Premio Racconti nella Rete 2020 “Il fiorista” di Alfredo Bertuzzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Quella mattina la signora Pina, aiutandosi con il bastone, si era diretta al mio tavolo, ove sorseggiavo un francescano espresso, incantato di fronte a quella “marina ove il Po discende”, come annotava Dante, che si apriva di fronte a me.
Nella penombra fresca del bar sciabolava l’abbacinante riflesso giallo cromo de-gli ombrelloni aperti al bagno 80.
Mi alzai e la feci sedere, certo di vederla estrarre la sigaretta che oramai do-veva costituire l’unico suo veniale vizio, dopo il caffè mattutino gustato con genuina voluttà.
Non eravamo mai andati oltre il cenno di saluto ed un po’mi meravigliai del suo confidenziale rapportarsi odierno e mentre così mi interrogavo, una volta aspi-rata la prima boccata, si volse verso di me:
” Avrei bisogno d’aiuto, signor Luciano. Per mio nipote”
Le sorrisi incoraggiante, ma forse i suoi occhi opachi non colsero la mia espre-sione e dovetti stimolarla con parole bonarie.
” E’presto detto, mio nipote è uscito di casa per cercare di rendersi autonomo, ma di questi tempi non è facile e così ho pensato che lei lo potesse aiutare, visto che conosce tanta gente”
Inutile parlarle di congiunture difficili, anzi, difficilissime, che neppure i miei tanti conoscenti riuscivano a saltare.
Per di più il futuro inquietava.
Non volendo tuttavia liquidare neghittosamente la cosa, dissi alla donna di man-dare suo nipote da me i giorni successivi e lei, credendo il problema già risol-to, mi ringraziò ripetute volte.
Era un giovanotto allampanato, dal portamento un po’legnoso, che voleva darsi un’aria di sicurezza senza riuscire ad ingannare nessuno. Salì circospetto la passerella e si fermò rigido innanzi a me:
” Buongiorno signore. Sono Thomas, il nipote della Pina. Le avrà parlato di me…”
Confesso che mi fece una buona impressione. Non ciondolava, non si appoggiava ad ogni supporto, restava rigido in piedi visto che non era stato invitato a sedersi e mi fissava con sguardo franco ma rispettoso. Poi, tra i giovanotti corrivi e vanesi del dì d’oggi, chi c’è più che si rivolga con l’appellativo” signore” visto che ti apostrofano sfacciatamente con il più liso dei pronomi:
” Thomas, mi ha detto la tua prozia che sei uscito di casa e che cerchi lavoro. Che genere di lavoro? Credo tu sappia come la situazione si stia deteriorando con rapidità e che gli imprenditori, se non già espulsi dal mercato, sono estre-mamente guardinghi. E non possiamo certo dar loro torto, poiché la politica è usa far pagare ogni manovra ai soliti, come anche stavolta. Forse avresti fatto meglio a rimandare”
” Ecco signore, non sono uscito di casa, come ho fatto intendere alla zia; per l’esattezza sono fuggito con l’intenzione di andarmene lontano”
” Ah! E come mai, se non sono indiscreto?”
Arrossì fugacemente:
” Ho preso il largo perché ero inseguito dal padre di una ragazza”
Lo squadrai con un mezzo sorriso, ma pareva sincero. E rammaricato:
” Diavolo, sembra una storia d’altri tempi. Ma ritieni in coscienza di essere inseguito con buona ragione?”
Mi squadrò a viso aperto e rispose a testa alta:
” No, signore. Semplicemente il padre di Mar… della ragazza aveva progetti di-versi. Così, visto che lei intendeva mandarglieli in fumo con me, una sera lui con alcuni suoi dipendenti mi ha dato un bel po’di legnate e ha promesso di peggio se non avessi smesso di stare dietro a sua figlia”
” E tuo padre, non ti ha difeso? Piuttosto, cosa ne pensa tuo padre?”
