Premio Racconti nella Rete 2019 “Tra le vite degli altri” di Antonio De Rosa
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019“Un attimo e sono subito da lei!” mi fa la segretaria. Spero davvero che non volesse citare nessuno.
Mi siedo in sala d’attesa finché non mi chiama e mi fa cenno di entrare nello studio.
“Si accomodi, si accomodi” dice lo psicologo senza guardarmi, mentre finisce di battere qualcosa al pc. Potrebbe almeno far finta che gliene freghi qualcosa del paziente, cioè io, ma chi sono per giudicare? Alla fine nemmeno a me frega qualcosa di essere qui, per cui avverto una certa simpatia per quest’uomo rasato e ben vestito.
Finalmente si gira verso di me e mi squadra per bene, prima di parlare.
“Mi perdoni per il cambio d’orario, sono Gerri. E lei si chiama Leonardo, giusto?”
“Chiamami Leo”
“D’accordo, Leo, allora ci daremo del tu. Cosa ti porta qua?”
Lasciando perdere i convenevoli, gli attacco subito una pippa immensa sulle mie inesistenti difficoltà di ambientarmi dopo il trasferimento e lui non dice una parola. Non so cosa lo trattenga dallo sbadigliare, persino io mi annoio ad ascoltarmi. Ma di certo non ho voglia di aprirmi con un tizio ben vestito di nome Gerri. Per cui tengo duro, finché Gerri non mi interrompe.
“D’accordo, ho capito. E invece, a parte le cazzate, quale sarebbe il vero motivo per cui sei qua?” chiede, cogliendomi di sorpresa. Fiu, è bravo.
“Mia mamma mi ha costretto”
“Ma in questo momento tua mamma è in un’altra città. Perché sei venuto?” chiede Gerri, guardandomi fisso negli occhi.
Mi sta mettendo in difficoltà. E non perché non sappia cosa rispondere. Anche se, effettivamente, non so cosa rispondere. Ma questi discorsi sono troppo seri e non ho la minima voglia di affrontarli, quindi me ne sto zitto e ricambio lo sguardo di sfida.
Continuo a ricambiarlo.
Lo ricambio per una decina di minuti, poi Gerri si stufa. Ha l’espressione di uno che ha di meglio da fare che stare in silenzio a fissare qualcuno. Tipo stare in silenzio a riflettere sui cazzi propri. La vedo spesso quell’espressione, la odio da morire. A cosa dovrai mai pensare?
“Ascoltami, ne vedo molti di ragazzini come te che vengono qua solo perché si sentono costretti in qualche modo. Ma io non ho tempo da perdere” dice, scocciato. Mi sta sempre più simpatico.
“Avevo capito, zio. A me importa solo di non pensare a roba troppo seria, ti sta bene?” dico gesticolando a mo’ di rapper. Ho imparato da poco a farlo, per cui non so se mi è venuto bene.
“Bene. Sei un ragazzino intelligente. Quasi mi chiedo perché tu non voglia andare più a fondo” replica Gerri. Io alzo un sopracciglio, lui capisce e fa un gesto con la mano mentre abbassa lo sguardo, come per scacciare quello che ha appena detto. Poi però torna a guardarmi aggrottando la fronte. Sembra combattuto mentre apre la bocca per parlare.
“Come fai a non pensare mai a niente?”
“Facile, vado a bere ogni sera in un locale diverso e la musica mi rintrona per bene. Niente conoscenze profonde, niente discorsi profondi, niente di niente”
“Sembra interessante. Stasera vengo con te, se non hai nulla in contrario” dice mentre si alza e prende il cappotto al gancio dietro di lui.
“Cosa? No no no, capo. Che roba imbarazzante proponi?” chiedo mettendo avanti le mani. Gerri si gira a guardarmi.
“Mettiamola così, ho bisogno di capire me stesso tanto quanto te. Solo che io sono obbligato sul serio ad affrontare il mio abisso, a differenza tua. Ma tu sembri in grado di evitare questa responsabilità e voglio capire come fai. Fammi questo favore e dirò a tua madre che vieni regolarmente e che stai ‘lavorando su te stesso’” dice Gerri, concludendo con un gesto che imita le virgolette, un po’ a presa di culo.
La simpatia per Gerri si sta trasformando in amore vero.
Quando entro le luci e i laser mi accecano, come al solito. Respiro un po’ di quel vapore finto a pieni polmoni e per un momento mi sento a casa, qualsiasi cosa significhi. Poi mi giro e alla mia destra vedo Gerri. Ha la fronte aggrottata e gli ballano le narici, mentre il suo sguardo vaga senza meta all’interno del locale, da una persona all’altra, da un pensiero all’altro. Gli do una pacca sulla spalla per scuoterlo da quella concentrazione deleteria e gli indico il bar.
