Premio Racconti nella Rete 2020 “Baby monitor” di Maria Luisa Stepanek
Categoria: Premio Racconti nella Rete 20203 a.m.
Lucì, aiutàme! S.O.S. amplificato dal baby monitor. Si appiglia a ogni fonema del mio nome. Sprinto da buona velocista dei 5 metri. Le isso il busto ammosciato. Mi acchiocciolo contro di lei. Rastrello i suoi capelli con le dita…Mi abbandona…
8:13 a.m.
Deambulatore avvistato. Arriva El Camminator. Modello rosso sangue, telaio in similpelle nera, sedile integrato, 4-wheel drive, velocità variabile. L’anno prossimo lo blingherò con cerchi in lega e un sistema idraulico da far concorrenza al più bel Hummer in un video R&B. Non aveva voluto comprarne uno di seconda mano. Ne voje la màchene di nu mort! Eh no, questo gioiellino è nuovo di zecca. Ci sbavano dietro i nostri vicino. Ultra-settuagenari coalizzati in sgangherati, semi-sgangherati e meno sgangherati di me. Denominatori comuni: arti contraffatti e toccata e fuga filiali. Eh già. Vivo in una casa di riposo spacciata per condominio.
8:35 a.m.
Tocco immancabile della sua toilette: il rossetto Red Mystery. Le coloro bene le labbra, cercando di ridisegnare i contorni della bocca. Estraggo i denti posticci e inizio a spazzolare. Porta solo la dentiera superiore perché giura che sfoderare anche quella di sotto le conferisce un sorriso troppo equestre. . Quande mi mòre la làsce a te! L’arcata dentale è tra la lunga lista di oggetti che vuole donarmi in eredità: l’appartamento, il libretto delle orazioni con anime fiammanti in copertina, il cagnolino attaccato alle chiavi di casa che abbaia quando si battono le mani, l’abbonamento alla penultima fila in chiesa (il posto prediletto per anni che lascia trasparire sia un senso di umiltà della serie “gli ultimi saranno i primi”, sia un rifiuto di occupare l’ultimo banco riservato ai ritardatari e ai devoti che fuggono in sordina prima dell’inno di chiusura), vari articoli della mia dote tra cui il copriletto dell’anteguerra ricamato dalle nostre matriarche, le ciabattine rosa in satin e i grembiuli pizzosi che sembrano far parte di un completo da domestica ammiccante, per non parlare dei suoi occhiali con montatura felina che indossa fin dai tempi in cui faceva parte del Club delle Sette Vedovelle, una sorellanza di donzelle diversamente rifiorite, il cui tesseramento onorario si attuava automaticamente al decesso del proprio coniuge.
8:46 a.m.
Spiego l’armadio a ventaglio. Mi stordisce un mix micidiale di eau di toilette oppiaceo e naftalina. Mittitene nu còne accusci’ ti trove nu marit pure te! È più repellente che acchiappa-marito. Distanzio i vestiti per farli prendere aria, sennò i tessuti rischiano l’intertrigo. Magliette e pantaloni colorati come il cocktail di confetti salvavita che prende al mattino. Decreta che bisogna essere sempre in ordine e soprattutto, munirsi tutti i giorni di biancheria raffinata, perché non si sa mai quando potrebbe capitare una disgrazia. Figuriamoci, rispolvera persino il collier di perle quando mette piede fuori dalla nostra villetta.
11:15 a.m.
Ha fame. Va a chiamè lu cinese! Sfoglio il depliant ma sappiamo già cosa ordinare: chow mein di pollo, zuppa di mais e germogli di bambù, manzo e broccoli, maiale in salsa agrodolce. Col tempo, la mia voce aveva assunto la stessa inflessione quadritona della signora al telefono. Riconosce sempre la mia voce e prevede sempre le pietanze del nostro banchetto. Cediamo al nostro solito match di ping-pong telefonico: H?llo, ?’d like to órdèr… Nambe fi, twenti fou, terti ayt… Sapeva anche che alternavamo il chow mein vegetariano a quello gallinaceo (la nostra trasgressione culinaria più notevole). Ah, ma, cara mia signora, non sai cosa ti aspetta. Un giorno ordinerò anche la salsa piccante per confonderti le idee. Bisogna assolutamente rischiare un po’ nella vita.
12:07 p.m.
