Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Superstizione” di Sharon Francois

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Acqua e roccia. L’orizzonte era un drappo bianco appoggiato sull’oceano.

Eden Island era una delle tante remote isole dell’arcipelago delle Seychelles, una miscela di granito, alberi di frutto del pane e sabbie bianche.

Sabrina se ne stava seduta sul bordo della piscina, illuminata da fluorescenze artificiali sul fondo, punti di luce che sembravano le stelle di un cielo in terra. Suo padre aveva dedicato gli ultimi tre anni a costruire il raccolto albergo ed era morto prima che venisse aperto. I lavori erano stati portati avanti da due sorelle zelanti ma  incapaci di comunicare ed alleviare il dolore reciproco. Francesca si era allontanata dai ricordi immergendosi ogni ora del giorno e della notte in planimetrie e polvere, la sua professione quella che si aspettava dalla primogenita di un architetto; Sabrina camminava sulla spiaggia e pensava. Il vuoto lasciato dal padre le lacerava il cuore in una morsa tanto forte da annichilire la voce…se fosse caduta in acqua nessuno l’avrebbe sentita. A volte credeva che il vento tropicale le scompigliasse severo tali pensieri, a volte le sembrava che le suggerisse di lasciare quel luogo di memorie.

Sedici anni prima il padre di Francesca era sbarcato su Eden Island accompagnato da una tranquilla bambina e una tata alquanto dispotica. Avevano preso alloggio in uno dei lussuosi appartamenti che sarebbe presto diventato la loro residenza. Francesca era sempre seduta al tavolo della veranda a leggere e Sabrina la osservava incredula ogni volta che le passava davanti per rifornire le camere adiacenti di souvenir per gli ospiti: strano che una bambina non trovasse divertente andare in spiaggia, tuffarsi, acchiappare i granchi bianchi. Non rideva mai e se ne stava sola mostrando un evidente disturbo se la tata la importunava all’ora dei pasti e del bagno. Francesca parlava solo con suo padre e Sabrina, dalla propria finestra, lo sentiva raccontare la storia delle Seychelles…pirati, paesi e razze lontani coinvolti in battaglie di spezie e territorio. Sabrina non aveva mai lasciato quell’isola e solo dai libri poteva conoscere cosa esistesse oltre le sue acque.

Quando la madre le comunicò che l’avrebbe portata a Mahè per certi rifornimenti, il solo fatto di prendere la barca le sembrò eccitante quanto un volo nel piccolo rotore che atterrava giornalmente all’eliporto locale.

“non stiamo andando a fare un viaggio, Sabrina – le disse-devi aiutarmi a fare la spesa. Non fare confusione e…dai, siedi accanto a quella bambina. Non disturbare e non fissare”.

La bambina era Francesca. Accovacciata accanto al padre, era chiaramente felice di essere a bordo e guardava estasiata l’oceano.

Sabrina era curiosa ed era sola. Lavorava così tanto colla madre che il tempo per giocare coi figli dei dipendenti dell’albergo era limitato, Francesca era una turista ma era accessibile nella sua mancanza di coetanei. E forse aveva bisogno di lei.

Divennero amiche in quella traversata turbolenta: il CatCoco era rinomato per il suo piratesco solcare delle onde, quasi le sfidava a ribaltarlo mentre vi affondava dentro la prua. Francesca strillava terrorizzata e solo il costante mormorare di Sabrina- che pregava a sua volta spaventata!-le diede il coraggio di non mollare la presa sui braccioli della sedia. Quando finalmente attraccarono, Francesca riuscì a dirle grazie prima di scivolare a terra ridendo assieme. I genitori si presentarono e David si offrì di accompagnarle nel giro di acquisti fra mercati e botteghe, in fondo si trattava di conoscere l’aria locale cui avrebbe dovuto adattarsi negli anni. Era un architetto innamorato del mare e voleva costruire un complesso di piccoli bungalow per una compagnia francese di viaggio specializzata in lune di miele. Francesca e Sabrina vennero lasciate a sé stesse per tutta la giornata…per tutta la settimana fino a che non si ritrovarono sorelle nel giro di un anno. La tata venne rispedita in Francia, Sabrina si trasferì in un residence colla famiglia e Francesca cominciò a conoscere le altre isole attraverso la cucina locale, la flora e la fauna. A Moyenne cavalcò per la prima volta una  tartaruga gigante, a Cousin fu travolta da stormi di uccelli mai visti, a Praslin si trovo faccia a faccia col seme più grosso del mondo. L’ombrello le cadde di mano.

