Premio Racconti nella Rete 2019 “L’albergo” di Debora Donadel
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Riannodo la cravatta guardandomi allo specchio: ho ancora un bell’aspetto, nonostante gli anni. Mi sistemo il colletto della camicia e penso che la mia Maria me le stirava così bene le camicie, che poi né Manuela né quelle cameriere che vedo succedersi in casa, sono mai riuscite a farlo come lei. Maria diceva di no, ma io sono sicuro che mettesse anche una goccia di profumo, dopo averle stirate. Perché io, quell’odore là di pulito, dopo che lei se n’è andata non l’ho più sentito. Prendo la giacca appoggiata sul letto e scuoto la testa di nuovo: “Ma che alberghi mi prenota Manuela ultimamente? “ Le camere sembrano quelle di un ospedale, con la moda di questi letti con i telecomandi. Ma che me ne faccio io di un materasso che si alza e si abbassa? Sono agile come quando avevo trent’anni! Che poi io questi arredamenti minimalisti non li ho mai sopportati…Per casa nostra abbiamo cercato ogni mobile, Maria ed io, girando per mercatini, negozi d’antiquario: ogni pezzo una storia.
Questo fatto poi che non si possa far colazione in camera mi dà un gran fastidio: con tutto quello che pago! Manuela mi ha assicurato che era il posto migliore in città: “Vedrai papà, ti troverai benissimo, come a casa”.
Ah Manuela! E’ sempre stata una figlia bravissima, non ci ha mai dato nessun grattacapo. E suo marito, Gianni, si è fatto subito valere in azienda, lavorando senza sosta, partendo dal basso nonostante fosse il genero del capo. Quando è venuto il momento, non ho esitato a dar loro in mano le redini pur tenendomi la facoltà di supervisionare ancora la sede e le filiali sparse per l’Italia. Soprattutto dopo che Maria è morta, ho preferito viaggiare spesso: tornare in quella casa vuota è così triste!
E poi c’è Rebecca, mia nipote. Un vero portento della natura. L’altro giorno è passata a trovarmi, mi pare fosse poco prima che partissi, non ricordo bene. So per certo che era giorno e orario di scuola; le ho detto “Rebecca mia se bigi scuola, non vai da nessuna parte nella vita! Non ti rendi conto del privilegio che hai? Mio padre ha lavorato giorno e notte per mandarmi a scuola e prendere un diploma e guarda dove sono arrivato, senza mai saltare un giorno!”
Lei mi ha sorriso e mi ha detto che non aveva bigiato, che aveva già finito e prima di prendere l’autobus aveva pensato di farmi un salutino: “Dai nonno, lo sai che ora abiti vicino alle scuole!”.
Ma chi crede di prendere in giro, pensa proprio che io sia rimbambito? Lo so benissimo che casa mia è quasi mezz’ora di strada dalla sua scuola! Eppure questa ragazzina di sedici anni, basta che mi sorrida ed io le perdono tutto! La guardavo l’altro giorno, seduta sul letto, con i suoi capelli neri come la pece raccolti in uno chignon disordinato, e fermato con una matita, mentre parlava gesticolando con quell’entusiasmo e quella luce negli occhi che è la stessa che aveva sua nonna; come lei non teme niente e nessuno, come lei è innamorata dell’arte e della musica; così diversa dai suoi coetanei che vedo in giro, sempre con gli occhi appiccicati ai telefonini; “pollici veloci e mani lente” li chiamo io! Ma Rebecca no, lei scrive, dipinge e poi suona il piano…E come lo suona, sembra che sia tutto più bello e limpido…
Va beh, mi sono perso abbastanza nei ricordi, è ora di scendere a fare colazione. Mi do un rapido sguardo allo specchio mentre indosso la giacca; questo completo blu mi sta ancora bene, nonostante sia dimagrito molto ultimamente.
