempre state efficienti ma adesso lei voleva un soggetto caucasico che parlasse possibilmente l’inglese se non il Giapponese, cui spiegare in poche ore cosa voleva dalla sua posa. Non sicura di essersi espressa bene al telefono, aveva visitato ogni singola agenzia per ripetere la richiesta poi, corrisposta solo dal silenzio, aveva iniziato a stendere una lettera di scuse alla compagnia. Aiko le aveva suggerito di fermare un turista per strada e proporgli l’affare ma Mayumi si era rifiutata la seccatura scusandosi in anticipo con Teruo per il probabile fallimento. La sera stessa la telefonata di salvezza ma ci volle poco per trasformare l’euforia in rabbia: il modello era, in effetti, grazioso e perfetto al target cui lei mirava ma era un dilettante le cui esperienze si limitavano alle foto che mandava agli amici per blog!

Una mattinata di scatti era terminata in foto asettiche e imbarazzate ed ogni ritocco che Mayumi cercava di apportare era bloccato dalla barriera linguistica: lui, francese, non capiva accuratamente il suo Inglese e di conseguenza lei non capiva le sue ragioni. L’unica cosa che le era parsa chiara era che Sam ci teneva a mettere in mostra i suoi muscoli, ovunque essi fossero! Ma quello che Mayumi voleva non era il suo corpo ma l’infinità possibilità di desideri che attraverso quelle membra avrebbe saputo trasmettere alle acquirenti. Fotografa e modello non si leggevano: lei aveva scadenze, lui tempo libero; lei mirava all’effetto oltre la fisica,lui all’ammirazione per il fisico. Mayumi non aveva scelta: in mancanza di altri professionisti, non poteva che dare a Sam la possibilità di imparare il suo linguaggio di chiaroscuri, nel minor tempo possibile. Anche in questo caso si trattava di mettere da parte i pregiudizi, abbattere le differenze e amalgamarsi nell’altro.

“ho bisogno di conoscerti per capire cosa prendere da te” gli disse impacchettando la Nikon.

“pensavo le servisse solo il mio corpo…”

Mayumi abbozzò un sorrisetto indulgente, uno dei tanti che aveva regalato quando la gente si complimentava solo per il soggetto e non la sua abilità.

“Sam, io non voglio che chi guarda le mie foto veda solo un orologio al polso di un bel ragazzo. Voglio che i miei pubblicitari e le donne che ti guardano sentano il ticchettio di quell’orologio attraverso l’energia e la seduzione che trasmetto con te. Per ottenere questo tu devi sapere che io lo cerco ed io devo capire da quale tuo lato lo posso tirare fuori, capito? Dai, mangia un altro spiedino e dimmi qualcosa di te. Attento alla salsa che quei bocconcini rossi sono letali. Basta annusarli per mettersi a piangere! Non so se hai mai assaggiato la cucina giapponese ma i nostri sapori sono piuttosto assoluti, leggeri al palato; le nostre papille gustative vanno in tilt se mangiamo qualcosa di così forte”.

“ a me piace il cibo piccante. Quando ero in Ghana, c’era una pasta piccante a base di gamberi e peperoncini talmente intensa da essere consumata solo nelle ore notturne . La prima volta che l’ho assaggiata, pensavo di soffocare! Sono diventato rosso in viso, le lacrime agli occhi e le mani in aria: sembravo posseduto! Ho chiesto acqua e sai cosa mi hanno dato? Un panetto di farina di riso! Io non sono un linguista ma mi sembrava di aver gesticolato chiaramente che volessi qualcosa da bere! Ridevano tutti -continuò Sam -anche i bambini. Da quel giorno mi hanno chiamato Il Bianco che Gesticola e mi sono fatto molti amici. In Africa tutti diventano amici di tutti in fretta ma occhio a non mostrarsi interessati alla salute dell’altro che segue un resoconto dettagliato di ogni guaio ed inevitabile un prestito di soldi. E allora è bene andare a spasso senza soldi in tasca per non doverli regalare di continuo. Però che gente straordinaria sono! Solo per il concetto del tempo che hanno meriterebbero un trofeo! Sai, il tempo che scorre nelle isole o in Africa è un fenomeno a sé, non lo si catalizza con orologi o clessidre o tabelle; è un tempo mentale,  si muove in funzione della volontà delle persone. Persone che vanno e persone che aspettano. Persone per cui l’orologio è piuttosto un accessorio che una necessità. In Ghana se si è invitati ad una festa per le 4 si può star certi che nessun invitato arriverà prima delle 6. E l’ospite, consapevole di ciò, non si affanna troppo con i preparativi: si prende cura della sua persona, lascia ai bambini un po’ di tempo in più per giocare e stancarsi così da averli più tranquilli in serata e mette al fresco un’altra birra dopo averne presa una per sé. Si siede, guarda chi passa e si ferma a chiedere cosa si festeggia e aspetta, aspetta, aspetta. Te lo immagini questo a Parigi? O a Tokyo? Andrebbe in tilt il paese altro che le tue papille gustative!”

Sam era stato in Ghana e Mali a studiare la musica dei tamburi. Aveva cominciato per hobby con un paio di amici musicisti e poi si era lasciato catturare dai ritmi di quella terra rossa e selvaggia. 6 mesi fra guest houses e conoscenti con insegnanti che non ammettevano pigrizia fuori tono, la costanza africana. Il progetto di aprire classi per insegnare come incanalare la calura in pannelli solari era sfumato per non aver ottenuto alcun finanziamento dalle organizzazioni franco-africane.