Chinò il capo con palese disappunto:
” Anche mio padre è un suo dipendente, fiorista capo dei vivai, come precisa sempre quando parla con qualcuno e ha fatto effettivamente una scenata, ma non a lui, bensì a me. A quel punto, sono scappato di casa perché non ero certo di resistere a non vedere più Marzia o peggio, di vederla in compagnia di qualcun altro. Ma anche perché ho capito che tipo sia in realtà mio padre.
Lo guardai con una certa simpatia, ma il ragazzo, a capo chino, sembrava preda di un comprensibile scoramento:
” Tu Thomas mi sembri un giovanotto in gamba, ma ricorda che giudicare i propri simili è sempre un’impresa ardua, soprattutto quando lo si fa con un genitore. Per tornare a noi, purtroppo al momento non ho altra soluzione che chiederti se, in attesa di meglio, tu voglia lavorare con me. Guarda, non sarà facile e neppure ti potrò pagare molto. Se ho ben capito ora vuoi tenerti lontano dalla tentazione e dai guai, quindi potrai restare con me per la stagione. Piuttosto, posso chiamarti Tommaso?”
Mi
fissò un attimo sorpreso:
” Certo signore”
Sorrisi:
” Bene Thomas, arrivederci”
Esitò, meravigliato che continuassi a chiamarlo Thomas e forse pensò che lo prendessi in giro.
Tant’è che mi sentii di precisare:
” Vedi Thomas, a bordo di una barca, ciò che conta maggiormente per la sicurezza è la disciplina. Si diceva che il comandante viene dopo Dio, sia si tratti di un peschereccio con due uomini d’equipaggio, sia si tratti di una portaerei. Ed il comandante, mettitelo bene in mente, deve, ripeto, deve, sempre essere obbedito, come deve essere l’ultimo ad abbandonare la nave e solamente quando è ben certo che non vi sia più nessuno a bordo.
Fino a non molto tempo fa, gli ufficiali di macchina della marina militare, pas-savano le dita calzate con i guanti bianchi d’uniforme sulle parti visibili dei motori. Se il guanto si sporcava, dovevi riprendere a lucidare e per giunta ciò ti costava anche una punizione. Riesci a capire perché lo facevano? Tutto sommato una testata di motore sporca non compromette l’operatività di una nave”
Lasciai che per un attimo riflettesse in silenzio, ma al suo sguardo interroga-tivo ripresi:
” Semplicemente volevano saggiare la tua disciplina e volevano ben mettere in chiaro che gli ordini si eseguono sempre. Dunque Thomas, ovviamente qui non siamo su di una nave da guerra, bensì su di uno sloop o corvetta a vela. Io devo essere certo che tu eseguirai qualsiasi mio ordine, perché ne potrebbe andare dell’incolumità di tutti.
Certamente con le prime esperienze potrai anche arrivare a supporre che un mio ordine sia assurdo o, peggio, che possa mettere a repentaglio la sicurezza della nave. A quel punto potrai scegliere se eseguire o ammutinarti, fermo restando che l’ammutinamento, se non esistono svariate ed inconfutabili prove che il non farlo avrebbe portato al disastro, sulle navi d’altri tempi veniva punito con l’impiccagione. Ovviamente ora tali pene non sono più previste se non nel codice militare di guerra; però resterebbe scritto per sempre sul tuo libretto di navi-gazione e ciò costituirebbe un pesante deterrente agli ingaggi, anche se si tratta di barche come questa”
E gli indicai con un gesto il ponte dell’Alexandra.
Mi
fissò con un mezzo sorriso:
” Credo di aver capito, signore”
” Bene. Ma probabilmente stiamo correndo troppo. Io salperò spero a breve con dei clienti. Ti farò sapere… “
Parlò
con una certa precipitazione:
” Con tutto il rispetto signore, mi farebbe piacere salire a bordo oggi stesso
e restarvi, così potrò familiarizzarmi con la corvetta… la barca… l’Alexandra
più rapidamente e anche con lei”
Capii così che, oltre ad una notevole buona volontà, era dotato di un’estrema perseveranza, che gli impediva di rientrare a casa.