Mentre esco, mi colpisce una voce che quasi come un salmo, continua a chiedere “Aiuto, aiuto, aiuto…”. Viene da dietro la porta della 225. Mi guardo attorno, titubante. “Provo a bussare?”. Proprio mentre appoggio la mano alla porta, sento che qualcuno sta parlando: “Signora Elena, stia buona, ho chiamato sua figlia, sarà qui a momenti”. Mi scosto, rimango dubbioso un attimo, guardo l’ora: sono già le otto, devo sbrigarmi. E scendo.
Ogni volta che mi ritrovo in queste sale da colazione, mi stupisco di come le persone non abbiano più il senso del decoro: alcuni scendono in pigiama e ciabatte! Io e mia moglie neanche quando eravamo in albergo al mare ci sognavamo di andare a mangiare in pantaloncini e ciabatte. Anche per pranzo, si rientrava un po’ prima dalla spiaggia e dopo una doccia indossavamo vestito lei, pantaloni e polo io. Un po’ di eleganza, per Dio…
Comunque dopo chiamerò senz’altro Manuela, non voglio più tornare in questo posto: anche la colazione lascia a desiderare! Ho fatto presente alla cameriera che il mio cappuccino sembrava una brodaglia insipida e se poteva rifarmelo e lei mi ha risposto: “Non siamo mica all’Hilton, qui!”. Ma che modi sono?
Vado nella piccola hall e cerco i giornali, non sono ancora riuscito a togliermi il vizio di leggere le pagine della borsa e quelle sportive. La cronaca e la politica le ho sempre guardate con sospetto, le vedo ancora oggi imparentate strette e non mi hanno mai davvero appassionato. “Basta lavorare” diceva mio padre che non aveva mai simpatizzato per nessun partito. “Basta lavorare e considerare i tuoi dipendenti dei figli, non serviranno né sindacati, né appoggi, né imbrogli”. Ed io così ho fatto, quello spirito e la mia curiosità e intraprendenza, hanno fatto ingrandire l’azienda come mai mio padre avrebbe sognato. Manuela e Gianni hanno cercato di mantenere questa impronta ma i tempi sono cambiati, la concorrenza si è fatta spietata e non in tutte le sedi riusciamo a mantenere questo stile imprenditoriale.
“E’ per questo che sono in questa città: devo sbrigarmi e controllare subito come sta andando qui”. Mi alzo e mi appresto a consegnare le chiavi della camera. Mentre frugo nella tasca della giacca, mi accorgo che non c’è la bacheca per appendere le chiavi. Forse hanno le tessere, in questi alberghi moderni adesso hanno queste maledette “card”! Forse è quella che ho nel portafoglio; sì sì, mi convinco che deve essere proprio così e mi avvio verso l’uscita.
-Signor Lucio, dove sta andando?
Una signorina, con un camice bianco mi sta venendo incontro. La guardo confuso: che ci fa un’infermiera in un albergo? Poi penso che sarà venuta per quella donna che stava chiedendo aiuto, quella della 225. Ma perché sa il mio nome e lo usa con questa confidenza?
-Mi scusi signorina, ma non vedo perché debba interessarle dove sto andando. Sto semplicemente lavorando, e non vedo la ragione di tutta questa confidenza.
I suoi occhi scuri mi scrutano con un sentimento che sembra simile alla compassione che mi fa imbestialire. E’ solo la mia buona educazione che mi permette di non arrabbiarmi. Lei, che sembra intuire il mio disappunto, cambia subito registro.
-Signor Lucio, emh signor Rizzoni, la prego, non si arrabbi. Volevo solo ricordarle che Riccardo si era offerto d’accompagnarla. Può cortesemente aspettarlo?
Il suo tono gentile e il suo aspetto grazioso mi convincono ad aspettare questo Riccardo che non ricordo affatto. Forse è un nuovo rappresentante che mia figlia si è dimenticata di presentarmi…
Mentre formulo questo pensiero, sopraggiunge un giovanotto in tuta da ginnastica con addosso quelle stranissime sneackers che tanto piacciono a Rebecca. “No, non può essere un rappresentante, vestito in questo modo!”
