Premio Racconti per Corti 2019 “Il dramma della baronessa” di Sabina Rizzo
Categoria: Premio Racconti per Corti 2019Laura Lanza di Trabia, conosciuta come la baronessa di Carini è una nobile italiana, protagonista di una tragica storia. Primogenita del barone di Trabia, il quale non avendo avuto eredi maschi, combinò le sue nozze con un membro di una facoltosa e blasonata casata. Il 21 dicembre 1543, all’età di 14 anni, la giovane Laura andò in sposa ad un nobile don Vincenzo II La Grua, figlio del barone di Carini , uomo violento e prepotente. La giovane si trasferì nel loro sontuoso castello, dove visse per vent’anni e nacquero i suoi otto figli. Laura amava leggere Dante, passava ore immersa nella lettura, accanto alla finestra del castello di Carini, era una bella donna, portava con grazia i suoi trent’anni, delusa dalla vita matrimoniale e dai continui abbandoni del marito impegnato nella cura della sua proprietà, la vita della giovane baronessa sembra destinata all’infelicità fino a quando si innamora di un giovane. Vittima di un matrimonio combinato fra il padre e la famiglia del nobile, Laura intrecciò una relazione clandestina con un giovane di rango inferiore, che conosceva da tempo, in quanto giovane cugino del marito. Il padre li sorprese insieme e li uccise, la baronessa, colpita al petto, si toccò la ferita e appoggiando la sua mano al muro vi lasciò un’impronta insanguinata. Il marito di Laura rimasto vedovo, dopo alcuni anni si risposò, rinnovando alcune stanze del castello e cancellando le tracce che potevano ricordargli la prima moglie. L’unica cosa che non riuscì a cancellare fu l’impronta insanguinata che la baronessa, appoggiandosi al muro, lasciò con la mano. Secondo la leggenda, ogni anno, il 4 dicembre, la sua impronta diventa ben visibile, si narra che il fantasma di Laura si aggiri ancora senza pace nel castello Il viceré, appena venuto a conoscenza dei delitti commessi, immediatamente adottò per don Cesare Lanza ed il barone di Carini i provvedimenti previsti dalla legge, furono banditi ed i loro beni vennero sequestrati. Il padre Don Cesare Lanza di Trabia, si rivolse a re Filippo II, spiegando i motivi che lo avevano portato assieme al genero a trucidare i due amanti, scrisse una lettera al re di Spagna Filippo II, cercando di descrivere l’accaduto. Si racconta che don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, essendo andato al castello di Carini a vedere la Baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il genero molto alterato, al suo arrivo il padre aveva trovato nella camera da letto la baronessa con il suo innamorato, mossi da odio, li chiusero a chiave e dopo aver deciso cosa fare ad entrambi, furono uccisi, per salvare la “rispettabilità della famiglia. La giovane Baronessa, al momento del fatto aveva 34 anni e da ben 16 anni aveva una relazione stabile con il cugino del marito. Che i figli fossero dell’amante sarebbe confermato dal fatto che il marito, Vincenzo La Grua sembra, fosse sterile e, dopo il fatto, disconosce i figli avuti, sulla carta, dalla moglie . Don Cesare Lanza di Trabia avvalendosi delle norme, in quel tempo in vigore, sulla flagranza dell’adulterio, chiese il perdono, che venne accordato. Liberato da ogni molestia, don Cesare Lanza riebbe i suoi beni fu assolto in virtù della legge vigente secondo la quale al padre dell’adultera era consentito uccidere la figlia e il suo uomo, se beccati sul fatto. In questo modo Il padre avrebbe potuto mettere le mani sulla dote della figlia. L’’aristocrazia del tempo era al di sopra delle leggi e della giustizia, anche il barone di Carini, marito di Laura, fu assolto con formula piena. Secondo la leggenda l’impronta della mano insanguinata ricomparirebbe a ogni anniversario dell’assassinio. La leggenda racconta che fu un frate del vicino convento, infatti, ad informare il padre ed il marito della sposa, e questi insieme prepararono freddamente e meditarono con cura l’assassinio. Fu preparato l’agguato e quando l’ignobile spia si accorse che i due amanti stavano insieme, avvertì don Cesare Lanza, che corse nella stessa notte a Carini, accompagnato da una sua compagnia di cavalieri e fatto circondare il castello, per evitare qualsiasi fuga dell’amante di sua figlia, vi irruppe all’improvviso, e sorprendendoli a letto, li uccise. Nessun funerale fu celebrato per i due amanti, e la notizia della loro morte, o per paura o per rispetto, fu tenuta segreta. Fu una storia triste e tragica, in cui i protagonisti vittima di un destino beffardo persero la vita a causa del loro amore. Allora non era possibile per una donna chiedere il divorzio, poteva solo essere ripudiata dal marito, un tradimento significava la perdita dell’onore e veniva pagato con la vita.
Cara Sabina, ti ringrazio per avermi fatto ricordare questo dramma antico, che purtroppo è di grande attualità. Ho ancora in mente la canzone tristissima che accompagnava lo sceneggiato anni ’70 della povera Baronessa di Carini. Bello e struggente. Eravamo tutti dalla parte della baronessa, anche se aveva tradito il marito, ma d’altra parte era stata lei la prima vittima della violenza e della prepotenza maschile. Oggi, sì, è vero c’è il divorzio … ma ci sta ancora tanta malvagità, purtroppo! Grazie, e in bocca al lupo con questo nuovo vecchio dramma dei Carini a Lucca!