Mentre aspettiamo che ci venga servito da bere ci giriamo verso la console del dj dall’altro lato della sala, da dove proviene anche la maggior parte delle luci, e osserviamo la scena appoggiati al bancone.
Un gruppetto di ragazzi sembra divertirsi molto. Trascino Gerri con me.
“Vieni, che ti presento i miei amici!”
“I tuoi amici? Ma non avevi detto che cambi sempre locale…?”
Mi metto a ballare con i ragazzi. Non è che li conosco. E’ che faccio amicizia in fretta. Vedo Gerri che mi guarda con ammirazione. Poi balliamo. Balliamo ancora. Gerri chiude gli occhi e io esulto.
Quando torno a prendere da bere, Gerri mi segue.
“Interessante” commenta Gerri.
“Che cosa?” chiedo, senza distogliere lo sguardo dai.
“Queste luci ti illuminano giusto il tempo necessario per accecarti, senza illuminare davvero i tuoi pensieri”
Rifletto un momento su ciò che può significare, poi faccio una smorfia e scuoto la testa, irritato.
“No, Gerri! Questo è proprio il modo sbagliato di viversi la serata! Ma che fai, pensi?” urlo per sovrastare il frastuono del nuovo pezzo. Mi giro, prendo il gin tonic e lascio Gerri a pagare per entrambi.
Mi immergo tra le persone, rivolto verso la cassa e chiudo gli occhi, cercando di capire la musica. Ma qualcosa non va.
Anche con gli occhi chiusi, avverto le luci su di me e mi distraggono dal mio non pensare. Ad ogni passaggio illuminano un piccolo bambino nudo e sporco, rannicchiato nell’angolo di una stanza fredda e buia. Cerco con tutte le mie forze di scacciare quell’immagine, minuto dopo minuto. Mi giro su me stesso, apro gli occhi e vedo gente che si diverte. Poi il bambino alza lo sguardo su di me, oltre la spalla. Non posso continuare così.
Lascio il gin tonic ancora da finire e corro via. Passo accanto a Gerri, che sembra divertirsi a ballare con qualcuno, senza parlare. Buon per lui.
Appena fuori da locale cerco un cespuglio dove rimettere l’anima a Dio e poi mi siedo sull’ultimo gradino dell’entrata, esausto, con la testa abbandonata sulle braccia. Fanculo, Gerri. Che merda di serata.
Sento qualcuno che cammina alle mie spalle.
-Vai avanti, bellezza! Ti raggiungo subito- dice Gerri. Rumore di tacchi pesanti e una risatina nervosa. Gerri si siede accanto a me senza dire nulla, finché non alzo la testa e cerco di darmi un tono.
-E’ venuto fuori qualcosa?- chiede Gerri, guardando avanti.
-Sì. Grazie tante- rispondo, acido quanto il mio stomaco. Gerri allunga la mano aperta verso di me.
-Sono cinquanta euro per la seduta- dice, con nonchalance.
Rimango di stucco, poi capisco cosa ha fatto. Ecco perché prima non li ha chiesti, il bastardello. Apro la bocca e la richiudo subito, scuotendo la testa, poi prendo i soldi dalla tasca e glieli sbatto sul palmo. Gerri mi sorride, sardonico e stringe le dita. Si gira verso la sua conquista e si alza, ma prima che si allontani lo afferro per la manica.
-E tu? Hai mica ragionato su qualcosa?-
-No, è stata una bellissima serata senza pensieri!- dice, soddisfatto. Allungo la mano aperta verso di lui.
-Sono cinquanta euro per la seduta- dico, con nonchalance. Gerri rimane a bocca aperta e mi sbatte i cinquanta euro sul palmo. Stringo tutte le dita ad eccezione del medio e Gerri scoppia a ridere, mentre se ne va.
Un testo insolito e divertente. E molto, molto profondo.
Complimenti, bravo.
Francesca, grazie mille per i complimenti e per il tempo che hai dedicato alla lettura.
L’ho letto di seguito all’altro racconto (per corti) che hai scritto e ho scoperto che il personaggio è sempre lo stesso. Vale quello che ho già detto, ma questa mi ha fatto venire in mente il personaggio cinematografico di Antoine Doinel di François Truffaut, non tanto I quattrocento colpi, quanto i sequel: L’amore a vent’anni, Baci rubati, Non drammatizziamo… è solo questione di corna. Per dire che potresti pensare a farne un personaggio più organico. Che dici?
Simona, felice che ti siano piaciuti entrambi i racconti. Questo è uno dei classici personaggi nel cassetto, spero che un giorno trovi la via per uscire.