“Sabrina…ma questo cocco sembra…non può essere vero!” guardava interdetta e divertita due proporzionate natiche marroni appese al tronco mentre Sabrina controllava l’andirivieni frenetico di un ragno gigante.

“Certo che è vero! –ribatte offesa-Ce lo abbiamo solo noi in tutto il mondo, lo sai? Si chiama coco de mer e non si può raccogliere come le altre noci…dicono che sia  magica…”

“Magica? Perché?”

Il viso di Sabrina si fece serio e quasi colpevole, guardandosi attorno, sussurrò le ragioni alla sorella:

“ è un albero magico che viene dalle profondità dell’oceano, per questo si chiama cocco del mare…adesso davanti a te hai la noce femminile ma se guardi laggiù vedrai il fiore maschio..sono vicini, vivono accanto solo in questi luoghi  ma non si uniscono che ogni venticinque anni…e solo nelle notti di tempesta. È un’unione sacra che impiega molto tempo per dare altri frutti e a noi uomini non è permesso assistere…è di male augurio spiare questo amore.”

“io non ci credo e neppure tu!”la sfidò

“certo che ci credo! Conosco gente che si è pentita di aver sfidato questi alberi! Per questo andiamo via prima che tramonti il sole e peggiori il tempo. Papà sarà preoccupato!”

“ se sono con te non si preoccupa, conosci queste isole come casa nostra”

Due pappagalli neri si levarono in volo da una palma.

“forse…così faccio credere ai turisti, almeno-ridacchiarono complici- ma non dimenticare che prima di quel giorno, non ero mai uscita da Eden Island”.

“sai una cosa, Sabrina? Sei molto fortunata ad essere cresciuta qui con tua madre..questo posto è bellissimo. Ricordi quel giorno che andammo a pesca? Non avevo mai visto tante reti e tanti pesci colorati aggrovigliati in spiaggia! Ma la cosa più bella è stata la gioia che tutti manifestavano alla vista di quella benedizione: nessuna avidità, nessuna aspettativa che non sia un arrosto di pesce cotto nelle foglie di banano!”

“e non ti sembra una vita senza desiderio, finita quando la pancia è piena?”Sabrina roteò gli occhi al cielo divertita.

“dici così perché non hai mai vissuto dove sono nata io! Là sembra che ogni piccola soddisfazione non valga la pena di essere ricordata e conservata; tutto ciò che non è costoso, di lusso ed enorme non importante. Non si è nessuno se non si frequenta la scuola migliore, non si veste il capo migliore, non si è fatti di aria e banalità. Nella vita, alla fine, conta piuttosto nutrirsi o passeggiare con borse piene solo di nomi e atteggiamenti? La gente qui, si, ha uno stile di vita più sobrio, il denaro che non abbonda ma allo stesso tempo rispetta e mantiene dei valori che paiono dimenticati a Toulose!”

“magari in un villaggio piccolo piccolo, anche in Francia, vivono come noi…”azzardò Sabrina

“forse..ma a me non piace il piccolo villaggio di montagna. Quando ero bambina papà mi ha sempre portato al mare e questa isola è quello che ho sognato da allora. Cominciarono a piovere spesse gocce ed affrettarono il passo – I pescatori che tirano le reti a mare, le palme che sostituiscono gli affollati ombrelloni da spiaggia, le piroghe fatte di tronco, mangiare il curry colle mani ridendo. Io mi sento così grande qui…così speciale. Ho paura che possa finire, che tu sparisca, che la felicità che abbiamo ritrovato entrambe quando i nostri genitori si sono sposati debba essere interrotta. Io voglio solo sedermi nell’acqua e guardarmi attorno…com’era quella parola?”

takamakarizzare…starsene sedute sulla spiaggia al tramonto mentre i ragazzi si fanno il bagno e guardare come l’acqua si tinge d’indaco e il cielo di arancione…hai ragione, è una bella fortuna averlo fatto per tutta la vita”.