L’ingaggio atteso arrivò ed il giorno prima di salpare, sul far dell’alba, un vento caldo gonfiava il mare al largo, lo trovai a bordo con una signora dal tratto giovanile, che portava fieramente eretto il bel volto sul collo slanciato.
La spiccata somiglianza dei tratti somatici e dei colori, l’eleganza nel portamento della donna, mi fecero immediatamente capire che di sua madre si trattava:
” Posso presentarle mia madre, signore?”
Mi inchinai leggermente mormorando il mio nome, mentre la donna mi strinse vigo-rosamente la mano, quindi con voce musicale e femminea:
” Stefania”
Mentre Thomas mostrava alla madre anche i particolari più insignificanti dell’Ale-
xandra, io seguivo con lo sguardo la figura flessuosa di lei muoversi con grazia ed al contempo con una certa qual determinazione, che accomunai immediatamente a sinuose movenze feline.
Terminata la visita, a cui io non partecipai per lasciare a Thomas il piacere di illustrare le manovre e forse anche per altri oscuri motivi che aleggiavano nel mio cuore, i due vennero a sedersi accanto a me nel pozzetto.
Mi trovarono che fissavo il cielo alto, ove era comparso, attorno al sole che sorgeva, un cerchio iridescente:
” Signore, accompagno mia madre e, con il suo permesso, tornerò prima dell’ora di salpare”
” No Thomas, rimani pure con tua madre. Domani non salperemo di sicuro, quindi passa la festa con lei”
Rimase a fissarmi con sconcerto ed io, indicandogli il cerchio che attorniava il disco sanguigno del sole appena emerso dal mare, tanto che pareva stillare umi-dità, proseguii:
” Vedi quel parelio? Sopravento significa pioggia, sottovento significa tempesta. Al momento starebbe a significare tempesta, per cui dovremo aspettare che passi”
Probabilmente Stefania dovette indettare il figlio con qualche parola che io non udii, perché lui si rivolse a me dopo un attimo di imbarazzo:
” Ecco signore, mia madre dice… ci farebbe piacere averla a pranzo da noi do-mani”
Abitavano in una zona della città da cui neppure si intuiva la presenza del mare; all’intorno si ergevano pesanti cancellate che portavano ancora incisi sussiegosi blasoni o grandi lettere fuse nel bronzo. Oltre le volute di ferro un breve vialetto polveroso, subito sbarrato da un muro di cemento che recingeva villette pretenziose, attorniate da un fazzoletto di giardino, tutte uguali nel corpo e nell’anima, così come coloro che vi abitavano.
Nulla restava dei grandi parchi che quelle caricature di case avevano occupato in poco tempo, complici l’avidità e la complicità dei municipi e la rovina dei grandi patrimoni terrieri.
Nelle strade che si intersecavano ad angoli retti ed all’intorno, regnava il si-lenzio delle giornate festive consumate nell’accidiosa attesa dell’indomani. Il cielo incupiva ed il vento soffiava dal mare a raffiche sempre più fresche, senza riuscire a dominare il silenzio.
L’interno era come me l’ero immaginato: scontato, banale, di una ricercatezza sotto il cui luccichio traspariva la sciatteria di un’edilizia tirata via ed un arredamento da grande magazzino.
Il padre era un uomo che supposi arrogante con i deboli ed acquiescente con i potenti, dallo sguardo sfuggente e vagamente canzonatorio; notai subito che Ste-fania si sforzava con tatto di tenere le distanze da lui.
Quando venne portato l’antipasto la pioggia prese a scrosciare con veemenza con-tro i vetri.
