Premio Racconti nella Rete 2020 “L’invisibile” di Arianna Orlandini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Dovunque andasse, era sempre la stessa storia. Non lasciava mai traccia di sé, nessuno avrebbe mai confermato di averla vista o parlato con lei. Ovverosia, anche se le capitava di avere scambi verbali con altri esseri umani come lei, non c’era nulla che rimanesse impresso negli altri tale da far ricordare loro di aver avuto una conversazione assieme.
Né il fatto di essersi trovata faccia a faccia ed osservata da vicino con chicchessia, poteva essere una garanzia che ci fosse realmente stato un incontro tra lei e gli altri.
Era un talento davvero particolare, che aveva richiesto parecchi anni di messa a punto. Numerosi collaudi erano stati necessari prima di arrivare ad un discreto livello di abilità. Era, sostanzialmente, diventata invisibile pur non essendolo mai stata. Non che fosse di aspetto assai sgradevole, anzi molto spesso le persone si complimentavano con lei per quell’uno o tal altro aspetto del suo mediamente dotato fisico. Né si trattava di qualcosa correlato al suo carattere o alla sua intelligenza, che si potevano comunque definire provvisti di un discreto livello di complessità e struttura. Ma c’era qualcosa in lei, che sin dall’infanzia aveva contribuito a farle elaborare la più sopraffina tecnica di sparizione nell’apparizione.
La figura di Harry Houdini e tutto il mondo della magia avevano conquistato le sue fantasie di bambina, e forse in maniera del tutto inconscia aveva voluto conservare quella sua puerile innocenza in quel modo così bizzarro benchè originale.
C’erano molteplici varianti in cui il risultato sperato poteva concretizzarsi: si metteva a dialogare per un ragguardevole quantitativo di tempo con qualcuno, ma abbassando il più possibile il tono della conversazione. Se le capitava di reincontrare la tal persona e provava financo a salutarla, nulla, neanche l’aver ricevuto un cenno di riconoscimento faceva scattare nel malcapitato il minimo dubbio di essere persona a lei nota.
In aggiunta, c’era il caso in cui il tizio o la tizia erano conoscenze ormai consolidate, ma anche in questa circostanza trovava agevolmente il modo di volatilizzarsi pur non muovendosi di un millimetro. Se d’improvviso provava poi ad interloquire, ciò che ne riceveva di rimando era il consueto: “Da quanto tempo sei qui?”.
Sensibilmente più complessa restava poi la parte successiva, ma si dilettava sempre a trovare qualche escamotage che la portasse via con una inaspettata folata di vento. Altra variabile della sua singolare dote, era il caso in cui qualcuno davvero incuriosito provasse a carpirle un solo minuscolo ed insignificante briciolo in più. Già solo per aver osato tanta tracotanza, il malcapitato andava severamente punito con la nebulosa cerebrale che solo lei aveva brevettato con sommo successo. La tal tecnica consisteva nel far subdolamente sorgere nelle menti degli intrepidi interlocutori un lievissimo ma inquietante sentore di segni di squilibrio, il che era senza dubbio alcuno garanzia di successo. Non ricorreva mai, di contro, alla triviale omissione di saluto, così poco nobile per il suo animo dolce ed equilibrato. Anche perché poi, dopo tutti quegli anni di perfezionamento, aveva riscontrato non fosse nemmeno concretamente utile alla causa. Il risvolto di tutto ciò era costituito dalla motivazione per cui le persone, in seguito a tutti i suoi sforzi, erano portate a disinteressarsi di lei. Tra le svariate cause, poteva senz’altro emergere qualcosa di poco gradevole per la sua autostima, ma la qual cosa non raggiungeva comunque un tale livello di gravità da costringerla ad abbandonare la sua pratica collaudata. Talmente bene l’aveva perfezionata, che persino le relazioni con le persone di famiglia o che la conoscevano da troppo tempo per ignorare la sua presenza, si erano rarefatte.
Al contrario, la sua impresa era diventata così efficace che di tanto in tanto un dubbio si insinuava serpeggiante nella sua mente: “Era davvero mai realmente esistita?”.
Sentirsi invisibili agli occhi degli altri, credo sia devastante. Forseè vero che l’unico modo per poter andare avanti è convincersi che tale invisibilità sia volontaria, che addirittura si stia facendo di tutto per ottenerla. Interessante spunto di riflessione.
Singolare abilità che spicca in un modo dove quello che conta è “esserci” e non importa come. Ma è così bello essere invisibili? La tua protagonista sembra soffrirne un po’, e tutto il racconto è pervaso da un senso di tristezza.