Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Il Mio Computer” di Bartolo Barsanti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Una volta possedevo una vecchia macchina da scrivere.

Per la verità una volta possedevo anche tante altre cose: avevo più capelli, anche se avevo meno rughe; avevo più denti, anche se avevo meno anni; avevo più speranze e più illusioni; ma certamente meno rimpianti.

Ma torniamo0 a bomba – come diceva quel terrorista che si era dimenticato l’ordigno a casa.

Una volta possedevo una vecchia macchina da scrivere –  ed avevo   le mani sempre macchiate dalla carta carbone e le unghie delle dita sempre spezzate dal tanto pestare sulle lettere della sua tastiera.

Me ne servivo, della mia “portatile”,  quando mi prendeva sovente (ma non troppo sovente)  la smania di scrivere, quando  mi sentivo pieno di cose da dire, mi urgeva dentro l’ansia di dirle.

Mi sedevo davanti a quell’aggeggio arrugginito, rumoroso, con i tasti sbrecciati e scoloriti:  schizzava fuori morca da tutte le parti.  Battevo le parole   che uscivano a gruppi, scomposte, le une sulle altre:;  ed io lì davanti a guardare stupito il foglio di carta che si appallottolava sul rullo in modo selvaggio

Raramente riuscivo a scrivere qualcosa di buono;  raramente quello che scrivevo riuscivo a capirlo;  raramente ero soddisfatto di ciò che scrivevo. Raramente,  molto raramente.

Poi,  un bel giorno,  la mia macchina da scrivere  si bloccò in modo  definitivo;  si rifiutò con ostinazione di continuare a scrivere. Cominciò a lasciar cadere per terra, poco alla volta,  un pezzo qui, un pezzo la – (nel silenzio della stanza  quel rumore sembrava una cannonata!) — Poi si azzittì  di colpo e si fermò.. Sembrava incazzata. Non ne capii mai il motivo..

 

Dopo lunghi anni di letargo letterario completo,  in casa mia  entrò un Computer.  Di notte – furtivamente — in punta di piedi –  “Scusate”,  disse sottovoce; e si sistemò acquattandosi in un angolo dello studio,  un po’ appartato.

I cambiamenti sono sempre traumatici,  lasciano profonde cicatrici,  piaghe ulcerose purulenti,  bruciori intensi.  Le differenze si sentono;  le diversità si manifestano con virulenza; l’eco di questi cambiamenti rimane nell’aria a lungo con intensità e persistenza;  dura parecchio.   Si possono fare dei confronti:

— Il freddo, dopo essere stati a lungo davanti al fuoco, è ancora più freddo;

— Il pane duro, dopo aver tanto a lungo mangiato briosche, è ancora più duro;

— Il buio, dopo aver fissato per tanto tempo il sole, è ancora più buio;

— La tristezza, dopo che avrai provato una grande gioia, sarà ancora più triste;

— Non ti sentirai mai così tanto solo come quando – dopo che hai assistito ad una partita di calcio in uno stadio insieme a 80,000 persone – te ne ritorni a casa, la  sera, in periferia con la bicicletta,  meditando sulla sconfitta della tua squadra E per di più piove — piove come Dio la manda …

 

Giro con molta prudenza intorno al Computer,  quel “coso” che sta

lì nell’angolo,  solo,  al buio,  nel mio studio; come un cucciolo corrucciato che si nasconde dopo aver fatto una monelleria.   Non riesco proprio a mettermi in contatto con questo aggeggio.  Non trovo nessun punto di accordo  fra di noi.  Siamo due estranei. Cme due extra-comunitari,  ììmmigrati clandestini, sbarcati da due diversi gommoni…..

E’ inutile.–  Come sparare una fucilata al “Colibrì”,  l’uccello più piccolo che ci sia.  (A quello viene un infarto basta solo che veda dalle sue parti un uomo vestito da cacciatore)….

E’ inutile – Come gridare  “al lupo….al lupo!.” quando veniamo assaliti da quel famelico animale. (Appena sentito quel grido,  gli amici scappano a gambe levate invece di correre ad aiutarti)…

E’ inutile – Come pisciare in piena campagna contro vento. (E poi lamentarsi quando rientri in casa e puzzi di urina come una latrina pubblica).