-Il signor Rizzoni ti stava aspettando, Riccardo.
Noto un lieve cenno d’intesa tra i due, forse se la intendono, forse, chissà…
-Signor Rizzoni, vogliamo andare?
Il suo piglio deciso mi convince ad uscire con lui, nonostante tutto. Mi confondo nuovamente quando mi prende sottobraccio ed inizia a snocciolarmi i risultati della Champions League della sera prima…Però non è spiacevole la sua compagnia, è pure juventino come me. Ci avviamo lungo un sentiero all’interno del parco che, immagino preceda l’uscita.
E’ una bellissima giornata, perfetta per uscire senza soprabito. Ci fermiamo un attimo ad ammirare un’aiuola di rose rosa, bellissime, con quelle goccioline di rugiada che rigano petali e foglie. Il sole non ha ancora fatto in tempo ad asciugarle. Penso a Maria e a Rebecca così simili in tante cose e anche nell’amore per questi fiori. Lentamente i pensieri prendono vie diverse e dopo qualche minuto, non ricordo più il motivo della fretta che avevo prima di uscire, né perché mi ritrovi a passeggiare in completo blu, in un parco, con un giovanotto in tuta da ginnastica che non conosco, alle nove del mattino. Per non arrabbiarmi mi concentro a seguire il riflesso del sole su quell’insegna a lato del cancello di ferro battuto. “Villa Rosa” è scritto in rosso su fondo azzurro. “Residenza per anziani” poco più sotto…
Durante il servizio civile mi è capitato di incontrare alcuni signor Lucio, spesso persi nelle nebbie dei loro ricordi, sempre e comunque teneri. Son passati anni ma avrei sentito volentieri anch’io le storie sulle visite nelle filiali d’Italia del signor Pizzini. Brava.
Signor Rizzoni, ovviamente (maledetto correttore)
Ci hai condotto verso la verità dolcemente. Bellissima la figura del signor Rizzoni così attaccato alla vita, che si stenta a credere che il posto migliore per lui sia davvero Villa Rosa. Che poi è la condizioni di quanti anziani? La sua sembra la triste realtà di chi vuole solo sbarazzarsi di un peso e godersi le ricchezze accumulatesi proprio grazie al suo duro lavoro e alla sua tenacia. Siamo sicuri che c’entri solo l’alzheimer in tutto questo?
Scusa, non avevo finito. Insomma, per concludere, il tuo racconto fa riflettere, suscita gli interrogativi di cui sopra.
Descrizione impeccabile dello stato d’animo di un povero vecchietto in una casa di riposo! Si legge con piacere anche se c’è tanta tristezza
Grazie Luca!
Debora a me è piaciuto, nella sua semplice realtà. Sì, qualche frase di troppo, io sono maniaca del “tagliare” ma il garbo e la delicatezza ti appartengono e questo salta all’occhio, colpisce nei sentimenti e non fa male, anzi. A presto!
Racconto bellissimo, ti incolla alla lettura per capire se l’ipotesi iniziale sia corretta o meno.
Grazie a tutti!
Racconto garbato nel senso più nobile del termine. Ben scritto, equilibrato, carico di suggestione… Vedi il personaggio è sei sottilmente indotto a dargli credito. Ha tutte le carte in regola per apparire sincero col lettore. Niente di più falso: è più che sincero, è vero…
Bravissima Debora.
Debora c’è tanta speranza in questo racconto. Dalle parole utilizzate, all’evolversi della storia, che si fa leggere d’un fiato.
@BarbaraBertaniscrittrice
Il tuo racconto Debora è di una dolcezza e, al contempo, di un amaro… Complimenti per i sentimenti che suscita.
Dario, Barbara, Silvia: grazie per le bellissime parole!
Beh! Mi auguro di avere la verve del tuo personaggio se mi capiterà di alloggiare in siffatto albergo uno dei miei prossimi giorni. Complimenti mia cara Debora senz’acca.
Simona, grazie. Spero che tu abbia la stessa verve ma che alloggi in altri alberghi!