Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “L’ irragno” di Elena Marrassini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Dallo stipite della porta della tua cameretta di lattante profumato di caglio penzola del nastro adesivo a cui è rimasto appiccicato un ragno. Era il nastro che teneva attaccato il fiocco blu al tuo ritorno dall’ospedale.  È una settimana che il ragno sta lì agonizzante anzi forse è morto. Speriamo. La mia acredine nei confronti dei ragni è superata ultimamente solo da quella nei confronti delle faccende domestiche. Non le sopporto più. È tutto un ripetersi delle stesse, sporche, faccende. E allora il ragno l’ho lasciato lì, apposta. Almeno fa da diversivo e il prossimo sarà un pulire diverso. Lo sto rimandando da giorni, per sfinimento. È uno di quei ragni con il corpicciolo a pallina e le zampe lunghe lunghe e fini fini. Un po’ come tuo padre, che poi sono io. Magari verranno anche a te le gambe lunghe  e fini fini, che ti credi. A fine università ormai tutti mi chiamavano irragno. Detto e scritto proprio così.  Che nel mio piccolo mi ero fatto pure un nome eh, che ti credi. Avevo fatto dipingere dal batterista, il re degli Uni Posca,  un enorme ragno bianco con zampe lunghe lunghe e fini fini sul basso nero, e quando suonavo col gruppo nei locali di periferia facevamo il pienone, che ti credi. Qualche volta abbiamo fatto il pieno anche in un paio di locali del centro, nel quartiere dei vip. Che serate quelle, oh. Ci notò anche un produttore di quelli abbastanza inseriti e ci venne a chiedere un incontro dandoci il suo biglietto da visita, che ti credi.  Ero il bassista lungo, io. Ero un ossimoro, come diceva tua madre.

Poi sull’onda dell’entusiasmo il re degli Uni Posca trovò il coraggio di rubare definitivamente la donna al chitarrista e venne massacrato di botte e il gruppo si sciolse e io invece, sempre sull’onda dell’entusiasmo, misi incinta tua mamma. Lei  vestiva grunge, indossava solo pigiami da uomo, mutande di cotone bianco profumato e non usava assorbenti interni. Ed era bella. Lo è ancora eh, che ti credi, solo che è nervosa. Ma non di quel nervoso che rende arrabbiati e quindi il viso diventa rubizzo e le labbra grandi e gli occhi scintillano. È nervosa di un nervoso triste.

Scusa mi ero distratto. E  ora che cazzo ti dico che sono di nuovo le sette e venti  del mattino – voi lattanti non avete un orologio in pancia, ne avete otto, uno per ogni ora della notte –  e sono di nuovo solo con te e il panico mi assale, come sempre. A te importa niente del mio panico, te ne stai lì sdraiato malvolentieri sul tappetino musicale imbottito e guardi e discuti con incessante lamento  coi ciondoli a forma di maiale di cane di porcospino e di capra. Li guardi con la fronte rugosa con il solito sguardo di sospetto, quello con gli occhi acquosi che ancora non hanno né il nocciola né l’azzurro. Dio che disagio deve essere non sapere che colori avrai  ed essere già vivo. Non poter decidere come muoversi. Non sapere se diventerai magari bruno e peloso con gli occhi neri o biondo con gli occhi azzurri o perché no, verdi. Che avresti un futuro da maledetto, con gli occhi verdi. Castano con gli occhi verdi e col viso di tua mamma, che ha dovuto accettare il part-time da cassiera al mini supermercato del centro e infatti vanno tutti lì a far la spesa quelli del quartiere vip, quelli che venivano a sentirmi a suonare fumando erba e ora son tutti medici e commercialisti e fanno la fila tutti alla sua cassa pur di guardarla negli occhi quattro minuti. Bene, almeno  lei non la licenziano, anzi è tutto un chiederle di fare straordinario, malpagato. Ne basta uno di genitori licenziati.

Arrivo, mi ero distratto un attimo. Sei pieno di  cacca ? Non hai la cacca. Sei sudato nella schiena? Non sei sudato nella schiena.  Ti prude la crosta lattea sulla testa? Vieni qui, che toglierti quelle scaglie è l’unica cosa che mi dà del godimento ultimamente. Supera di gran lunga il piacere dello scoppiare i brufoli, che ti credi. No ti prego non piangere di nuovo mi ero solo distratto dietro a un piacere della vita, dai. Hai le labbra secche? No sono morbide come il budino. Dio che voglia di budino al crème caramel. Da quando la notte mi svegli ogni ora ho voglie assurde. Apro il frigo. Budini finiti. Solo un barattolo di latte di mammella. Tua mamma deve essersi tirata il latte stamani prima di entrare in turno. Meglio così. Prepararti adesso quello artificiale con la voglia di budino addosso sarebbe un supplizio. Un altro supplizio. Arrivo, non piangere, mi ero solo distratto un attimo dietro a un altro piacere della vita. Il tuo pianto è  una tortura: sai credo di aver letto da qualche parte che il pianto di neonato in filodiffusione per ore e ore è usato come tortura per i prigionieri militari, che ti credi. Scusa mi sono distratto  di nuovo.

