Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “La gente dal tardo riflesso” di Massimo Cerina

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Ancora un’altra notte passata davanti ad una finestra. Piove. Un’acquerugiola dappoco che lascia scivolare sui vetri minuscole gocce apparentemente mosse dal caso. Da bambino amavo far correre la fantasia individuando in quelle tracce d’acqua profili di persone o cose; oggi, invece, quelle scie mi appaiono del tutto occasionali ed incapaci di risvegliarmi qualsiasi immaginazione. Quello che riesco a vedere attraverso i vetri sono solo le presuntuose certezze di chi ha pensato di giustificarsi le colpe commesse semplicemente indossando una maschera. Quante volte ci hanno spiegato che dobbiamo considerarci delle persone fortunate perché viviamo in una società perfetta: un meccanismo ben congegnato dove quello che importa è sapere quanto e cosa si deve produrre. A tanti stava bene così mentre noi due, invece, non ce l’abbiamo fatta a nasconderci l’anima dietro il pesante scudo della imperscrutabilità. Scegliere di andare da un’altra parte; semplicemente ammettere che si è cambiato idea e che si vuole tendere la propria mano per stringerne un’altra e non per afferrare dei soldi. Provare a parlare anche con una sola di quelle persone che oggi tutti sfuggono. Provarci prima che coloro che senti correre su per le scale, sfondino la porta e ti portino via.
E così, un giorno apparentemente uguale a tutti gli altri giorni, abbiamo entrambi deciso di metterci alle spalle questa società perfetta lasciando che i nostri cuori diventassero clandestini, zingari, barboni, emarginati, handicappati, disoccupati, deviati, malfattori, dei pericoli per la società. E da allora sentiamo il vento soffiare ed è freddo, tanto gelido da tagliarci in due l’anima…
Interrompo i miei pensieri e mi volto verso di te; ti guardo e con malinconica nostalgia sorrido al ricordo di noi due. Alle tue parole, quella volta…
“Ma è vero che hai fatto il Liceo Classico?”
“Sì, e con questo?”
“Uno che ha fatto il Classico cosa ci fa assieme ad una disperata come me?”
Come se la disperazione fosse una questione di titolo di studio. Come se Sorella Solitudine ti sottoponga ad una prova di cultura prima di bussare alla tua porta.
“Perché preferisco la gente complicata, timida e respinta piuttosto che quella monotona e falsamente sicura di sé che mille volte al giorno ti ripete che devi credere nel successo e nel potere”.
Gli sguardi che si compenetrano, le mani che si toccano, “la tua voce come l’eco delle sirene di Ulisse mi incatena ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo…”