La donna servì il marito con gelido garbo e lui la ricambiò di un sorriso melli-
fluo; Thomas era diviso tra il piacere di quel pranzo in famiglia, che pareva non essere così frequente e qualche oscuro pensiero.
Sicuramente era anche sorpreso dell’accuratezza della mia previsione meteorolo-gica. Evitava comunque di fissare il padre e quando costui parlava, il ragazzo teneva gli occhi fissi sul piatto, non credo per peritanza, bensì con l’atteg-giamento di chi è stato vittima di pregresse coartazioni.
E via via che le portate, cucinate con perizia e servite con grazia, si sussegui-
vano nei piatti, mi abbandonavo a quel clima familiare che la palese ipocrisia e le vacue parole dell’uomo non turbavano. Stefania, con le gote leggermente accaldate dal calore dei fornelli, mi guardava come se la magia della giornata, nonostante il tempo cupo, fosse ascrivibile a me solo, che nessun merito potevo vantare in proposito.
Ed al commiato, l’uomo già ostentatamente seduto innanzi al televisore, provai la tormentosa dolcezza dell’indugio che, protratto all’estremo, interruppi a ma-lincuore.
In navigazione Thomas si comportò sempre al di sopra delle mie aspettative, sur-rogando con la volontà la carenza di pratica. Non aveva gran ché da imparare sulla navigazione, poiché pareva nato già con la vocazione.
Gli insegnai l’arte senza mai richiamarlo dicendo ”guarda come si fa” bensì sforzandomi di essere un costante esempio, commentando poi a voce alta le mie manovre.
I lunghi passi delle sue gambe interminabili si erano fatti più corti, adattati all’instabilità del ponte di una barca che oscilla al respiro a volte aspro del mare.
Durante gli sbarchi scompariva appena terminata la manovra ed io ero certo che si precipitasse a casa dalla madre, cui inviavo sempre un saluto tramite lui, necessariamente molto più formale di come avrei voluto, non dimentico soprattutto della presenza del padre, quell’uomo ambiguo che chissà perché immaginavo anche violento.
Una notte, i passeggeri erano già coricati, Thomas iniziò ad indugiarmi attorno, non decidendosi a scendere nella cuccetta. Dopo molte esitazioni, che io coglievo con la coda dell’occhio, mi si accostò.
Sirio declinava radiosa nel cielo, preceduta dal Grande Cacciatore, in cui una fascinosa e mite leggenda riconosce la luminosità del Messia ed i tre Magi, la Cintura di Orione, Alnitak, Alnitam, Mintaka, che precedono la luminosa stella passo passo:
” Signore… se me lo concede vorrei parlarle”
” Ti ascolto”
” Ecco signore, a casa i rapporti con mio padre sono ancora peggiorati e per giunta si rivolge sempre alla mamma in tono ostile e arrogante. E’arrivato a minacciare anche me, una volta che l’ho rimbrottato per questo. Però ho anche capito che è lei, signore, a determinare questa situazione”
Mi
feci guardingo:
” E cosa te lo fa pensare?”
” Il fatto ad esempio che il peggioramento nel comportamento di mio padre sia coinciso con la sua visita e direi anche con i saluti che lei manda. Una volta mio padre ha interrotto bruscamente la mamma che mi chiedeva come mi trovassi sull’Alexandra e che tipo fosse lei. Mi scusi signore, non voglio essere un fic- canaso, ma c’è del vero nella mia supposizione?”
Fortunatamente il buio nascondeva la mia espressione di vago imbarazzo e di gioia al contempo. Dunque Stefania aveva chiesto di me!
Poi rinsavii.
Quale significato recondito, se non nella mia fantasia, poteva avere il fatto che una madre chiedesse con chi navigava il figlio?
Certo, l’ultima volta mi ero abbandonato al gioco degli sguardi di Stefania, privi della spavalda consapevolezza della gioventù, quella gioventù insolente e timida insieme, per acquisire lo sguardo di chi è ormai ben consapevole di come il tempo incalzi, sollevando e disperdendo la polvere del passato fino ad ottenere una limpida vacuità delle giornate di cui non avrai mai più percezione.