 “non capisco perché tutto questo silenzio e questa quotidianità ti piaccia tanto…doveva essere noioso a Toulose…ma eri così ricca che non capisco. Quando sarà finito l’albergo, di tempo per sedere a guardare il vuoto non ne avrai … comunque fintanto che mamma preparerà i cibi preferiti di papà, lui non si darà troppo da fare a finire, questo è sicuro e se non fosse per i tuoi studi, avremmo anche più ore libere.

ma…ad ognuno il suo. Sono convinta che più studierai, più sarà facile per me conciliare i turni di lavoro colle tue ore libere. Avremo tempo assieme e ti farò vedere tantissime cose. E non dimentichiamo che il tuo creolo è ancora penoso. Si, avremo tanto tempo assieme anche per quello!”

Sabrina si sbagliava. Con un breve preavviso, Francesca fu mandata in Francia a frequentare l’università giusta di architettura. Era quello che voleva, diventare competente e competitiva e le Seychelles non erano il luogo adatto per perseguire la professione: entrambi i genitori erano dispiaciuti ma irremovibili. Sarebbero venuti a trovarla ogni inverno così Sabrina avrebbe visto la neve, la città, la differenza.

Ma la neve non arrivò mai ad Eden Island dove ogni mese si registravano troppi turisti perché Sabrina andasse in vacanza in Europa. Suo padre costruiva, sua madre cucinava e lei raccontava le storie delle sue isole. Francesca studiava e scriveva ma non era felice, era di nuovo sola dopo aver conosciuto il paradiso. Dopo due anni decisero di farsi una sorpresa a vicenda: incontrarsi per i propri compleanni, ad ottobre ottobre. Sabrina e sua madre sarebbero volate fino a Toulose per vederla mentre papà sarebbe rimasto indietro per continuare i lavori. Fu uno scherzo del caso: il giorno in cui Francesca atterrò a Mahè per augurare un felice compleanno alla sorella fu lo stesso in cui Sabrina bussava alla porta della sua stanza per lo stesso motivo. Seguirono telefonate in lacrime ed entrambe restarono chiuse nelle rispettive case per la settimana. Francesca seguiva il padre nei lavori e sostituiva le proprie mani a quelle della madre quando gli preparava da mangiare. Erano di nuovo loro due ma dopo aver ricevuto il regalo di un’altra famiglia, sentiva che il loro mondo era incompleto.  David le rammentava sempre. Sedevano accanto sul bagnasciuga e guardavano lontano, ognuno con i propri pensieri rivolti a una donna speciale.

“questo è quello che Sabrina chiama takamakarizzare…-gli disse un giorno- starsene seduti in acqua a osservare la tranquillità sotto gli alberi di takamaka. Toccare il calore e respirare l’aria salata…lo abbiamo fatto tante volte. Papà, non vedo l’ora di tornare… è qui che voglio stare, con voi. Perché devo tornare là da sola?”

“tesoro, la mamma e Sabrina avranno bisogno di qualcuno che le guidi e le aiuti in questo progetto che abbiamo messo in piedi ed io mi fido solo di te. Questo albergo è nostro, è la nostra nuova vita, è la tua terra, sarebbe terribile se qualche avido costruttore se ne appropriasse un giorno e lo portasse via.”

“perché dovrebbe? Ci sarai tu a dirigere questo posto. E solo chi  piacerà a me e Sabrina entrerà nella piscina speciale! E in cambio tu potrai strizzare un occhio ai nostri fidanzati quando verremo a vivere qui!”

David le scompigliò i capelli ma il suo sorriso tradiva una tristezza profonda…avrebbe voluto dirle la verità ma aveva deciso colla moglie di aspettare la scadenza del medico, di sperare e pregare oltre quella data. Non poteva sopportare di dirle, da solo, che forse fra non molto si sarebbe trovata di nuovo orfana. Ringraziava ogni giorno di essersi innamorato di Anne e di aver dato alla figlia una nuova madre ma sapeva che questo regalo non avrebbe addolcito il dolore alla propria partenza.

I voli s’incrociarono di nuovo, i passeggeri no. Passò un altro anno di cartoline, telefonate e lontananza. Francesca conquistò la sua laurea, Sabrina il cuore di un collega del padre. Decise che avrebbe allora rinunciato al lavoro e sarebbe andata dalla sorella a darle di persona la notizia. Stavolta le comunicò il progetto con largo anticipo.

“allora quando vieni portami un regalo-le disse Francesca saltellando nei collant di lana.

“Sole? Pesce? Un fidanzato?”