Il primo approccio al Computer è stato drammatico. Quando mi avvicinavo ringhiava:  se non lo faceva lui,  lo facevo io.

Quando, prima timidamente poi più deciso, riuscivo a premere su quei tasti, il lamento di un cane ferito a morte era ciò che mi arrivava come risposta.   Dovevo aspettare che il cane morisse prima di riprovare ancora.

 

E così passarono gli anni.  Noi due – io ed il Computer – si invecchiava, si mettevano i capelli bianchi, ci si raggrinziva;   ma poco alla volta,  lentamente.  ci si avvicinava.  Si faceva amicizia.

Ora, finalmente, ci si da del “tu”. Ci siamo spiegati ed abbiamo cominciato a chiacchierare un po’ assieme.

Così parlando del “più” e del “meno”, del “per” e del “fletto”, siamo arrivati alla chiusura dei “conti” ed abbiamo, tirando le “somme” della partita, ottenuto un  risultato finale  arrotondato “per eccesso”. Poi abbiamo fatto la  “prova-del-nove”, col risultato totale di un “addendo” e col “resto-di-due”!

Ora va sinceramente meglio.

Ieri,  no. Ieri ero così pieno di incertezze e di indecisioni;  di “prima” e di “poi”,  di “presto” e di “tardi”,  di “fuori” e di “dentro”, di “meglio” e di “peggio”;  così da rendermi conto che tutta la faccenda era una pratica improba,  al di fuori delle mie forze:  né più né meno che come voler sollevare un TIR adoperando come leva uno stuzzicadenti.

 

Ora uso il mio Computer per scrivere. e  lo faccio adoperando solamente due dita delle mie mani. Scrivo freneticamente:  batto e ribatto su quella tastiera come un invasato: ci ficco dentro tutte le storie che mi nascono dal cuore e che partorisco faticosamente dalla mia fantasia. sono così tante quelle storie che il cuore non riesce a contenerle tutte: Esse traboccano e tracimano fuori,  tutte insieme, spintonandosi, tumultuosamente – come un branco di giovinastri ubriachi che escono dalla porta girevole di un night-club a notte fonda.

Se non le scrivessi quelle storie, se non le mettessi freneticamente dentro il Computer, esse cadrebbero  miseramente per terra.  Rimarrebbero lì a marcire.  Nessuno le saprebbe mai.   Sarebbe un peccato!

Le storie che scrivo,  quelle che — prima —  magari solo nei miei sogni,  forse solo  nella mia immaginazione,  certamente  col mio desiderio  avevo già vissuto — a   me paiono interessanti;  anche se sono quasi sempre tristi, piene di malinconia; anche se mi sforzo di scriverle con più leggerezza possibile, con poche lettere minuscole, mai punti esclamativi; cercando di limitare le parentesi  e perfino le frasi con tante  ”acca”. Faccio a meno anche  dei periodi troppo lunghi,  dei discorsi troppo impegnati,  delle parole con tanti accenti.

Non so se ci riesco. Il mio Computer non mi dice niente; non fa commenti. Si limita a guardarmi in modo compassionevole;  pare a me,  che

 a volte abbia gli occhi tristi;  mi sembra anche che scuota sconsolato la testa.

Quando la sera tardi,  ormai stanco,  mi alzo dalla scrivania e termino di scrivere, il Computer – di questo sono certo – tira un profondo sospiro di sollievo.

Io, allora,  chiudo lo schermo – faccio “clic” due volte sulla   freccetta del finish – ricopro la tastiera —  spengo la luce dello studio,  serro la porta e  vado a dormire.

Prima però, qualche volta, distrattamente, gli dico anche:  “Buonanotte!”

 

Oggi il mio Computer lo troverete lì sulla  scrivania  nel mio studio – si da un sacco d’arie!  E’ diventato,  non c’è che dire —   e non solo nello studio ma addirittura in tutte le altre stanze — il personaggio principale. della casa.  Non ho ancora ben capito se adesso  è più importante lui od il cane!

Al mio computer  ho raccontato la storia di Valeria.

