Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “30 decibel” di Massimiliano Govoni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Chiudo la porta di casa, con la schiena mi appoggio su di essa come se dovessi impedire a qualcuno di entrare. Inspiro forte, espiro la giornata di lavoro e ogni parola che ho dovuto udire. Indosso le pantofole di stoffa. In bagno sfilo uno dei tappi di cera che porto quando sono fuori, mi lavo con attenzione e infilo quello di silicone, poi faccio la stessa cosa per l’altro orecchio; i tappi di silicone sono meno efficaci ma più igienici, a casa possono bastare. E’ un procedimento collaudato, rende il momento della sostituzione dei tappi breve, il più breve possibile. La prima volta che li ho indossati è stato in fabbrica, un’estate che volevo guadagnare un po’ di soldi per le tasse universitarie. Mi diedero una tuta bianca, delle scarpe grigie rigide e un pacco di gommini arancioni. I macchinari erano rumorosi e l’azienda forniva agli operai dei tappi per le orecchie fatti come delle caramelle gommose all’arancia. Iniziai a portarli a casa, a usarli la notte per dormire meglio. Non che avessi problemi di insonnia, era solo che in questo modo il sonno era più tranquillo. Certe mattine, dopo il turno di notte, mi svegliavo per una porta sbattuta o la tv troppo alta, così provai a metterli. Cominciai a dormire sonni pesanti, mi sembrò, finalmente, di riuscire a riposare davvero. Vivevo con i miei allora, Monica non l’avevo ancora conosciuta. Sento sbattere la finestra della cucina, mi precipito, la chiudo prima che il vento ci riprovi. L’appartamento torna a essere mio: i rumori della strada sono solo leggere increspature della superficie di uno stagno, le voci dei vicini impercettibili.

Monica se n’è andata mentre ero al lavoro. Ha telefonato durante la pausa: “Stasera quando ritornerai non ci sarò…”. Mi pareva che andasse tutto bene, ma a lei il silenzio non piaceva. Tutte le sere, a cena, sentiva il bisogno di parlare e parlare; mi raccontava tutta la sua giornata ed io facevo di sì con la testa. Ascoltavo e speravo che la finisse al più presto. Una sera, per scherzo, misi i tappi e assentii mentre lei mi parlava. Quando se ne accorse andò su tutte le furie. Nei mesi seguenti le cose peggiorarono quando cominciai a evitare di rispondere al telefono. Non sopportavo più il volume che le persone usavano alla cornetta, come se dovessero urlare per farsi udire. Iniziai a chiederle di rispondere al citofono per la stessa ragione. Un giorno le chiesi di provare i tappi. Credevo che mi avrebbe capito.

Su tutti i pavimenti ho fatto stendere la moquette. In questo modo quando cammino, non sento più il rumore dei passi. Ho fatto sostituire gli infissi con una modesta spesa; ora ho i doppi vetri con un’intercapedine riempita di gas insonorizzante. Su tutti i muri, compresi i soffitti, ho fatto applicare dei pannelli fonoassorbenti: non solo impediscono ai rumori di entrare, ma assorbono anche i suoni che provoco io. Certi giorni non mi accorgo nemmeno che oltre le pareti il mondo continua a esistere. Accendo la tv: l’ho programmata in modo che parta con un livello di volume a 10 db. Mi sono procurato un manuale sulla fisica del suono e ora, quando ne ascolto uno, posso attribuirgli un valore di volume abbastanza preciso. Col telecomando alzo fino alla terza tacca che corrisponde circa a 30 db, la mia soglia di sopportazione. Quando sono sicuro che non avrò sorprese tolgo i tappi, ma non lo faccio sempre. La tv riesco a seguirla bene anche senza audio, se ci sono dei primi piani. Capisco ciò che dicono leggendo le labbra. Non me l’ha insegnato nessuno. Odio la pubblicità perché alza all’improvviso il volume fino a 50 db. Sempre più spesso metto su un dvd. Per fortuna non abito vicino a un aeroporto: i jet, nel momento del decollo causano un rumore di 170 db. Il telefono lampeggia e vado a rispondere. Mi tolgo uno dei tappi, tengo la cornetta un poco distante dall’orecchio: è Monica, chiede come sto. Bene, bene. Mi chiede se ho chiesto l’appuntamento. Rispondo che, sicuro, l’ho già preso per il mese prossimo. Lei è dubbiosa, lo capisco dalla sua voce che diventa più acuta sotto stress. Mi ha chiesto di farmi vedere da uno specialista; due mesi fa l’appuntamento dallo psichiatra lo avevo preso davvero ma… arrivato nella strada dello studio me ne sono andato: c’era un operaio che stava rompendo l’asfalto con un martello pneumatico.
-Non stai dicendo così solo per tranquillizzarmi?
-No, davvero. Tu piuttosto, come va il lavoro?
-Come?
Spesso mi chiede di ripetere le frasi come se non mi sentisse. Mi racconta del suo lavoro ed io mi assento. Sono felice. Sì, sono felice che se ne sia andata. Mi piacerebbe poter abbassare il volume con il quale le persone parlano, fino a non udirle più. Ma non è possibile. Ci salutiamo e io sono di nuovo tranquillo. Stacco la linea. Potrei anche dare la disdetta all’abbonamento. In cucina preparo la cena. Il modo migliore per evitare rumori è usare vaschette di cartone e cucinare tutto nel microonde. Solo devo ricordarmi di bloccarlo un attimo prima della cottura perché altrimenti emette un beep così acuto che mi dà le vertigini. Naturalmente utilizzo posate di plastica. Ogni tanto si avvia il motore del frigorifero; ho pensato di applicare dei blocchi di polistirolo nella parte posteriore ma temo che questo, impedendogli di disperdere il calore, possa danneggiarlo. Quando mi stendo sul letto estraggo dal comodino le cuffie che ho comprato per dormire. Sono gialle e assomigliano a quelle degli impianti hi-fi. Solo che queste non emettono alcun suono. Le ho comprate su internet, vengono usate dagli addetti ai bagagli negli aeroporti. Quando le metto mi pare di sentire il vero silenzio.

