Premio Racconti nella Rete 2019 “Libertà” di Barbara Bertani
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Se voglio farlo devo farlo
Cap. 1
Esco dal cinema, uno stanzone buio a gradoni, e Milano allarga le sue braccia. Respiro profondamente ma non basta. Desidero aria altra aria ancora. Ho appena visto un vecchio film con Mel Gibson e tutto l’ossigeno che avevo nei polmoni mi è esploso dentro. Mi sento leggera. Ovunque. Posso fare qualsiasi cosa. Ho un cuore impavido!
E’ notte, ma la nebbia amplifica la luce dei neon e ovatta i suoni. Mi stringo nella giacca di lana, avvolta nella spirale morbida della mia sciarpa, allungo il collo inseguendo con lo sguardo un fascio di luce più intenso. In alto. Lettere in neon blu. Sopra un palazzone campeggia l’insegna di un quotidiano nazionale. Il Messaggero.
Il mondo attorno scompare. Restiamo solo io, l’insegna, il mio respiro, la nebbia e ancora il grido del protagonista, in una bolla carica di energia, “libertààààà…”
-Ehi! – una voce d’uomo, un sussurro, vicino, ma non abbastanza, lo sento ma non lo percepisco.
Ho gli occhi grandi. Brillano. Vedono cose che non sono ancora qui. Vedono oltre. Una folgorazione! Lì, ferma, in mezzo alla strada, nei miei stivali bassi, le calze scure, l’abito che mi ricade morbido poco sopra il ginocchio, il naso in su. Inspiro. Nebbia. Stasera non sa neppure di smog. Sono altrove. Posso fare qualsiasi cosa, ma ora so cosa voglio fare: scriverò su un giornale! Sorrido.
-Ehi! – ancora la voce, più vicina. Sento l’alito caldo sul viso. Mi porto una mano sulla guancia e mi volto. Lentamente metto a fuoco. Un tizio mi sorride da dietro i suoi occhialetti da studioso. Ha un po’ di barba. E’ alto e magro. Jeans Snakers Maglione a collo alto Giaccone di pelle scura.
“Oddio! Aldo!!!” realizzo, mentre mi porto la mano davanti alla bocca.
“PLOP”. Bolla esplosa.
-Piaciuto il filmettino? – mi domanda con la sua voce nasale. Sta armeggiando con il suo telefono. Sorride, forse chiedendosi cosa sto facendo. Non me lo chiederà. Lo so. Lui non è tipo da fare domande. Osserva e studia. Fisica. All’Università.
-Andiamo a bere qualcosa? – chiede, senza togliermi gli occhi di dosso – C’è un locale qui all’angolo.-
No… no… no… la mia bolla! Voglio tornarci dentro!
-Sì! – ricambio il sorriso.
-Domani non lavori? – domanda e inizia a camminare al mio fianco.
-Lavoro… insomma, faccio pratica, sono “apprendista” in uno Studio legale. Non guadagno in soldi, ma in esperienza. E’ un lavoro uguale? – rifletto chiedendolo più a me che a lui.
-Non mi hai risposto. – ha la capacità di riavvolgere sempre il nastro in tre secondi.
Sbuffo aria e nebbia.
– No. Sabato chiuso. –
Camminiamo un po’ in silenzio. Sembra che saltelli ad ogni passo. Le mani in tasca. I capelli corti sparati sulla testa in tutte le direzioni.
-Sì. – dice, mentre si ferma di punto in bianco e mi guarda. Poi riprende a camminare.
-Sì, cosa? –
-E’ un lavoro. Usi le parole, studi le leggi, ascolti e osservi i casi concreti, cerchi i diritti, gli obblighi, gli interessi, impari con quali strumenti puoi dare voce a chi non ha voce. Non hai ancora iniziato a trascinarti a casa il pensiero che ciò che fai riesca veramente a risolvere il problema di chi si affiderà esclusivamente a te, ma passi là nove ore al giorno tra ufficio e Tribunale. Sì. E’ già un lavoro. –
Resto a bocca aperta.
