Premio Racconti nella Rete 2010 “Se non puoi batterli” di Marco Parlato
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Il sole era tramontato da un’ora, concedendo alla luna il dominio del limpido cielo estivo.
Mauro era solo in casa, i suoi erano partiti per una vacanza di due settimane. Gli piaceva stare per conto suo, nella pigrizia totale. Pranzare in mutande, rimandare di qualche giorno il lavaggio dei piatti. Vivere con lentezza.
Gli amici non si erano fatti sentire. Aveva scaldato sul fuoco un petto di pollo e si era condito un piatto d’insalata, indulgendo troppo con l’aceto di mela.
Stava affettando la carne quando alzò lo sguardo al soffitto, senza motivo. Vide due minuscoli moscerini stazionare accanto all’attaccatura del lampadario. Mosche in miniatura, immobili e silenziose.
Continuò a cenare, facendo zapping in tv. Li avrebbe eliminati con un colpo di straccio, dopo essere salito sulla sedia. Un metodo veloce per liberarsi degli insetti, forse attirati dai piatti sporchi nel lavello.
La staffilata fu rapida e imprecisa. Un moscerino svolazzò in tondo, evitandola, l’altro sparì. Forse l’aveva preso. Non diede molta importanza alla cosa, sparecchiò e lavò tutto. Mentre stava per lasciare la cucina, notò un movimento sul soffitto. Non aveva voglia di eliminare altri insetti, ci avrebbe pensato la mattina dopo. Più probabilmente sarebbero andati via appena aperto il balcone. Spense la luce e chiuse la porta.
Passò la serata su internet. Si era iscritto alla versione gratuita di un gioco di ruolo online. Fece raggiungere al suo personaggio un livello che riteneva soddisfacente, spense il pc e si mise a letto. Già pensava all’indomani, agli amici da sentire per andare al mare e all’organizzazione di una serata più movimentata di quella appena trascorsa.
Il sole estivo lo costringeva ad alzarsi presto. Sorgeva di fronte alla finestra e trasformava la camera in un forno insostenibile.
Distolse lo sguardo dalla caffettiera fumante. C’erano quattro moscerini sul soffitto. Altri due disegnavano traiettorie curve per la cucina.
Controllò la frutta, il frigo, le credenze. Nulla di scaduto o da eliminare. Intanto gli intrusi aumentavano. Corse nel ripostiglio dove trovò due bombolette d’insetticida. Una era leggerissima, probabilmente non c’era più liquido all’interno. Tornò con la seconda, di cui la ruggine aveva strisciato la superficie colorata, puntata in avanti. Premette la pipetta che cadde miseramente sul pavimento, seguita da una piccola molla. Gli scappò una bestemmia.
Squillò il cellulare, era un suo amico. Mentre si metteva d’accordo per andare in spiaggia, scrutava i movimenti e le posizioni dei minuscoli invertebrati. Si sentiva osservato. Raccolse i resti della bomboletta arrugginita e li buttò. Ne aveva già abbastanza. Il pensiero di stare in una stanza con quegli esserini gli provocava un senso di ribrezzo.
Indossò il costume e uscì, promettendo agli ospiti indesiderati che sarebbe tornato con una sorpresina.
Trascorse l’intera giornata al mare, rientrando al tramonto.
Chiuse la porta dietro di sé e sfoderò un insetticida nuovo di zecca. Corse in cucina agitando la bomboletta. Si ritrovò davanti a una vera e propria invasione. File di moscerini sugli stipi, gruppetti intenti a scalare i vetri del balcone e la solita squadra di ricognizione sul soffitto. Mirò verso ogni raggruppamento e nebulizzò quanto più veleno poté. Isolò la cucina dal resto della casa. Sarebbe tornato dopo una mezz’ora a controllare l’esito dell’attacco e ad aprire il balcone per far arieggiare.
Aveva funzionato. Le mura, i vetri e i mobili erano sgombri. Per terra erano visibili alcuni insetti stecchiti. Aprì il balcone. L’aria fresca della sera accolse l’odore acido e pungente, dissolvendolo.
Si fece una doccia trionfante e uscì. Quando rientrò a notte inoltrata, si buttò sul letto, concedendo solo un veloce sguardo alla porta della cucina al buio.
