Premio Racconti nella Rete 2019 “La luce poco prima del buio” di Alessia Pala
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Un raggio di sole fece capolino attraverso la vecchia finestra alla mia sinistra, l’unica fonte di luce in quella stanza che, da tre mesi a quella parte, ero costretta ad occupare. Aprii gli occhi non appena gli uccellini iniziarono a cinguettare e i primi bagliori del mattino illuminarono i miei occhi spenti. Cercai di mettermi comoda sistemando i cuscini e le lenzuola, ma dentro di me sapevo che sarebbe stato impossibile trovare una giusta posizione stando su quel letto cigolante. Ogni mattina speravo di poter scappare da quella che ormai, per me, era diventata una gabbia, ma invece eccomi là, sdraiata con il cuscino dietro la schiena, a scrutare quella parete bianca e spoglia che avevo davanti agli occhi.
Mi voltai lentamente e guardai a lungo il mio riflesso nello specchio poggiato sul comodino accanto a me. Osservai il mio sguardo, profondamente, e l’unica cosa che vidi fu il vuoto.
Vuoto.
Ormai era l’unica realtà che percepivo del mondo attorno a me, ma ciò che mi circondava non era la sola cosa ad essere così vuota, così buia: quel piccolo “mondo” che esisteva dentro di me stava seguendo le sue stesse tracce. Io, alla fine dei conti, ero così.
Sola.
Una parola così semplice e innocua, ma ogni volta che la pronunciavo o la sentivo pronunciare mi metteva i brividi. Tuttavia, era l’unico aggettivo che mi descriveva perfettamente: sola come non lo ero mai stata e come nessuno si meritava di essere.
Spesso cercavo di non pensare alla mia condizione sociale, emotiva e soprattutto alla mia “situazione medica”, sempre sia possibile definirla in questo modo. Era brutto pensare che in nessuno di questi campi la mia vita fosse anche solo lontanamente sufficiente, a malapena votabile con un 4 su 10. Sussultai al solo pensiero, ma, in fondo, cosa potevo fare? Era brutto, certo, non potevo negarlo, ma era così ed era arrivato il momento di farmene una ragione.
Ormai avevo imparato a non farci più caso, a cercare di non dare troppo peso alle cose negative. Avevo imparato a conviverci e, alla fine, stavo bene con la mia solitudine. Nei momenti più bui, era l’unica a tenermi compagnia.
Un tempo, remoto a quanto sembra, non ero così sola. Ero circondata da persone che si approfittavano della mia gentilezza e della mia lealtà nei loro confronti. Mi allontanai subito da loro non appena mi resi conto di quello che effettivamente nascondevano, ma, sfortunatamente, quel momento arrivò fin troppo tardi.
Vivevo nel vuoto più totale. Tutto attorno a me non aveva più alcuna importanza. Il mio cuore, ormai, non era più degno di essere chiamato come tale. Un cuore in piena regola dovrebbe essere in grado di amare, di provare dolore… deve essere in grado di provare dei sentimenti veri e propri, di provare emozioni, di sentire anche la più piccola delle sensazioni. Ma il mio non era più in grado di fare nulla di tutto ciò. Era diventato solo un piccolo muscolo con la chiusura ermetica che pulsava ogni tanto giusto per far sentire al mondo che lui era ancora là, combattivo e guerriero com’era sempre stato.
Mi sentivo come se fossi trasparente come un vetro, quasi inesistente, oserei puntualizzare. Le persone mi passavano accanto, mi guardavano, mi spingevano, ma sembrava che il loro sguardo perforasse la mia testa, come se non esistessi, come se non fossi reale. Non si curavano di chiedermi “come stai?”, né tanto meno di dire un semplice “ciao!”. Il nulla più assoluto. Io mi comportavo nello stesso identico modo, forse per gentilezza o forse per non sentirmi ferita. Anche se, visto come stavano andando le cose, era difficile ferirmi veramente, ferirmi nel profondo dell’anima.
Ero cambiata parecchio. Ero cambiata in peggio, malauguratamente… o per fortuna.
Ma quando la tua stessa vita, la tua giovane vita, sta per giungere al termine non t’importa più di quello che hai attorno a te. Non t’importa più di niente, a dire il vero.
Quando scoprii di avere il cancro, il mondo mi crollò letteralmente addosso. Non sapevo più quale potesse essere la cosa giusta da fare, come reagire, come affrontare tutto quello che mi aspettava. Iniziai a vedere la vita da una diversa prospettiva, purtroppo negativa. Iniziai a riscoprire i miei difetti, le mie paure, e invece di minimizzarli, avevo dato loro il permesso di amplificarsi, di prendere il sopravvento. Ormai non avevo molto tempo, lo sapevo perfettamente. Sentivo che il timer della mia vita stava per emettere il suo trillo e quel fastidioso “tic tac” delle lancette non voleva uscire dalla mia testa.