Valeria,  quando l’ho conosciuta io, aveva 18 anni;  era  bella   Ma che dico bella!  Di più!  Aeva i cappelli rosso-fuoco,   gli occhi marroni-chiari e   le labbra grosse  dal sapore della fragola  matura;  ma quello che risaltava su tutto era il suo culo. Quando lei camminava per la via, quel suo “coso” ondeggiando armonioso, suonava una dolce musica che m’incantava.

Io di anni ne avevo parecchi di più,  ma dell’amore,  delle pene del cuore, ne sapevo meno di lei. Io in quel tempo vivevo di ”calcio” (nel senso che sapevo tutto del campionato di “serie-A”), nonché smaniavo per i poeti cosiddetti “arrabbiati” e “maledetti”  (nel senso che era l’epoca in cui andavano di moda questi autori,  ed io mi dilettavo,  allora,  a scrivere  poesie….)

Di roba baciata  io conoscevo solo le rime.  Lei,  invece,  che aveva sempre uno sciame di ragazzi che  le gironzolavano attorno,   di cose baciate ne aveva esperienza maggiore della mia:  (nel senso di bocche e di lingue intrecciate insieme fra di  loro….).

Con mia enorme sorpresa e quasi senza rendermene conto,  della Valeria me ne ritrovai improvvisamente e totalmente innamorato. Proprio così:   una mattina, svegliandomi, sentii dentro di me una cosa strana che non conoscevo; un formicolìo, un tramestìo, una scarica di scosse elettriche.  Mi sentivo insomma più rincoglionito del solito.

 “Cazzo!” – dissi – “Questa proprio non ci voleva!”

                                          

  Quando leggerete in un libro di un autore famoso la storia di un innamorato che non dorme più, non mangia più, non vive  più; quando alcuni uomini che voi ritenete dei saggi vi racconteranno la storia di un innamorato capace di respirare solo se pensa a lei; che può ridere solo se  è vicino a lei; che    piange se  lei è lontana –  non siate increduli e non fate sorrisetti beffardi sotto i baffi:  è la pura e sacrosanta verità.

Io c’ero. L’ho potuto constatare con i miei propri occhi: Ve ne posso fare solenne testimonianza sotto giuramento!!

Fu così che un giorno – decidendo dopo faticosi ripensamenti e dopo   aver fatto le prove davanti allo specchio di camera – mi presentai alla Valeria  e  con voce accalorata,  sguardi languidi e sospiri profondi,   le confessai tutto il     mio grande amore e la mia folle passione.

  Forse mi impappinai,  forse feci un po’ di confusione,  forse lei mi fraintese le,  certamente non capì le mie parole,    fatto sta che credette che le stessi raccontando una barzelletta e sbottò in una grassa risata  a bocca piena — e se ne andò via. 

 

  La mia storia con la Valeria — il mio primo lontano amore, quello che ci portiamo nel cuore per tutto il cammino della vita, quello che i napoletani dicono che “nun se scurda maje”– proprio quello – finì così:   passò sopra di me lieve e possente, soffice e impetuoso – come una ventata che frusta l’aria al termine di  una tempesta sul mare;  come la scia del profumo che resta nelle narici dopo che è passata la processione nelle vie cittadine;  come l’eco armonioso dell’arpeggio di  una chitarra che si sente  nella notte piena di stelle della campagna Andalusa.

Ma nemmeno il mio Computer  restò tanto impressionato da questa storia.  Egli rimane freddo, scostante, indifferente – come se invece di avergli  raccontato  la fine di un amore, le pene di un cuore innamorato, i tormenti di un amante tradito, le avessi dettato la lista della spesa da fare al Supermercato..

Mi ha proprio deluso.

Ecco perchè sono infuriato.  Ecco perchè esco stizzito dallo studio e mi dimentico  di  proposito di premere  il “clic” per la chiusura finale sul mio Computer.  così lo lascio acceso….(  E lo so che è sbagliato…..)

Forse si fonderanno tutti gli ingranaggi interni – forse si allenteranno i bulloni – si perderanno tutte le memorie – forse si azzereranno e cancelleranno i files – forse, da qui in avanti, sarà ridotto ad un mucchio di  ferraglia arrugginita  e non funzionerà mai più!

 

Gli sta proprio bene !

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