Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “Space invaders” di Sandro Antonioli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020


I timer che fanno deflagrare i razzi sparano i due bambini oltre il muro del suono a cavallo di quella che sembrava essere una stella in navigazione verso galassie inesplorate nello spazio sconosciuto. 

Nel giro di un niente i due vengono ricatapultati sulla terra e si sono presi qualcosa come centoquaranta o centocinquanta milioni di anni luce. Fisicamente sono rimasti quelli di prima.

Così sembra almeno, perché i primi passi li vedono muoversi lentamente, forse affaticati dagli anni luce. 

“Nooooo! I razzi, o forse magari l timer, erano difettati” urla Luisa.

Nei fatti si stava solamente mettendo insieme una piccola festa per inaugurare la casa nuova; mesi di trasloco e di ansie: riviste datate 1983 consumate dell’umidità e da qualcosa, che spero, non siano topi; servizio piatti vinto alla pesca di beneficenza della sagra del paese, sci nordica del 1977 con annessi scarponi ora sede di una simpatica tana di famiglia di ragni. Topi e ragni vanno a rimestare le mie paure più ancestrali, insieme a quella del buio dello scantinato. 

I razzi difettati…. In un flash spazio temporale rivedo il momento esatto in cui prendo lo scontrino e lo getto nel bidone della carta (o forse avrei dovuto usare quello del secco non riciclabile?)

Luisa mi legge nel pensiero: “sei proprio tonto! Sono anni che cerco di insegnarti a fare la differenziata”.

Non mi resta che correre fuori; sulle scale scanso un attonito Silvano del primo piano che mi viene incontro con fare minaccioso: “ho sentito un rumore come di razzi che esplodevano! Ho già detto troppe volte alle riunioni di condominio che non voglio basi spaziali nella nostra proprietà”. Gli lancio uno sguardo minaccioso ricordando che all’ultima assemblea mi ero presentato con tutta aderente glitterata tendente all’argento. Piccolo momento di imbarazzo causato all’amministratore che aveva preannunciato quesito all’agenzia delle entrate sulla liceità del glitter (la tuta aderente invece andava bene).

Scavalco il cancello e a una velocità quasi invidiabile raggiungo la zona della raccolta. Mi tuffo  nella campana della raccolta della carta. Vengo attirato da un giornalino porno di recente data che e mi chiedo  perché la gente spenda soldi nella carta stampata e non si evolva invece verso un più facile sito internet gratuito.

Sarà perché la fibra non è arrivata ancora in tutte le case. Forse.

E’ nel paginone centrale, primo piano su fallo invidiabile, che ritrovo lo scontrino. 

Decido che mi porto via la rivista, salvo scoprire che è quella che avevo comprato il mese scorso e poi nascosto sotto il materasso, la mia parte del materasso. 

Luisa! C’è il suo zampino sia nella scoperta della rivista che nella corretta gestione della differenziata.

A proposito, a casa nostra non è ancora arrivata la fibra. 

Appagato per il giusto ritrovamento della rivista torno con maggiore serenità all’obiettivo della missione: lo scontrino. 

Cercando di sistemarmi in maniera presentabile, con il pezzo di carta in mano, mi presento alla ferramenta di via Savonarola.

“Brutto bastardo figlio di puttana! I razzi, o forse i timer erano difettosi!”

Il titolare della ferramenta mi fissa per poi girare lentamente lo sguardo verso un cartello appeso alle sue spalle che recita, testuale:

“Non si accettano clienti che si presentano in negozio iniziando la frase con:

  • Solo una domanda per favore
  • Quanto costa
  • Vado di fretta, ho la macchina parcheggiata in divieto di sosta
  • Brutto bastardo figlio di puttana.”

Capisco di aver sbagliato; esco e  rientro con fare conciliante.

“Aspetti il suo turno” mi dice ora. Nel negozio non c’è nessuno. Allora passo dall’altra del bancone e lo afferro per la gola. 

“Brutto bastardo figlio di puttana mi hai rifilato due razzi  o forse, due timer difettosi! I bambini sono stati sparati in orbita e son tornati con centinaia di anni luce sul groppone. Noi volevamo fargli fare solo un’esperienza interspaziale”.

Il titolare gira lo sguardo verso il cartello e cerca di dire qualcosa. Mi impietosisco e mollo per un attimo la presa.

“Guardi che i timer non sono in garanzia”.

“Aaargghhh! Bastardo dieci volte allora” e stringo ancora più forte. 

È agli sgoccioli e oramai con gli occhi fuori dalle orbite. Riesce ad alzare un dito per indicare un altro cartello: “vietato prendere per la gola il titolare”.

Continuo a stringere e a leggere altri cartelli:

“I figli non sono proprietà dei genitori, c’è una sacralità inviolabile in loro, in quanto espressione del trascendente. … Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti”

Stringo ancora più forte: non è la risposta che cerco.

“I figli sono anni luce più avanti di noi”.

Quest’ultima frase esce dalla bocca di mister ferramenta in ultimo sprazzo di lucidità.

Ma non è ancora questo che voglio sentirmi dire.

Un altro maledetto cartello che mi viene indicato con gli occhi dall’uomo agonizzante è la sua verità: “Tieni sempre in mente caro cliente che sei in una ferramenta! Non puoi trovare le risposte a tutto quello che cerchi.”