Sentiamo la suoneria. Tiro su la cornetta. Who is it? Il nostro villaggio pensionistico è dotato di un sistema di sicurezza secondo solo a quello di Alcatraz. L’anti-criminalità più efficace è sempre stata la méfiance dei condomini. Ciniz fud! Identifico la voce e schiaccio per sbloccare la porta d’ingresso. Mi rendo conto che non so come si chiami il ragazzo anche se è da qualche anno che ci frequentiamo. Non abbiamo solo appuntamenti galanti con il nostro pusher di leccornie beijinghesi; ci sono anche gli incontri con il cardiologo di fiducia, con il dispensatore dell’Eucaristia e con i lavoratori di manutenzione. Guardo attraverso il buco della serratura. Dopo un accurato esame dei lineamenti facciali, apro. Arriva El Camminator a tutto sprint, manco fosse iniziato l’adorato talk show la cui tematica più scottante è la scoperta del “vero padre” dopo la somministrazione del test della paternità e le conseguenti liti rocamboleschi in diretta. Si sistema i capelli, approvando il ritorno del delivery boy con un Sci’ ‘rminut! Non so se si fosse precipitata più per lui o per le borse di plastica panciute.
12:11 p.m.
Spalanca la porta a spinta. Le preparo il tavolo. La cucina è il nostro luogo d’incontro preferito. È anche il luogo neutro dove fa accomodare i mei corteggiatori (solo i più temerari) con un accenno del mento. Sotto la porta, arti e ruote ben visibili. Lei rimane seduta sul divano in sala, pronta a scattare come un fuorilegge che piomba in un saloon. Se percepisce un riavvicinamento di sedie di meno di un metro, fucila il malcapitato con la solita minaccia: È or di j!
3:25 p.m.
Squillo di telefono. Ci guardiamo, allarmate. Tiro su la cornetta. Lascio parlare la ragazza ma quando arriva al You can pay in five years! le faccio segno di venire. Ci lanciamo delle occhiate complici. Il suo inglese stentato si frattura sempre di più grazie a scarti mnemonici. Ayma sorri, i dono spik inglisc! e riaggancia senza aspettare la risposta. I pagamenti immateriali non ci piacciono. Spendiamo solo soldi in carne e ossa, noi.
6:03 p.m.
Prendiamo l’ascensore. Una botola di giunture scricchiolanti che fanno pandan con le articolazioni degli utenti. Arriviamo a destinazione. Un effluvio d’incenso per imbalsamare pelli e pellami stagionati. Ci dirigiamo verso l’evento apice della mia vita sociale, ossia la cena potluck annuale nel cortile condominiale, con tanto di amuse-bouche Polident-compatibili e cocktail (analcolici?) a base di succo di prugna. Movide universitarie con fontane di birra e concerti indie? No, grazie, signore e signori. Io mi tengo stretta i miei cari vecchietti arzilli. Come potevo mancare al party geriatrico più atteso dell’anno, quello che mobilitava persino i condomini reclusi? Per l’occasione il mio tesoro si bardava nel modo seguente: permanente leonina, abito zebrato in seta, sandali ortopedici pitonati, borsa a baule coccodrillata. Sembrava appena tornata da una battuta di caccia. Mi sono arresa anch’io al gusto (proibito) per l’animalier quand’ho capito che era inutile combattere contro cromosomi strisciati e maculati. Come al solito, Bill si era piazzato sotto una palma a raccogliere scommesse (illecite) su chi sarebbe stato il prossimo condomino a passar a miglior vita (John, il primo defunto dell’anno nuovo, non si era mica accorto del motivo per il quale Sally aveva iniziato a sporgergli delle prelibatezze ottura-arterie così sfiziose). Ted, invece, deliziava una discreta audience con barzellette sull’ammissione degli avvocati in Paradiso, convinto che il silenzio abissale che si verificava al momento clou dei suoi racconti fosse tutta colpa del malfunzionamento delle orecchie amplifonate dei suoi ascoltatori. Suzy, da parte sua, cercava di adescare nuovi assaggiatori per il suo plat de résistance, il Surprise Shepherd’s Pie, un pasticcio preludio a svariate gelatine anti-reflusso il cui ingrediente segreto avrebbe portato con sé fino alla tomba (così insisteva lei), un’omertà che aveva provocato (così si bisbigliava durante le partite underground di canasta il cui vincitore faceva piazza pulita dei contesissimi libretti di coupon degli avversari) la vista di mini bambole negli appartamenti di alcuni condomini.
8:45 p.m.
Le metto il pigiama. L’imbacucco nel letto. Mi seggo sul Camminator. Con lo sguardo basso mi dice Te voje bene…te voje bene…Un giradischi incantato. Te voje bene…Anch’io ti voglio bene, Nonna.