Al mattino non ho bisogno di una sveglia, basta la luce che entra dalla finestra. In bagno apro l’acqua della doccia: non giro il rubinetto fino in fondo, lo tengo a metà per fare uscire il getto più lentamente. Mentre aspetto l’acqua calda mi procuro i vestiti di ricambio e l’accappatoio. E’ uno momenti nei quali sono indifeso, senza cuffie o tappi. Apro il portone della biblioteca alle otto in punto, vado in pausa pranzo all’una e riprendo alle due per continuare fino alle cinque. Il cibo me lo porto da casa e lo consumo in uno stanzino dietro il bancone. E’ una biblioteca di quartiere, non ci sono tanti visitatori e l’unico addetto sono io. Prima delle nove viene qualche anziano a leggere il giornale, il pomeriggio qualche studente a cercare un po’ di tranquillità. Anche in biblioteca non posso portare i tappi ma il rumore è sopportabile; se poi le persone si rivolgono a me io bisbiglio e tutti si adeguano. Un giorno ho appeso all’entrata un cartello con su scritto che la biblioteca era chiusa per inventario, e nessuno si è lamentato. Così, certi giorni, quando ho voglia di stare solo, rimetto il cartello. Una mattina è arrivato in biblioteca un sordomuto, per comunicare ha utilizzato un foglietto:
“Buongiorno. Dove posso trovare i testi di filosofia?”
Non ho risposto, ho preso il foglietto e gli ho fatto cenno di seguirmi. Gli ho indicato lo scaffale giusto e sorridendo me ne sono andato. Ho fantasticato che avrei voluto essere anch’io così. Se fossi sordo non avrei più bisogno di tappi per le orecchie, ed esser muto mi solleverebbe dall’obbligo di parlare con le persone. Prima di andarsene è passato per mostrarmi cosa prendeva. Ci siamo messi a scrivere sui foglietti. Gli ho chiesto se abitasse da molto in città e lui ha risposto che si era trasferito da un mese. Mi ha scritto che aveva trentasei anni e che prendeva la pensione d’invalidità. Prima viveva con sua madre ma ora aveva deciso di starsene da solo. Senza pensarci troppo gli ho scritto:
“Perché non viene a cena da me giovedì?”
Lui ha sorriso e poi ha risposto:
“Cosa devo portare?”
Ho continuato a frequentare Antonio. Viene a casa mia almeno una sera alla settimana. Ceniamo in silenzio e poi lui mi spiega il linguaggio dei segni. E’ un modo di comunicare complesso e il tono della voce è sostituito dall’espressione del viso. Una sera mi ha guardato un poco triste e poi con le mani ha chiesto:
“Perché non vuoi più sentire i suoni?”
Io con la voce ho risposto:
-Ho paura.- E mi sono messo a piangere. Lui mi ha preso la testa e se l’è appoggiata al petto.

Sul comodino ho alcuni libri della biblioteca che ho fatto acquistare al comune, ma non ho mai registrato. Li ho fatti prendere per me, sono sicuro che nessuno controllerà mai. Adesso sto leggendo un romanzo degli anni settanta di Irwin Shaw: un uomo trova lavoro come portiere di notte e passa le ore leggendo, almeno fino alla notte nella quale scopre un cadavere e un piccolo gruzzolo. Capisce che è l’occasione della vita, prende i soldi e se ne va. Anch’io vorrei un’occasione. Penso che andrei a vivere in collina, forse chiamerei pure Antonio. Chiudo gli occhi, per addormentarmi immagino delle situazioni. Questa notte sono un sommozzatore e, lento, scendo negli abissi marini. Il peso dell’oceano è come una coperta, e ogni rumore resta in superficie insieme alla luce.

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2 commenti »

  1. Se definissi il tuo protagonista un fonofobico sarei un vero superficiale. Vedo in scena la solitudine, l’isolamento ed anche l’ossessione. E’ un racconto molto intenso, sottile ed altamente espressivo nel proprio silenzio. La tua cura per i particolari mi ricorda lo stampo di Palahniuk, ma sei dotato di uno stile molto più fondato e levigato. Ho apprezzato molto l’immagine finale del sommozzatore. Bravo.

    Lorenzo

  2. mi sono immersa nel tuo silenzio,l’ovatta bianca mi è arrivata al cuore,ho provato qualcosa di simile a quello che provavo quando facevo immersioni di notte,cambia la percezione anche degli altri sensi non solo dell’udito,anche la vista vede colori come in un sogno,il tatto si fà più discreto,persino il gusto cambia. Il sapore della saliva che scende per il palato è più dolce. Certo il mondo è rumoroso e fà paura,il neonato che abbandona l’acqua per sopravvivere deve gridare,spero che il tuo protagonista trovi l’istinto che lo conduca al grido,perchè nonostante il fastidio del rumore quello è il segno tangibile della scossa della vita,altrimenti vivremmo un sogno senza fine.Bravo,molto diverso dagli altri letti,credo che smuovere un sentimento nelle viscere di chi legge sia già un bel risultato.
    Se vuoi leggimi anche tu.
    un abbraccio francesca

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