Mollo la presa; dietro di me una coppia di clienti ottuagenari pietrificati (dovevano essere da qua dall’inizio della scena) mimano con la bocca: PROVA CON IL B R I C O C E N T E R.

Esco dal negozio senza aver risolto nulla; non posso tornare a casa a mani vuote. La minaccia del cognato che viene a casa e risolve le cose mi sta addosso come una scimmia. 

Vago per la città senza una meta per vie che si restringono ad ogni svolta alla ricerca di un minimo di autostima. E’ solo perchè sono stanco di tenere lo sguardo a terra per cercare di evitare di calpestare una merda di cane che alzo gli occhi verso l’alto e lo vedo.

Un traliccio che sembra la torre Eiffel è illuminato come un albero di natale e punta diritto verso l’infinito. Non ci si potrebbe salire ma è fatto in modo tale da rendere la scalata una passeggiata. A dieci metri da terra sento giaculatorie di voci femminili e maschili che invocano santi ininterrottamente: “O si Signore e voi tutti angeli venite a prendermi!  portatemi con voi!” E’ il mio urlo liberante che cerca di raggiungere la città. 

Ma altre voci sovrastano il mio desiderio di infinito. Saranno cherubini santi e beati che vengono a prendermi? 

“Si, ho sentito le vostre voci, venite a prendermi. ecco sono qui. aspetto”

MONA! TE SIO SOL TRALICIO DE RADIO MARIA.

Chiudo gli occhi, mi lascio accarezzare dalla brezza della sera, espiro ed inspiro il profumo della terra anche se sento un po’ puzza di merda di cane.

Tra le case sullo sfondo una risulta illuminata a giorno. Potrebbe essere la mia. E’ tempo di tornare.

All’interno del cortile c’è un palco che è stato montato in fretta e furia perché la notizia dei due bambini tornati dallo spazio invecchiati di 150 milioni di anni luce ha fatto il giro del mondo. 

In prima fila Luisa con l’amministratore di condominio, vestito con una tuta che sembra proprio la mia tuta aderente…

Un giornalista, che pare Tito Stagno, sta preannunciando un servizio sui due bambini, sulla madre non più urlante e sul padre che sembra essere scomparso. Sono pronti per un minispot di Chi l’ha visto: “tesoro non preoccuparti per lo scontrino; torna a casa. Il signore della ferramenta si salverà e dice che ci restituirà i soldi dei razzi e dei timer e che a questo punto anche chissenefrega se erano difettati”.

Ci sono macchine parcheggiate un po’ dappertutto e furgoni di troupe televisive. Nel  vicolo gente accalcata che spinge per entrare nel cortile. Cerco di farmi spazio, fatemi passare grido: ci sono mia moglie e i miei figli là dentro!.

La folla si apre in due: mi guardano attoniti, ma forse più che schifati che attoniti, e realizzo che:

  • ho ancora il giornale porno nella tasca dei jeans;
  • devo aver pestato della merda di cane.

Ci sono anche alcuni degli inquilini, ancora con quello sguardo inferocito: e basta con questa storia del glitter!

Il cortile è tappezzato da cartelloni pubblicitari: TUTTO PER IL FAI DA TE. 

Allora mi inginocchio e a braccia aperte urlo al mondo che si, è vero, non ho manualità, che penso di avere degli altri talenti, che forse altri li devo ancora trovare. Che pensavo di essere bravo, una volta, a:

– disegnare, 

– ascoltare, 

– a fare qualcosa per gli altri, 

– a incontrare e abbracciare le persone, 

– a fare nuove amicizie, 

e che adesso mi sono come perso a volte non so chi sono che sento un po’ di nostalgia e che mi sembra che qualcosa non si sia ancora realizzato e che altre cose stiano finendo, che  a volte sembra che tutto crolli e che il giorno dopo invece sia in corso una ricostruzione, che vorrei essere più bravo, un uomo forte, maturo, ma sono io e sono fatto così. E che mangio troppi baci perugina.

E’ così che si rompe una sorta di incantesimo: la gente mi abbraccia, qualcuno ha le lacrime agli occhi, qualcuno mi ruba il giornale porno, qualcuno mi dice “bravo che ce l’hai fatta, bravo che l’hai detto”, altri ancora che dicono “certo che sei proprio un po’ una pippa”, altri  “però che puzza la cacca di cane” e, infine, i più scaltri “bravo che non hai buttato via le cartine dei baci perugina”.

Decine di braccia mi spingono verso il palco; ecco i miei ragazzi seduti là sopra davanti al mondo che li osserva.

Mi guardano, sorridono. 

Saranno ancora sotto l’effetto del jet lag degli anni luce.

“Papà, ce l’hai fatta, sei tornato”. 

“Si, sono qui.”

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4 commenti »

  1. Esplosivo, ironico, scanzonato, travolgente, visionario, surreale. Bravissimo!

  2. Racconto esistenziale bellissimo, esilarante.

  3. Pezzo divertente e originale. Ho cominciato a leggerlo solo tre secondi fa e già sono al commento… sarà colpa del jet leg? Magari il mio timer è difettoso! Ti saluto e vado a reclamare, non si mai!

  4. Mi è piaciuto molto! È originale, folle e ironico al punto giusto!… Ora me lo rileggo anche;). Complimenti Sandro!

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