Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Il Pittore di Sogni” di Sharon Francois

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

 

Io amo la mia Cuba”.

Giordano aveva poco più di quindici anni eppure era sicuro che avrebbe studiato arte all’estero solo per poter poi tappezzare le menti degli “habaneros” di stili e dipinti d’oltroceano.  Non aveva visitato nessun altro luogo al mondo e il suo amore era tutto per la piccola isola.

io amo la mia Cuba”. Poteva essere la battuta di un copione made in USA, una di quelle frasi fatte che si mettono in bocca agli attori sudamericani per enfatizzare la loro nostalgia di casa; eppure tra le labbra di quel ragazzino, nei suoi occhi convinti e ridenti, c’era una verità che agli sceneggiatori non interessava.

Letizia lo aveva messo nell’obiettivo della sua Canon perché faceva parte di un’inquadratura colorata di Cuba: anziani e giovani che discutevano animatamente in piazza tra battiti di mani, teste in disaccordo e risate. Di certo una crisi nell’economia locale, un’equilibrista fra embarghi e costi di importazione. La targeta alimentare forniva ancora a tutti la garanzia dei pasti giornalieri e di quella tentazione chiamata ron ma i prezzi restavano alti e confusi in balia del dollaro. Le voci erano troppo veloci perché Letizia e Gianluca potessero coglierne il significato ma la scena era comunque musica per le orecchie. Seduti su una panchina osservavano e riposavano. Era passata anche la loro seconda notte in stand-by. Due volte erano andati all’aeroporto e due volte l’imbarco era stato negato per overbooking. Se la prima sera avevano riso dell’imprevisto e si erano goduti un’altra notte cubana, ieri il ripetersi dell’evento li aveva alquanto scoraggiati. Non tanto per l’incertezza di un posto dove dormire quanto perché con una differenza di fuso di otto ore, kilometri cubi di acqua frapposti e l’unico mezzo di trasporto fuori uso, casa sembrava un satellite tanto era lontana ed irraggiungibile. Per la prima volta la definizione geografica di “isola” si era imposta nella testa di Letizia: un pezzo di terra ancorato all’acqua e sciolto da ogni legame col continente:  i-so-la-to.

Edifici bassi di mattoni, murales scritti per ravvivare la memoria della revoluciòn, lampioni distanti fra loro e silenzio: il tragitto verso la città ieri sera non era stato lo stesso di quando erano atterrati ,dove  ogni secondo era stato speso a ripetersi  entusiasti  siamo a Cuba” .

Un’altra notte in una casa particular, un’altra colazione di mango e caffè ed un’altra mattina a sedere al Malecòn. Così erano arrivati di nuovo alla piazza centrale. A Yordano.

Anche lui li aveva notati fra la folla locale e li aveva anche sentiti perché il suo saluto arrivò in uno stentato Italiano. Un saluto semplice e diretto come il sorriso che teneva stampato in faccia mentre li ascoltava balbettare in spagnolo. Per lui era affascinante sentirli parlare preoccupati di aeroplani troppo pieni per accettarli quando era cosa di tutti i giorno vedere i “camelos” di città, i grossi autobus blu con le gobbe, avanzare a fatica per il volume di passeggeri le cui relazioni dipendevano da quei vecchi autobus. Per loro era incredibile sentire tante lodi di un’isola che visibilmente agiva come un pittore che contraffaceva le opere dei grandi del passato firmandole col presente.

Si perché Cuba sembrava vivere del ricordo di ciò che era stata: una nazione orgogliosa di non avere differenze sociali. Cuba e soprattutto i suoi abitanti apparivano agli occhi dei turisti come una popolazione felice che non si preoccupava troppo delle mensole vuote nei negozi né dell’appiccicoso smog nero che usciva dalle favolose Chevrolet del 1956: gente di timba, lavori improvvisati e sorriso facile. Certo, molti turisti non si preoccupavano di conoscere l’isola al di fuori dei confini protetti dei villaggi di Varadero e spiagge simili:     per loro,       raccontare di Cuba, era spesso una storia fotocopiata da un catalogo di agenzia : “ spiagge bianche, ragazze bellissime e il mito della revolucìon”.

Ma Cuba era oltre. La Cuba che Yordano viveva era fatta di pazienza, famiglie unite e amori illeciti; forza d’animo e la capacità di inventarsi ogni giorno. Chi non era intraprendente e non agiva da camaleonte, rischiava di perdere anche la propria razione alimentare! Quello che era successo ai tempi del giovane ex-presidente, non era più affare della maggior parte dei cittadini ma era chiaro a molti che se non ci fosse stato un forte e illuminato investimento nella maggior risorsa del paese, la sua gente, l’isola si sarebbe sbriciolata come i suoi vecchi palazzi coloniali. Yordano era uno dei tanti ragazzini che sognavano almeno un assaggio di quello che i propri nonni avevano vissuto: una Cuba ricca, ospitale e giusta.

“avete tempo per venire a pranzo da mia zia? Torneremo in tempo per il vostro aereo.” E con quella frase accattivante che prometteva aneddoti e qualcosa di diverso dalla solita pizza al ketchup delle ultime quarantotto ore, Letizia e Gianluca montano sull’auto indicata dal ragazzino cubano…sono solo le sette del mattino e tutto è preferibile alla lunga attesa.