9:10 p.m.
Claudico verso la mia stanza. Tolgo il busto a stecche e ingoio un boccone d’aria. Mi libero delle mie ciabatte-procione (quelle che indossa anche lei, c’era stata l’offerta del 2-for-1). Striscio dentro il mio pigiama preferito, quello con le impronte d’alce timbrate sul retro dei pantaloncini. Affondo nel solco del letto, cullata dal respiro affannoso del baby monitor.
3:02 a.m.
Maledetto! Non si può mica andare avanti così! Qualche goccia di melatonina nel tuo punch non avrebbe fatto male a nessuno! Hank, il vicino di sotto, amava ascoltare i suoi dischi Big Band a tutte le ore della notte. Non si capiva se era sordo e/o se cercava d’insonorizzare le urla della sua cougar novantenne (grida dovute a picchi di piacere o a microfratture ossee provocate da questi spasmi amorosi). Lucì, pije lu bastòne! Prima di fare l’upgrade al Camminator, il bastone rappresentava il suo fedele compagno. Svolgeva tantissime funzioni, come ad esempio, tirare giù la corda-campanello sul pullman, cadenzare le dottrine sul senso della vita, minacciare gli automobilisti quando si lanciava sulle strisce agli incroci non prima dell’esatto momento in cui il semaforo pedonale diventava rosso e tagliare la fila agli altri correntisti in banca, bypassando uno dopo l’altro grazie al potere conferitole dal suo scettro. Negli ultimi anni, però, il suo caro vecchio amico serviva solo più a zittire il vicino di sotto. Su comando della mia mandante, davo tre colpi secchi sul pavimento. Un morse code. Un sistema di pre-avviso, avviso e post-avviso. Qualche secondo dopo, non si sentiva più nulla. Hank captava fin troppo bene le vibrazioni dal pian di sopra.
10:01 a.m.
Caspita!…Che ore sono? …Tardi così?…Come mai non si sente niente?… Promemoria: comprare assolutamente le batterie oggi.
Tutto sta negli occhi di chi guarda. E in questi occhi c’e’ dolcezza, affetto, ironia, comprensione per la realtà di questa nonna probabilmente trapiantata due volte, in una casa e in un paese diverso, e per un mondo a sé con tutti i suoi abitanti pieni di acciacchi, deambulatori e dentiere ma anche di rossetti fiammanti e sandali pitonati. Ed e’ bello scoprire che c’è tanta vita in un paio di ciabatte procione. Brava.
Grazie Marco. Sono commossa. Sì, desideravo fare un omaggio a mia nonna, una donna che ha saputo creare nuove vite in terra straniera. Grazie ancora.
Mari!
Che bello trovarti qui! Sono quasi emozionato a commentarti in pubblico :-).
Tu ed io sappiamo perfettamente che sono sincero quando dico che tua nonna sarebbe impazzita di gioia per un simile gioiellino di scrittura.
Non manca davvero nulla: prosa moderna e accattivante, vocabolario nutrito, impressionante abilità di confrontarsi con il dialetto abruzzese intervallata da piccole perle di inglese maccheronico con cui le “nostre” vecchiette ci hanno deliziato fin dall’infanzia.
Aggiungo che la scelta di impostare il pezzo sullo stile “agenda giornaliera” favorisce il fitto e piacevole dipanarsi degli eventi, donando al lavoro un’impronta originalissima, per nulla ciclostilata o banale.
Insomma: “m’ha piaciùt!”.
Spero di rivederti presto, porta un abbraccio a Giulio e ai ragazzi.
Lorenzo
Molto bella la dolce e ironica descrizione della giornata di questa deliziosa nonnina. Bella e originale.
L’ironia ma sopratturro l’autoironia è segno di grande intelligenza e sensibilità. Mi è piaciuto molto il tuo modo di scrivere e di raccontare questa storia dalla quale viene fuori prepotente un grande senso di amore nei confronti di una grande donna che meritava di essere raccontata . Brava Maria Luisa.
Grazie per il tuo commento gentile Pasqualina!
Grazie Paolo! Grazie per aver usato il termine “grande donna” per descrivere una persona che mi è stata così cara.
Grazie Lorenzo! Sono molto emozionata nel leggere il tuo gentile commento. Come dimenticare il gusto per l’animalier di Nonna e la nostra cara comitiva di matriarche “forti e gentili”! Un caro saluto da tutti noi! Maria