“non fare la presuntuosa che anche io ho i miei spasimanti…non sanno ballare la moutia ma glielo insegnerò quando torno. No, portami un coco de mer che mi mette allegria vederlo”.

“sei una sfacciata, sorella”

“ e tu sei troppo pudica! Dai, sei una guida e non faticherai troppo a trovarlo. Anzi sono sicura che potresti arrampicarti sul tronco e prendermene uno fresco fresco…ne ho proprio voglia!”

David morì due giorni prima della partenza. Francesca atterrò in un silenzio che non voleva essere disturbato nemmeno dalla sorella.  A distanza di due anni, quello che erano quando si erano lasciate, non era riemerso. Anne le guardava, cercava di parlare con la maggiore delle figlie, di consolare la minore ma Francesca si rifiutava di confidarsi e lavorava al progetto del padre senza sosta. Mancava una settimana all’apertura ed inspiegabilmente il suo cuore si chiudeva alle persone per cui stava terminando il progetto. Anne aveva messo da parte la sua fede e si era recata da un bonomn dibwa per leggere fra foglie di terra e frutti di cielo come rischiarare l’anima della figlia ma l’indovino non poteva sciogliere i lacci che tenevano serrato il senso di colpa di Francesca.

Sabrina affondò i piedi nell’acqua e riprese a succhiare il bastoncino di canna da zucchero. Il suo sciroppo la riportava indietro agli anni in cui scorrazzava nel cortile della nonna inseguita solo dalle galline; l’ombra di suo padre era associata alla rabbia di Anne e non se ne parlava mai. Con David aveva conosciuto l’emozione di essere amata da un altro genitore, il tesoro di storie raccontate prima di andare a dormire. E aveva una sorella tutta per sé custode di un emisfero che lei non conosceva ed appassionata dell’altro cui lei apparteneva. Questo fino all’ultima estate: colla morte del padre, sembrava che la sua famiglia fosse sprofondata in ombre più nere di quelle lasciate dal precedente fidanzato di Anne. La felicità portata da David e Francesca in quei due cuori creoli era stata spazzata via come i detriti lasciati al cantiere dell’albergo, dopo essersi manifestata  in tutta la sua pienezza. Le onde si arricciavano contro la bassa spiaggia, di nuovo il vento le confondeva i pensieri. Come avrebbe reagito, lei, se fosse stata la sua mamma ad andarsene? David era in fondo un genitore adottato per lei ma per sua sorella era stata l’unica famiglia per anni. La canna da zucchero rimbalzò nell’acqua. ..la sua unica famiglia.

Adesso per Anne l’unica famiglia erano le sue figlie: David che le aveva promesso fedeltà eterna aveva tenuto fede al patto nuziale fino alla sua fine e Anne si ritrovava sola, innamorata e colle mani piene di incartamenti per la direzione del sogno di suo marito. Francesca e Sabrina erano le uniche che potevano sostenerla colla stessa dedizione che David aveva avuto: non avevano diritto di imporle il loro malessere come stavano facendo. Ognuna doveva affrontare la perdita a modo proprio, secondo i sentimenti che le legavano a quell’uomo ma anche insieme perché erano una famiglia. Questo le diceva il vento: Eden Island sarebbe diventata realtà perché insieme tutti e quattro l’avevano disegnata nelle loro menti, l’avevano usata come scusa per stare accovacciati davanti a caspi di banane e zamalak e parlare, ridere,amare.

Doveva cominciare da Francesca. Doveva riportarla indietro e consolarla come solo una sorella può fare in certi casi. Sorridere agli ospiti l’indomani con uno stato d’animo malato non era di certo la volontà di papà. Cominciò a correre, la sabbia sollevata confusa sulla battigia.

Francesca era seduta davanti alla piscina e guardava lontano. Aveva mandato a casa gli operai e ascoltava il silenzio come a cercare l’ombra del padre attorno a sé. Lo odiava quel silenzio, in realtà. Le ricordava le ore vuote in casa quando aspettava, da bambina, il rientro di papà, la paura di non vederlo più. Aveva paura a partire, aveva paura a stare lontano…anche sua madre era morta quando lei era lontana. Se non fosse stato per Anne e Sabrina non avrebbe avuto nessuno e per loro, o forse per sé stessa, era tornata a casa. Per la famiglia. Ma come aveva visto le due donne, la colpa commessa le era scivolata nella mente..il dolore le aveva impedito di reagire alla suggestione e si era allontanata da entrambe. Si era poi convinta nella solitudine che nessuna delle due potesse soffrire quanto lei e le interpellava solo per questioni di ordinaria amministrazione riguardo al residence. Ma sapeva che questo suo atteggiamento le puniva e non dava loro la possibilità di essere unite. Domani l’inaugurazione…ma a che fine? I sogni che avevano avuto assieme non esistevano più e lei se ne sarebbe andata piuttosto che continuare ad essere cattiva con sua madre e sua sorella. Avrebbe delegato a qualcuno la gerenza dell’hotel.