Quattro ore di viaggio e il taxi si ferma, la radio si spenge e l’autista termina il suo racconto sulle rovine della capitale. Il silenzio è la situazione ideale per conoscere Trinidad de Cuba. E’ piccola; una scatolina di palazzi coloniali coloratissimi, un ristorante di arabeschi e muretti su cui osservare la gente. Ci si siede e si parla con in mano niente se non se stessi e se fa caldo, ci sono ritrovi che servono surrogato di cola o succo di guava. I vecchi giocano a carte e parlano di politica, le donne ancheggiano verso i negozi. La piazza principale ha delle panchine bianche sempre gremite di ragazzini avidi di amicizia o amore e musica. L’albergo della città guarda immobile la distesa di casette affacciate sull’unico viale; sbucano facce piccole e grandi dalle porte. A sera quando il caldo ha asciugato ogni rumore dal mezzogiorno, l’aria riporta allo scoperto bambini e partite di calcio; lo sfrigolio dell’aragosta alla griglia e di panini al maiale.

Seguendo l’entusiasmo di Yordano, comincia il giro della piccola città a bordo di un carretto trainato da una capra, il mezzo più rapido per esplorare le stradine acciottolate: per entrambi, forte, la voglia di spingersi oltre il punto suggerito dalla guida turistica; la possibilità di scattare foto a istanti. Un cancello di ferro fa da ingresso a una corte di ballerini in costume e turisti seduti colle macchine fotografiche a riposo. Il tempo qui non segue il rumore delle lancette; piuttosto lo scorrere delle onde e l’isola diventa le valve di un’ostrica la cui perla chiaramente sono le persone, la loro costante fede nella leggenda del paese, nel rum e nella provvidenza.

Alla piccola stazione dell’autobus si respira gasolio, il borbottio della marmitta distrae dai richiami dei venditori di cappelli seduti fra gli stipiti delle porte. Eppure anche quel luogo fa parte della cartolina che si deve spedire dall’isola: si possono osservare, poi, gli affari che vanno e vengono proprio come nelle vecchie stazioni di posta. Il prezzo del biglietto è una specie di asta popolare: chi non ha la tariffa richiesta, può offrire qualche dollaro di meno e una birra o un pollo. Seggiole in metallo arrugginito sparse davanti ad una televisione; il venditore di gelati che conserva i suoi stecchi di crema in una cassa piena di ghiaccio sciolto; tassisti improvvisati che per tariffe ridotte offrono la tratta del pullman e un nuovo pizzico di folklore.  Il pranzo dalla zia di Yordano è stato molto bello: una famiglia gentilissima, zuppa di zucca ed ottime insalate; non sono mancate foto, abbracci e passi di salsa. Un mondo che per i due turisti non si era aperto che nelle pagine di Google. C’è davvero tanto tempo al volo per l’Europa…forse un altro pizzico di Cuba si può respirarlo. Yordano suggerisce allora di prendere l’autobus e comincia il lungo viaggio di rientro a La Havana. Ci sono ore che si riempiono facilmente di colori e parole: Yordano chiede come sia l’Italia…si stropiccia il naso soddisfatto quando Letizia gli risponde che è un paese dove si mangia tanto e si gesticola troppo.  A volte si deve anche discutere troppo ma ci si abitua; come qui ci si adatta. Sì, anche dove vivono loro bisogna sapersi arrangiare e avere  fiducia nelle proprie capacità per realizzare i propri sogni.

 

Firenze, dopo                                                                                                                                                                                       

Letizia e Gianluca salutano Yordano strizzandogli l’occhio poi restano rapiti come gli altri passanti davanti a quello che le sue veloci mani realizzano. Scuote le bombolette e spruzza colore su cartoncini bianchi: sembrano solo getti di vernice confusa ma le linee e le macchie che si creano proiettano al pubblico quello che si trova nella fantasia dell’artista. Piramidi sotto il sole, paesaggi lunari, foreste con cascate piccole in bianco e nero; Yordano sceglie i colori colla mano e la sua mente disegna per lui palme al vento, fondali sottomarini, tronchi irrorati di neve e luce. Accovacciato sui suoi esotici lavori, appoggia forme di metallo e giornale sulla carta, spruzza, tossisce per l’odore della vernice e sorride soddisfatto per i mormorii di stupore e ammirazione che si levano dal pubblico. Da quando ha lasciato Cuba, quattro anni dopo l’incontro con i due turisti italiani, questo è il lavoro che si è trovato per pagarsi l’università di arte, quell’arte che vuole riportare in patria per i suoi compaesani. Un’idea nata per il consiglio di un amico del padre che della spray grafia aveva fatto materia di studio durante gli anni di vita in Messico. Yordano l’ha imparata da lui; ha imparato a trasformare caotici caleidoscopi di tintura in forme note all’immaginario comune e ha deciso di scommettere sulla sua capacità per studiare in una delle migliori accademie d’arte d’Europa. Gianluca si è occupato delle trattative per farlo studiare all’estero e Letizia ha rassettato la camera degli ospiti per lui; oggi hanno deciso di fare parte del pubblico che si stupisce per i lavori dell’amico. Lavori che una volta venduti gli permettono di pagarsi l’affitto e le tasse universitarie, di comprare regali curiosi e di sostenere la famiglia da lontano. Yordano ha un sogno e ha la tenacia per realizzarlo: agita sorridendo le sue bombolette e colora di miraggi i pomeriggi di Natale dei passanti. Pensa alla sua Cuba, a quella terra che non si dimentica, alla patria che cresce per l’entusiasmo di chi la vive. Comincia a canticchiare e gli si scalda il cuore quando due voci nella folla cantano con lui.

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