Fu amaramente sorpreso quando la mattina dopo scoprì che erano tornati. Sembravano anche di più. Ripeté l’operazione di sterminio. Premeva con foga, bombardando di gas i puntini neri aggrediti da ventate velenose.
Ottenne lo stesso risultato. Passò l’aspirapolvere e lavò il pavimento. Si guardò intorno soddisfatto. Diede un paio di spruzzi precauzionali, così li battezzò ad alta voce.
Gli sembrava ridicolo parlare con gli amici del problema casalingo, inoltre non lo considerava un argomento interessante. Non al pari del calcio, delle ragazze e dell’esame di maturità che avrebbero dovuto affrontare entro un anno.
Ancora il sole come sveglia naturale, la caffettiera e loro. Iniziava a odiarli. Setacciò il balcone, in cerca di un nido. Non aveva idea di come nascessero, né di come fosse una colonia. Poi notò una tripletta volante raggiungere la vetta dello stipo posto sopra i fornelli. Prese lo scaletto metallico e salì impugnando l’insetticida. Raggiunta la superficie di legno, macchiata dall’umidità e dalla sporcizia accumulata negli anni, si ritrovò davanti a un esercito.
Alcuni erano in disparte. Svolazzavano incrociandosi e roteando su se stessi. Li nominò aviatori. In primo piano aveva un gruppo disposto in cerchio, i cui elementi sembravano confabulare tra loro. Si avvicinò, indugiando con la bomboletta. Li osservò sfregare le zampe anteriori e fare passetti rapidi e nervosi. Ogni tanto ne arrivava uno che si univa al rituale. Passò veloce una mosca. Era più grande di dimensione e ronzava rumorosamente, a differenza dei piccoli. Roteò sul gruppetto, poi passò accanto agli aviatori e scappò via, fuori dal balcone dal quale era entrata all’improvviso.
Sulla destra si fece avanti una coppia. Si fermò a poca distanza dal viso di Mauro. Come gli altri, i due non sembravano affatto preoccupati della sua presenza.
Il ragazzo fissò gli occhietti minuscoli e simmetrici. Avrebbe potuto sterminarli con una spruzzata copiosa, ma sarebbero tornati. L’avrebbero fatto eccome, lo leggeva in quei puntini bianchi dai quali lo scrutavano. Schifosi nanerottoli, non li avrebbe mai sconfitti.
Per quanto i luoghi della vacanza possano essere accoglienti e rilassanti, varcare la soglia della propria abitazione restituisce una serenità che non sfigura rispetto alla breve vita da turista.
L’uomo e la donna rimasero sorpresi dal disordine e dalla sporcizia in salotto. Lei, sdegnata, rimproverò il marito di non aver educato abbastanza il figlio, come se avesse dovuto farlo da solo. L’uomo era dispiaciuto per un ritorno tanto traumatico, ma aveva già in mente il discorsetto da fare circa le feste organizzate in assenza dei genitori.
Chiamarono Mauro a voce alta, senza ricevere risposta. Lo cercarono in camera da letto, in bagno. Lasciarono per ultima la cucina.
Il frigo era aperto. Gli alimenti erano sparpagliati sul pavimento, alcuni gocciolanti. La donna urlò spaventata alla vista della massa nera d’insetti, diventati i dominatori della stanza. Erano ovunque, centinaia e centinaia di minuscoli corpicini nevrotici.
Sentirono un rumore provenire dall’angolo. Il marito fece da scudo alla donna. Si avvicinarono tenendosi per mano.
A terra dietro il tavolo, Mauro, in costume, stava sgranocchiando del pane raffermo, portandoselo alla bocca con scatti brevi e rigidi. Batteva i denti come se fosse attraversato dalla corrente elettrica. Si voltò verso i genitori. Le pupille erano dilatate, lo sguardo inespressivo. Girò a quattro zampe intorno alle gambe dei genitori immobili e impauriti. Strofinò un braccio sull’altro e balzò contro il balcone chiuso. Sbatté con violenza cadendo all’indietro. Si rialzò silenzioso e si appoggiò al vetro scrutando l’esterno, insieme agli altri compagni che scalavano la superficie trasparente.