“tesoro, questo albergo è nostro, è la nostra nuova vita, è la tua terra, sarebbe terribile se qualche avido costruttore se ne appropriasse un giorno e lo portasse via.”

L’ultima volontà di suo padre era custodita nelle sue orecchie, dentro di lei: poteva scegliere se scappare o restare. Scappare avrebbe significato rinunciare al più grande ricordo di suo padre; restare significava svelare alla famiglia il suo errore. Lasciò scivolare la sabbia fra le mani. La luna nell’oceano teneva nascosta ogni risposta. Sabrina arrivò a bordo piscina che già tuonava in cielo. Il vento era fresco ma troppo rumoroso perché riuscisse a distendere le parole da dire alla sorella e quando la vide correre verso la propria stanza, dovette affrettare il passo per evitare che vi si chiudesse dentro fino all’indomani.

Francesca si arrestò di colpo mordendosi il labbro.  Quello che desiderava da quando era tornata a Mahè era abbandonarsi al conforto di Sabrina e dirle quanto si sentisse in colpa per non essere tornata prima. Ma essere stata in un altro posto ed aver sfidato la leggenda era un perdono troppo grande da chiedere per ottenere poi quell’abbraccio. Decise di restare indifferente.

 “cosa vuoi?” di nuovo quel tono duro mirato a scoraggiare ogni confronto. Le era sgorgato veloce senza che potesse raccogliere le parole di scusa che aveva preparato a lungo; evitò di voltarsi vero la sorella e afferrò il pomello della porta.

Sabrina stavolta non accettò l’irritazione di Francesca e la strattonò per la maglia

“ho detto aspetta e mi devi aspettare. Voglio parlarti perché non tollerò più il tuo comportamento egoista. Era anche mio padre ed era il marito di nostra madre: anche per noi due non è facile ricordare solo i momenti belli e non pensare che non torneranno più. Io ho perso due padri, dovrei sentirmi più triste di te!”

“non hai mai conosciuto il tuo vero padre, cosa vai blaterando!? Sono io quella che ha perso tutta la sua famiglia!” non avrebbe voluto dire quella frase ma aveva intuito dove il discorso di Sabrina le avrebbe portare e per vergogna, aveva preferito attaccare.

“pensavo fossi io la tua famiglia- disse colle lacrime in gola-pensavo fosse nostra madre la tua famiglia. Cosa vai scarabocchiando ore ed ore sui suoi progetti se non un’idea che abbiamo formato insieme? Hai dimenticato tutto vivendo laggiù? Hai dimenticato noi? Perché continui a rifiutarmi? Credi che io non abbia avuto bisogno di piangere per averlo perso? Non potevo farlo con mamma ma con te…io ho avuto bisogno di te ma tu non hai voluto avvicinarti ed hai lasciato sola anche mia madre! Io non ho mai conosciuto mio padre ma David ha significato per me quello che Anne è stata per te, come ti sentiresti se fosse lei ad andarsene? e come reagiresti se perdere lei volesse dire perdere anche tua sorella?”

“ Sono andata alla Vallèe de Mai” urlò Francesca

“cosa?”