Che cazzo ti dico ora per farti calmare, dio stai per ricominciare a strillare ecco  che diventi paonazzo stai già tendendo le mani a ventaglio, con le dita prensili che  ancora non sanno di esserlo tutte tese all’infuori. Sembri un ragno. Un ragno rosa. L’ irragno rosa. Infatti all’improvviso il desiderio di schiacciarti mi prende la testa, mi tremano le mani e anche i piedi. Anche le tempie. Piango, un pianto sconnesso convulso e  il barattolo pieno di prezioso latte di mammella cade si frantuma in un colpo sordo sul pavimento il vetro va in mille pezzi grossi e opachi e grigi e schizzati di latte bianco, maledizione ce l’ avete tutti con me, compreso te, accidenti a tutti voi figli di put… anzi no, accidenti a  voi stronzi egoisti. I singhiozzi mi piegano e improvvisamente del budino non mi frega più nulla, anzi ho i conati di vomito, ma perché cazzo, sono dieci ore che non mangio, cazzo. Allora mi volto di scatto e ti dico cazzo, semplicemente cazzo. Te lo urlo proprio a te, cazzo. E tu ti  fermi non pedali più a caso ti allenti  sorridi sgengivato e allora mentre raccolgo i sassi di vetro con  una mano e con l’altra mi procuro lo scottex per asciugare continuo con cazzo cazzo cazzo  tipo cantilena del cazzo e tu, lattante da biberon con o senza latte di tetta ti calmi e spalanchi  gli occhi e io, l’irragno, torno lentamente in me e mentre fuori sorge il sole ancora freddo, vedo che gli occhi ti stanno diventando davvero verdi, come i maledetti.

Bene, avrai la vita più facile bello mio e ti prendo in braccio e provo a stringerti faccia contro faccia l’ho visto fare alla mamma, che adesso porta  le camicie da notte ed è diventata una gran femmina, con le tette di due taglie in più. Siamo separati solo da un velo di lacrime e che odore buono questo di formaggio caprino che viene dalla tua testa, è calmante. Continuo a cantilenare cazzo cazzo cazzo e tu mi guardi ammirato con la bocca semiaperta e  un filo lucido e tiepido di bava cola fin quasi giù a terra ma io ho lo scottex l’acchiappo con maestria a metà strada con un piegamento delle ginocchia ingoiando il sale delle lacrime, con la tua fronte che poggia sulla mia spalla. Goal. Pesto latte e vetro coi piedi nudi, a terra. E nel risalire dal pavimento intravedo la superficie lumacosa dei pensili della cucina cosparsa di schizzi del tuo ultimo rigurgito di latte. In questa casa con la luce del giorno vedi mille cose da fare. Di notte  non dormo, penso e tremo, e di giorno vedo patacche in ogni dove. Allora mentre tu dormi, di giorno, tolgo le patacche. Quindi non dormo nemmeno di giorno. Potrei pulire durante la notte. Memorizzo durante il giorno dove stanno le patacche, ne faccio  una accurata mappatura e poi do loro la caccia nottetempo con la pila, annientandole finalmente. E troverò la pace, me lo sento. Okay mi sento più lucido adesso forse sono sempre io dai, l’irragno, quello che quando trova una soluzione sente che è come un giro di basso che entra. Maledizione mi son distratto  di nuovo. Usciamo fuori con la carrozzina dai, arriviamo in fondo alla strada, ai cassonetti col sacco dei pannolini sporchi, dove sono le campane per la raccolta plastica, hai presente,  quelle enormi campane blu che tu guardi sempre con ossequio e poi magari prendiamo la metro, andiamo al mini supermercato così arriviamo in tempo per la prima pausa colazione della mamma che magari ti dà il latte direttamente dalla tetta e tu poi dormi, satollo.

Così io leggo le email, che l’ho sentito adesso che ne è arrivata una  e l’ho visto con la coda dell’occhio che è finita nella cartella “risposte cv lavoro”. Ma ora no, ora la prima cosa è uscire togliere di casa i pannolini puzzolenti fare colazione. Tu ed io.  Che le notizie, qualsiasi esse siano, meglio metabolizzarle a stomaco pieno. Che ti credi.

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13 commenti »

  1. Una grandissima dichiarazione d’amore travestita da horror. Bellissimo.

  2. Grazie Marco!

  3. Molto bello e fluido! Per una volta leggiamo la versione maschile della depressione post partum. Che non è facile da spiegare. Il tuo racconto parte in sordina per poi arrivare al massimo del pathos e atterrare di nuovo. Congratulazioni e in bocca al lupo!

  4. Grazie Michela ! Ho letto il tuo in archivio e mi è piaciuto tantissimo .

  5. Che bello! Una meraviglia, un punto di vista inusuale, non semplicemente ribaltato, molto intelligente.

  6. Molto bello! In alcuni punti picchia duro, a tratti ci regali delle perle di immagini, come “sorridi sgengivato” e “irragno rosa”. Mi hai fatto sorridere e inquietare al contempo 🙂

  7. Grazie Simona e grazie Silvia, mi fa piacere detto da due scrittrici ‘rodate’ come voi 🙂

  8. Eccolo Elena: l’avevo letto (la sera tardi) e l’ho cercato, convinto però che lo avesse scritto un uomo; hai ragione, d’altro canto, il tono del tuo racconto è più maschio 🙂

  9. Bella idea quella di raccontare l’arrivo di un figlio dal punto di vista maschile. Rende la storia coinvolgente e fa sorridere. In bocca al lupo!

  10. Sì Luca, come commenta anche Silvia in alcuni punti picchia duro. Ma la tenerezza vince sempre (o quasi) 😉

  11. Grazie Claudia! Evviva il lupo 😀

  12. Questo è davvero bello! Sarei contento se vincesse.

  13. Complimenti! Un racconto bellissimo con un punto di vista interessante e uno stile impeccabile. Sono d’accordo con Silvia: accosti le parole creando immagini nitide, semplici eppure sorprendenti. Il protagonista poi lo hai costruito benissimo, fa tenerezza e mette paura al tempo stesso (non lo nego, ad un certo punto ho temuto il peggio). Bravissima!

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