Parla ancora di Quazar, credo. Entriamo dentro al locale. Mi apre la porta ma poi non sa come posizionarsi in mezzo alla gente, che ci spinge da ogni lato. Prendiamo una bibita e ci avviciniamo a un tavolo. Tolgo la giacca. Mi faccio posto sul divanetto.
Sono felice. Ho capito.
Non lo so come lo farò, se scriverò per un giornale, farò l’avvocato, l’educatore, lo scrittore… Non importa di quali strumenti scoprirò l’esistenza e quali mi risulteranno più familiari, ma ora sono certa che quello che desidero da sempre è dare voce a chi non ha, non ha più, non ha ancora voce e, per farlo, devo iniziare ad ascoltare il mio cuore, continuare ad allenare e istruire la mente, prendere consapevolezza di cosa può fare il mio corpo e imparare a … farli andare d’accordo.
-Fa caldo. – dice –Dovrei togliere la maglia, ma poi dove la metto?- ha le guance rosse.
Sembra sul serio che non sappia cosa fare.
-La puoi sempre legare in vita.- suggerisco.
Si toglie il maglione e mi bacia. Rido e poi lo abbraccio. Riesce a spiegarmi una nebulosa, ma poi si perde in mezzo alla gente.
Cap. 2
Non è stato facile. Non è facile. Insomma, non sempre, ecco.
Dare voce non sempre è possibile, a volte occorre anche fare spazio al silenzio. Cuore, mente e corpo non è che vadano così spesso d’accordo. Però può essere molto bello. Ogni volta che ci riesco. Ogni volta che mi accorgo che un nuovo giorno è un giorno nuovo. E, alla fine, se voglio farlo devo farlo. Nessuno potrà farlo al posto mio, perché nessuno può esprimere per me quello che sento dentro io.
Spengo la luce sulla scrivania e chiudo la porta. Un bambino mi corre incontro. A domani.
è un racconto quasi onirico, ma anche reale, anche se i due aspetti possono sembrare diversi, quasi opposti. è quasi onirico per le emozioni che suscita, realistico per le descrizioni precise. è un racconto in cui il punto di vista varia, ma, soprattutto è un racconto che ti fa venire voglia di stare lì a Milano e interagire con quei personaggi, perché sono affascinanti,magari, anche solo osservarli, ma, in ogni caso, entrare in contatto con loro.
Sono d’accordo con Stefano: è un racconto a metà tra l’annotazione diaristica e una carrellata onirica. La prima parte mi piace molto, ma la seconda la trovo forse un po’ scollegata dalla prima. Sicuramente è un mio limite ;-))
Mi piace questa donna, e mi piace il ritmo di questo dialogo. Mi è sembrato di vederli mentre leggevo. Mi ha fatto pensare. Complimenti!
Volevo commentarlo già da tempo. Bello. Libertà è partecipazione, diceva Gaber, ed è esattamente quello che hai indicato. C’è anche un’evoluzione precisa, non solo di temi ma anche di ritmo e scrittura, fra la prima parte, fatta di visioni e bolle infantili, e la seconda di consapevolezza nata dallo scontro con la realtà. E c’è il messaggio che ce la si può fare. Brava. Lo sai che io ci ho visto un corto?
Racconto molto bello, sembra quasi essere scollegato dalla realtà e reale al tempo stesso. Mi piace molto il modo in cui viene raccontato, come se fosse un sogno, ecco. Credo che “sogno” sia la parola giusta per descriverlo… sarà anche la nebbia presente nella prima parte che mi fa immaginare i personaggi come all’interno di una nuvola. Leggendolo riesco perfettamente a visualizzare ogni singola scena grazie alle tue descrizioni accurate. Quindi che dire? Brava e buona fortuna!
Mi piace questo scollamento tra piano reale e onirico, e anche il mistero e l’interrogativo che lascia sospesi… si vorrebbe saperne di più! Brava!