“ I soldi si muovono per valvole,là -aggiunse- Entrano a vele spiegate per non uscire più. Ho rinunciato a muovermi da solo nella selva degli uffici di Mabako  che avrebbe prodotto risultati solo nel prossimo millennio. Il futuro dipende dall’uso del tempo e là, ripeto, c’è un orologio individualista. Non resta altro che adattarsi e godersi quello che si può raggiungere”.

Per essere così giovane aveva raccolto argomentazioni a favore della vita all’estero che lei stessa avrebbe dovuto accogliere nella sua scala di priorità. Ma si era dimenticata di farlo e a poco a poco mentre Sam parlava si era lasciata andare ad un altro canale di pensieri…a cosa le serviva essere tanto responsabile, tanto accorta a non infastidire o ferire chi le stava attorno? Per quale motivo estendere la propria disponibilità a tutti? Non aveva scelto di essere una fotografa per raccontare la propria vita in ogni senso? Non aveva scelto quella città perché sapeva che la sfida avrebbe reso più piacevoli le sue foto? Per cosa aveva perso tempo finora? Stanca e troppo abituata a finire in casa le sue serate, avrebbe potuto alzarsi e salutare quel ragazzo perché aveva quello che voleva ma in fondo, non doveva cercare in se stessa il valore delle sue foto? Non c’era niente di sbagliato nell’accettare di andare a cena insieme. Una cena di parole alla luce di quella Bangkok di notte che non si concedeva da tempo preferendo le ombre della  camera oscura.

Khao San era la strada più accesa della capitale, gremita di turisti, bancarelle, carrettini di pad thai fumante ed avventurieri. False carte di identità venivano vendute accanto a noci di cocco e braccialetti in perlina. Sam commentava passo per passo il seducente caos delle auto ma Mayumi era intorpidita in sé stessa per reagire…intorpidita da quella città che aveva dimenticato di vivere.

“ qui va bene?” Sam le tolse la borsa di spalla senza aspettare una risposta decisa e la appoggiò colla sua su una sedia vuota attorno al tavolino in paglia…naturale com’era stata naturale la sua conversazione nelle sette ore prima. I gamberi nella zuppa di zenzero e citronella erano deliziosi, speziati ed esotici come voleva fossero le sue foto: Sam ne era il modello e tale doveva diventare agli occhi degli acquirenti.

“Assaggia”.Gli hashi di Mayumi fluttuarono fragranti davanti alla bocca di Sam. Lui indugiò un attimo come per interpretare la sua offerta ma Mayumi stava sorridendo a se stessa pur avendo il viso rivolto al boccone.

“stai pensando alle foto di domani?” il peperoncino sul gambero era una perla di fuoco. Sam si spostò su una sedia più vicina. Il locale si era affollato tanto che la musica faceva fatica a farsi sentire e così pure le loro voci.

“Si, ci sto pensando ma sto pensando anche a me . Mi serviva questa serata…bizzarra. Grazie della compagnia”

“il piacere è mio; sei una donna intelligente ed avevi ragione sul fatto di insegnarmi le tue foto. Quelle che mi hai fatto vedere oggi sono diverse dal lavoro di ieri…è colpa mia… non ero concentrato su…”

“…su di me-concluse Mayumi terminando la seconda pi?a colada -Durante lo scatto dobbiamo dialogare, ci deve essere intesa fra modello e fotografa altrimenti non si distingue una natura morta dal soggetto vivo”

“ e come la creiamo questa intesa, noi? Voglio vedermi anche io attraverso il tuo obiettivo!”

Mayumi lo stava ancora osservando. Era bello, giovane e simpatico; la sua provocazione era averla messa a proprio agio, averla riportata all’equilibrio fra dovere e volere. Non c’era altro per lui e di certo la propria praticità non la rendeva altro che l’ennesima stakanovista nipponica. Quale altro sapore poteva esserci in quella notte thailandese?

“credo che la nostra intesa ci sia: gli scatti di domani saranno genuini se ti ricorderai di me non come una fotografa nevrotica con una scadenza imminente ma piuttosto come una persona con cui hai trascorso una piacevole giornata”.

Gli tese la mano per suggellare il contratto, per fargli accettare l’accordo ma Sam non la strinse come si aspettava. L’azzurro dei suoi occhi fu la trappola che la distrasse mentre lui scivolava le proprie dita nel suo palmo, inconfondibile, inatteso, troppo veloce perché Mayumi avesse il tempo di obbedire al prevedibile e necessario comma di non mischiare lavoro e piacere.

Il bacio di Sam era caldo e accogliente, avido di lei ma generoso di sé. Per quanto tempo era stato a programmarlo? O forse era stato un desiderio solo messo da parte in attesa che lei si offrisse?

Solo un attimo si stupì per non aver rifiutato quelle labbra,lei che non si fermava mai per godersi le proprie sensazioni ma poi perché scacciare qualcosa che la faceva stare così bene?  Sam fu un amante prodigo di parole. Parole spontanee, non scritte ma interpretate solo attraverso movimenti sicuri e curiosi; movimenti che parlavano di lei e che erano suoi: non doveva spiegare a nessuno le ragioni o la completezza di quelle notti. Erano un momento suo, l’equilibrio di sé che finalmente si era adagiato. Sam non era un errore, non era un’avventura: era la spinta verso sé stessa che aveva perso.

Si alzò in piedi e cercò la giusta inquadratura: quello che aveva era quello che cercava.

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