In quel preciso istante, un dolore indescrivibile mi invase la pancia e gran parte del petto. Avevo avuto molti dolori e crampi negli ultimi giorni e si erano intensificati notevolmente nelle ultime ore. Tremavo. Non riuscivo a non tremare. Mi sembrava di essere rimasta attaccata ad una presa della corrente elettrica o, addirittura, di essere stata colpita da un fulmine. Chiusi forte gli occhi, mentre digrignavo i denti, nella speranza di scacciare il male. Quando il dolore si affievolì, la porta della camera dell’ospedale si aprì lentamente e scorsi gli occhi tristi di mio fratello. Lui era una delle poche persone, anzi, l’unica persona che mi era rimasta vicino fino all’ultimo, l’unica persona che mi voleva veramente bene ed io ne volevo tanto a lui. Si avvicinò a me e si sedette nel letto vuoto accanto al mio. I piedi penzoloni e le mani che giocherellavano innocenti con l’orlo delle lenzuola.
“Resta con me.”, mi disse con voce sottile, quasi inesistente. Sembrava sul punto di piangere, ma non lo faceva mai davanti a me. No. Lui era un bambino coraggioso, forte, sapeva esattamente cosa fare per non abbattermi.
“Lo sai bene che non sarò io a decidere.”, gli risposi, simulando un sorriso leggero.
“Io ti raggiungerò. Non voglio stare da solo.”, disse mentre una piccola lacrima rotolava sulla sua guancia arrossata, inumidendo quelle sue piccole lentiggini poco evidenti.
“No, non lo farai. Ci rivedremo solo quando sarà il momento giusto. Capito?”
“Si…”
Il dolore ritornò più acuto di prima, ma cercai di essere forte davanti ai suoi occhi innocenti. Non volevo far soffrire lui più di quanto soffrissi io.
Lui alzò lo sguardo verso di me, con una piccola spinta scese dal letto e corse verso di me per stringermi forte la mano. In quel preciso istante capii di essere al sicuro.
“Andrà tutto bene.”, dissi cercando di farlo sorridere.
Lui sollevò i lembi della bocca in un sorriso caldo e sincero.
“Lo so. Ma tu devi vivere fino all’ultimo respiro.”
Sorrisi a mia volta, ripetendo nella mia mente la frase che aveva appena detto. Cercai di rendere il sorriso più vero possibile, ma non so se riuscii nel mio intento.
Un’altra fitta di dolore invase il mio corpo. Chiusi gli occhi cercando di alleviarlo, mentre mio fratello mi racchiudeva in un caldo abbraccio.
“Vivi fino all’ultimo respiro.”, mi disse ancora una volta, un’ultima volta.
Annuii. Avrei vissuto fino all’ultimo respiro e così feci.
Chiusi gli occhi.
Il suo sorriso fu l’ultima cosa che vidi: la luce poco prima del buio.
Alessia dare voce ad emozioni così forti non è semplice. Mi piace il messaggio che ho trovato dentro questo racconto: per fronteggiare qualsiasi cosa accada che possa spaventare nella vita tu indichi due ingredienti molto importanti ” sentirsi al sicuro” per poter “vivere fino all’ultimo respiro”. Non so se te ne sei accorta. Buona fortuna.
Buongiorno Roberta. I temi narrati sono a me molto cari e no, non è stato facile riuscire a mettere tutto per iscritto. Sono contenta che ti sia resa conto di questi due “ingredienti”, perché il racconto gira proprio attorno a tutto ciò. Grazie mille e buona giornata!
Ciao Alessia, grazie????, peccato che non mi chiamo Roberta????????
E non ho neppure messo tutti quei punti interrogativi, ma delle faccine sorridenti…che sia il programma che cambia le cose?
Perdonami, avrò sicuramente letto male per via della stanchezza. Magari il programma non legge le faccine… chissà. Perdonami nuovamente!
Figurati. Va bene. Anzi, se ti va leggi il mio raccconto. “Libertà “.
Ci vuole molto coraggio per affrontare un tema del genere. Un po’ perché nessuno sa com’è quando si attraversa un dolore così forte e, allora, a parlarne si rischia di cadere nella banalità, un po’ perché la morte è forse l’unico tabù che è rimasto in piedi e ci viene dato intatto. Quindi brava e coraggiosa anche. In bocca al lupo!
Grazie Simona, sono contenta che tu abbia apprezzato il mio “coraggio”. Crepi il lupo!
Comunica paura, angoscia e …amore.