“ quella settimana in cui sono ritornata qui per vederti, sono ritornata alla Vallèè de Mai, da sola. Ero arrabbiata per lo scherzo del destino che ci ha tenuto segreta la nostra doppia partenza. Hai sempre detto che non esiste luogo più magico di quello in tutto l’arcipelago e così sono andata lì con l’intenzione di prendermi gioco io del destino. Volevo andare lì e dimostragli come fosse la mia organizzazione l’unica artefice della mia vita e come quella sfortunata coincidenza fosse stata solo la mai mancata comunicazione almeno a papà che sarei venuta qui. Oh, ero così triste per non averti visto, per essere stata così lontana! Mi sono messa quattro torce in borsa e sono rimasta dentro il parco dopo la chiusura, non si sono accorti che c’ero. Ha piovuto tantissimo, lo sapevo che avrebbe piovuto! Mi sono messa davanti a quella maledetta palma ed ho acceso tutte le luci che avevo: io non ero stata felice, beh, neppure lei lo sarebbe stata. Volevo impedirle di unirsi al suo amore così come io non mi ero unita alla mia famiglia. E sono rimasta lì, Sabrina, tutta la notte…ho sentito tutto ed ho perso sia la rabbia che il coraggio. Mi sono sentita così stupida a prendermela con una pianta a cui poi non ho mai creduto ma non so cosa mi ha spinto a reagire così scioccamente. Avrei voluto tornare a casa ma non riuscivo ad allontanarmi da lì, qualcosa mi teneva invischiata alla notte. Ho fatto una cosa stupida e pericolosa e papà è morto…come avevi detto.”

Lo schiaffo della sorella la fece ammutolire. La guardò convinta di leggerle in faccia odio e rabbia, quei sentimenti che non poteva sopportare da lei e che aveva tenuto a lontano segregando la sua azione per mesi dentro se stessa.

“ papà sarebbe morto se avesse saputo quale idiozia tu stessi facendo! Ma come puoi essere stata così incosciente e stupida? Da sola là dentro! Non ci dormono neppure i guardiani e tu,sciocca, ci resti da sola a lucci accese come una calamita per i guai? Sei una stupida sorella, una stupida presuntuosa!”

“io…”

“ tu non hai niente da aggiungere sull’argomento! Solo le persone scaramantiche si fanno preda delle leggende locali…le noci magiche che si sposano e che portano iella a chi le sente? Novelle che si raccontano ai turisti!”

“ma tu hai detto che ci credevi! Anche tua madre ci crede!” protestò Francesca indolenzita dallo schiaffo

“ proprio perché ci credo non metto a rischio la mia vita! Ma cosa pensi che non sia già una tragedia trovarsi sola di notte in una foresta infestata da ragni enormi e millepiedi spinosi mentre piove a dirotto? Non ti sembra una punizione più che sufficiente? No,certo che no! Tu accendi anche le luci così chiunque ti può localizzare e fare del male! Da una donna che ha studiato e ha visto il mondo, mi aspettavo più buon senso e meno superstizione! E non solo! Per tutti questi mesi hai creduto che fosse stata la tua stupida sfida a far ammalare papà? Presuntuosa!”

Francesca riusciva a distinguere chiaramente l’espressione della sorella: era delusa e decisamente arrabbiata…ai suoi occhi non era che una patetica ragazza di città che aveva creduto di sfidare la natura e forse qualcosa di più per dimostrare di aver fatto i calcoli giusti. Novelle per i turisti, aveva ragione Sabrina.

Ma suo padre non era morto per quello. E di certo non era morto sapendo di avere una figlia tanto sciocca. Provò un’immensa vergogna per sé stessa e si arrese a piangere davanti a Sabrina.

Avrebbe voluto darle un altro schiaffo. Se lo meritava per come si era comportata allora e per come poi si era comportata dopo. Ma ebbe pietà di lei,alla fine. In fondo era stata una bambina sfortunata, suo padre era stato davvero il suo mondo per anni e all’improvviso se ne era andato…aveva davvero perso la sua famiglia, le radici. Sballottata di aula in aula, aveva dovuto rinunciare al presente felice in quella nuova famiglia per procurarsi gli strumenti che le avrebbero permesso di tornare e quando lo aveva fatto,lui non era ad attenderla. La conosceva abbastanza per sapere che non si sarebbe mai perdonata di non esserci stata l’ultimo giorno; lavorare a capofitto a quell’albergo era come rimediare a quell’assenza. Forse Francesca riusciva a sentire David attraverso i suoi disegni così come lei lo sentiva sfogliando i vecchi libri di favole che le aveva letto all’inizio.

“ senti, facciamo che per un po’ sono io la sorella maggiore che ti dà i consigli…Andiamo dalla mamma; stasera si mangia riso alle banane con pesce.”

“non mi piace…lo sai”

“ e tu sai che se non ti piace qualcosa che lei cucina, avresti dovuto tornare a casa prima a preparare tu la cena. Non è cambiato niente qui ad Eden Island, sorellina.”

 

 

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