Così sognavo, immemore del fatto che Thomas aspettasse da me una risposta che forse ci avrebbe reso nemici, ma che non potevo rifiutargli:
” Sì, Thomas, ciò che tu hai supposto è vero”
Il ragazzo inspirò profondamente e si appoggiò al boma, poi mi guardò con un’in-
tensità percettibile anche nel buio:
” Signore, devo confessare che la cosa mi fa felice. Da tempo noto come mia madre languisca in famiglia, ove anni addietro fummo tutti felici e poi l’atteggiamento di mio padre non mi rassicura sulla propria sincerità, sulla propria onestà d’intenti. No, no, non pensi che voglia andarsene di casa, è troppo egoista; piuttosto tende a rendere mia madre succube di una situazione che, a mio vedere, non ha uscite”
Mi alzai in piedi e gli strinsi la mano, riuscendo solo a dire, terminato il forbito discorso del ragazzo:
” Grazie Thomas. Sei un buon giovanotto e diventerai anche un buon marinaio”
” Non chiedo di meglio, signore”
Stefania era ad attenderci alla banchina ed io, addossato alla ruota, la fissavo intensamente, riuscendo a catturare il suo sguardo, mentre se ne stava avvinta al figlio, quasi cullandolo dolcemente.
Restai immobile, gustando la dolcezza di quella lunga occhiata, più ermetica di un sorriso, più eloquente di mille parole, quindi lei, appressandosi con grazia ed estrema naturalezza mi baciò, sfiorando con labbra ardenti la mia gota.
L’estate passò così, tra timide, schive carezza ed occhiate complici, con le te- lefonate in cui Thomas alla fine mi passava la madre, allontanandosi pudicamente
nonostante l’assoluta castità e lievità delle parole, sussurrate nell’aria salmastra del ponte, perché è sempre motivo d’imbarazzo per i figli la sessualità vera o presunta dei genitori. In quei momenti il cielo trapunto di stelle pareva emanasse una luce limpida come non mai. E mi pareva di avvertire, nelle parole che si componevano impersonali nel ricevitore, l’insinuante profumo di Vanderbilt che Stefania portava.
Rientrammo definitivamente quando incalzano i tempi in cui il mare si fa scontroso, divenendo intollerante con chi naviga, le giornate già brevi e nella notte il respiro delle onde diviene algido, trascinando seco veli di foschia. Quando la terra si profilò contro l’orizzonte scialbo, i passeggeri salirono sul ponte per ammirare lo spettacolo del sole nascente a poppavia.
In porto, all’attracco, nonostante fossimo impegnati nella manovra, io e Thomas ci sforzavamo di individuare il volto di Stefania sulla banchina, però, una volta calata la passerella e salutati i clienti, ci accorgemmo che non era ad at-tenderci, come promesso con parole che restavano cocenti nonostante avessero at-traversato il gelido etere.
Thomas agguantò con mano impaziente il telefono, ma nessuno rispose alla chiamata. Allora, rivolgendomi uno sguardo apprensivo, si avviò di corsa lungo la passerella e dopo un attimo, con il cuore che palpitava in petto, lo seguii di impulso.
Ma era tardi, perché ciò che doveva accadere, era già accaduto.
Un racconto che ha il sapore di un romanzo. Affronti un tema molto spinoso, quello della vi9lenza sulle donne, e lo fai con grande garbo. Lasci al lettore l’immaginazione delle scene violente, mentre descrivi momenti di pura armonia. Molto bravo . I problemi di formattazione, perfettamente risolvibili, non inficiano questa intensa lettura.
Qui c’è il piglio del grande romanziere, caspita…
Sei spropositatamente bravo a scrivere, Alfredo. Vergognati!