Quante cose sono cambiate da allora. Quante volte siamo andati in una stazione qualsiasi in attesa di un treno qualsiasi; in quanti cinema di periferia ci siamo rintanati senza neppure conoscere il titolo del film che stavano dando… e sempre siamo tornati indietro, scoprendoci ogni volta più vecchi.
Oggi la tua esistenza è una stanza sempre più spoglia. Lentamente la stai svuotando perché sei diventata preda di chi è riuscito a farti credere che basta infilarsi un ago nelle vene per dare corpo ai tuoi sogni ed eliminare ogni preoccupazione. Lo avevi compreso anche tu – ricordi? – quella volta che in preda ad una crisi sentisti di scivolare irrimediabilmente sul fondo. “Perché non finirla? – mi avevi chiesto – Perché non lasciarci per sempre alle spalle questo teatro dalle quinte di ghiaccio?”
Già, perché non farlo?
Povera vita, povero cuore. Fa freddo, la pioggia si è fatta più fitta ed i nostri animi roteano vorticosamente sbattendo contro umide e spoglie pareti; sabbie mobili nelle quali affondi trascinandomi con te. L’acqua melmosa continua a salire e nessuno riesce a fermarla, neppure noi. Sei ormai diventata schiava di quei ladri di tempo che non si tirano indietro davanti a nulla. Non prendere quella roba, lo si vede ad occhio nudo che è tagliata male, che ti ucciderà. Non scegliere di scendere, continua a girare. Anche se tutto ci appare senza senso…
Ho deciso, troverò il tuo silenzioso carnefice ed anche se ho le tasche vuote mi farò dare ciò che ti serve.
*
Allora è questa la scena: una stazione e dentro questa stazione un cesso così squallido e sporco da rispecchiare fedelmente la personalità di chi lo frequenta per spacciarvi morte. Il resto è solo faccia cattiva, voci sempre più concitate, minacce, pugni agitati sotto il naso, mani che stringono la gola. Alla fine, però, ho quello che volevo e me ne vado via dimenticando chi mi sono lasciato alle spalle. Che strano, penso, tanti drammi, dolori, sofferenze, tante lacrime e tutto per colpa di questi infinitamente piccoli granelli di polvere bianca racchiusi nella carta stagnola.
Possibile che nessuno faccia qualcosa? Però, se davvero il dolore degli ultimi riuscisse a penetrare le nuvole raggiungendo le orecchie di chi abita lassù, allora neanche lui, che pure ne ha dovute vedere di cattiverie, neppure lui rimarrebbe insensibile. Budda… ecco sì mi immagino un Budda grasso, immobile, senza età e sereno. D’improvviso il suo divino orecchio capta un lamento talmente commovente da riuscire a fargli perdere la serenità. Guardatelo? Ha lievemente chinato il capo e sulla sua guancia scende una lacrima. Una impalpabile lacrima, talmente leggera, eterea, cristallina da essere quasi invisibile. Quanto è diversa dalle lacrime pesanti di noi umani, eppure quanto uguale nel rappresentare un dolore. Dolore per chi ormai non può tornare più indietro.
Dove stiamo andando amica mia? Guardati intorno, non vedi quante persone corrono di qua e di là senza neppure capire il senso di questo loro perdersi? Se la vita è una luce abbagliante che illumina la notte, allora noi siamo della gente su cui questa luce tarda a riflettersi. Siamo la gente dal tardo riflesso, gente per cui non vale la pena fermarsi ad ascoltare ciò che vorrebbe dirvi.
E’ a te che va il mio pensiero. Per te, amica mia, brucerei il mondo; per te scaraventerei in cielo questa società e tutta la sua perfezione…
All’improvviso sento alle mie spalle come uno spostamento d’aria e provo un dolore fortissimo. Serro i denti, quasi fino a spaccarmeli. La mia schiena è come se venisse azzannata e mi sembra che un chirurgo pazzo voglia estrarmi un polmone senza alcuna anestesia. Dolore, sofferenza, strazio. Il cervello si spegne ed un pesante velo rosso mi scende sugli occhi. Maledetto non mi hai lasciato andare, non hai compreso perché lo avevo fatto… ma se pensi di averla vinta hai sbagliato, perché anch’io ho un coltello. Mentre fruga rabbiosamente nelle mie tasche, lo colpisco infilandogli nel cuore tutti i due palmi della mia lama. Vedo cadere ai miei piedi il venditore di morte, solo allora mi alzo e me ne vado, dandogli un arrivederci nell’eternità.
Barcollo, sputo per terra una grande macchia rossa e scura; mi dirigo verso l’uscita, non devo cadere, devo farcela. Mi viene incontro un ometto insignificante che strabuzza gli occhi vedendo il mio viso pallidissimo. Trovo la forza di prendergli la testa tra le mie mani e sussurrargli: “Se chiami la televisione prima della polizia, diventerai famoso…”
Non devo cadere, devo ritornare a casa tua. Il vento… capisco che devo essere più veloce del vento perché lui ti porterebbe la notizia della mia morte ed allora prenderesti la decisione di finire definitivamente la commedia. Tutto è buio e confuso ai miei occhi, le persone mi appaiono come ombre sottili. Vedo distintamente solo il mio motorino, faccio appello a tutte le mie forze, lo metto in moto e corro, corro, corro verso casa. Devo arrivare prima del vento. Perché se fosse lui ad anticiparmi allora le tue vene comincerebbero a bruciare. Affondare velocemente, risalire lentamente, volare, precipitare, urlare, ammutolire, roteare vorticosamente, perdersi senza mai più ritrovarsi. Brucia uomo brucia, scuotiti, dimenati, su, su, su,  giù, giù, giù. Brucia donna brucia, brucia bru…bru…bru….
Salgo le scale, il dolore è sempre più forte, mi sembra di essere una bottiglia che lentamente sta perdendo il suo contenuto. Entro e ti vedo, te ne stai delicatamente appoggiata al bordo del letto, gentile ed eterea anche adesso che non ce ne sarebbe affatto bisogno. Mi lascio scivolare lentamente per terra, non provo più alcun dolore fisico eppure il peso che grava dentro di me è ancor più insopportabile. Con chi parlerò ora? Con chi potrò essere quello che realmente sono? Dove sei andata amica mia?
Chissà se ora stai meglio?
Fuori il vento soffia forte, sarà forse quel vento che annuncia l’arrivo del giorno che abbiamo sempre sognato? Noi comunque non ci saremo.
E’ una notte abbagliante per la gente dal tardo riflesso.

***

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4 commenti »

  1. titolo intenso, anche il racconto. forte anche il titolo
    grazie

  2. Grazie macondo67

  3. ripeto anche qui ciò che ti avevo detto via mail:

    intenso… particolare… bravo!

    paola

  4. tenchiù Paola

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