Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “La foresta di Dio” di Giovanni Pezzella

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Ci sono foreste di ogni tipo, a questo mondo. Di ogni forma, di ogni colore, di ogni estensione. Ci sono quelle che ricoprono i monti vicini alle case dei nostri lettori, dall’aspetto piuttosto familiare. E ce ne sono di esotiche, lontane e lussureggianti, reali soltanto nei libri di avventura d’altri tempi.
Da qualche parte, però, c’è una foresta diversa da tutte le altre. Gli alberi che vi appartengono crescono ognuno in un terreno diverso, ma condividono tutti la stessa radice.

C’era un vecchio che viveva nel parco dietro la chiesa che frequentavo da ragazzo. Aveva la faccia ingiallita come la pagina di un antico volume pieno di conoscenze arcane, i capelli grigio ratto che sembravano coperti di cenere, gli stessi vestiti luridi e pesanti sia d’estate che d’inverno, occhi verdi e profondissimi.
Trascorreva le sue giornate in quel giardino un po’ dimesso che lo ospitava ormai da ben prima che anche il più vecchio abitante del quartiere potesse ricordare. Nessuno poteva sapere da quanto tempo vivesse lì e quindi si erano tutti limitati a dare per scontato che ci fosse sempre stato. D’altronde, la sua presenza era diventata presto un elemento rassicurante per gli abitanti del posto.
Per la maggior parte del tempo, il vecchio restava seduto su una panchina a guardare i ragazzini che giocavano e i genitori che cicalavano distrattamente delle loro occupazioni quotidiane. Raramente qualcuno gli rivolgeva la parola o gli poneva una domanda, ma quel silenzio forzato non lo fermava dal dispensare comunque sorrisi a tutti.

Un giorno il vecchio sparì. I primi a farci caso furono gli adulti, che già da tempo si chiedevano per quanto ancora quel pover’uomo avrebbe potuto resistere ai capricci del clima e sospettavano fosse prossimo alla fine.
Qualcuno proponeva di organizzarne il funerale e per tutto il quartiere già si raccoglievano fiori e brevi pensieri, quando il vecchio ritornò. Senza dire una parola, così come era andato via.
Nulla sembrava essere cambiato in lui. Stesso volto, stessi capelli, stessi vestiti, stessi occhi. Solo i suoi sorrisi erano mutati un pochino: un velo nuovo era calato sulla sua espressione. Era diventata, se possibile, più saggia. Più consapevole.

Il vecchio prese a fare domande a chi passava. Nessuno diede particolare peso a questa novità. Gli abitanti del quartiere, contenti di rivederlo trascorrere le giornate in quel giardino, la interpretarono semplicemente come una nuova bizzarra abitudine e lo assecondavano nelle risposte.
Fu così che, una domenica mattina, il vecchio prese a fare avanti e indietro lungo il vialetto che conduceva alla chiesa e, ad ogni persona che incontrava, piantava gli occhi nell’anima attraverso le pupille e chiedeva, con una voce che non tradiva altro che genuina curiosità: «Dov’è Dio?»

La domanda era in effetti più stravagante del solito, ma nessuno si sarebbe sentito in cuor suo di deludere il vecchio. Ognuno offriva, più o meno sbrigativamente, la sua risposta. Ora qualcuno gli indicava la chiesa. Ora il cielo. Ora qualcuno gli diceva di non credere in Dio. Ora qualcun altro indicava il proprio cuore.
A tutti il vecchio rispondeva con uno dei suoi celebri sorrisi. E, dopo un istante, raccoglieva un seme da una bustina che aveva nella tasca e lo consegnava al suo interlocutore.
«Dio è qui dentro. Abbi cura di Lui.»

I più lo guardavano perplessi e si allontanavano con aria confusa e quasi angosciata, come quando ci accade qualcosa che non riusciamo a capire appieno e la cosa ci lascia turbati per tutto il resto del dì. Altri inarcavano le labbra in un sorriso compiacente e salutavano il vecchio, divertiti dalla sua fantasia. Quasi nessuno fece caso al destino del seme. Qualcuno lo perse, qualcun altro addirittura lo gettò subito via in un cestino poco lontano. Un paio di loro forse lo piantarono in un vaso, ma ne nacque una pianticella debole che dopo non molto appassì.

I bambini, quando veniva loro chiesto dove si trovasse Dio, per lo più si guardavano intorno con aria spaesata, come se un maestro li avesse beccati a non aver studiato la più ovvia delle lezioni. Poi scrollavano le spalle. «Non lo so.»
Anche a loro venne consegnato il semino dal sacchetto.
«Dio è qui dentro. Abbi cura di Lui.»
«E dove devo metterlo?» chiedevano i bambini, che – si sa – ci tengono a far bene le missioni che vengono loro affidate.
«Conservalo con cura e poi lascialo in un posto dove possa crescere forte. In un posto importante per te, dovunque ci siano delle memorie da proteggere.»
I bambini prendevano delicatamente il seme tra le mani, come si fosse trattato del più prezioso dei gioielli di un Re, e trotterellavano via allegri.

Dopo pochi anni il vecchio morì. Ma molti dei semi che aveva distribuito erano rimasti ai loro giovani proprietari, che iniziarono a liberarsene a mano a mano che le loro vite prendevano forma.

Ecco Andrea, otto anni allora, che di nascosto e con grande imbarazzo nasconde il suo seme nel terriccio del cortile di un palazzo, dove si è appena svolto il suo primo colloquio di lavoro.
E Lucia, che all’epoca aveva soltanto tre anni e mezzo, che pianta un seme ai piedi del belvedere dove ha dato pochi giorni fa il suo primo bacio.
Gianni, sei anni, ha finalmente avuto una risposta dall’editore. Gioca con le parole da quando ha imparato ad usare una penna ed oggi è così felice che gli tremano le mani, mentre sotterra il seme tra le piante del dehors di quel caffé che ha visto la nascita delle sue storie più belle.
Nadia, quattro anni, ha ritrovato la sua vita più vera nella natura, in una casetta lontana da tutto e da tutti. Guarda il sole che tramonta sulla collina, si stringe al fianco della compagna e non ricorda più bene neanche quali alberi del bosco siano figli suoi e quali no.
Simona, cinque anni e mezzo, di figlio ne ha appena avuto uno in carne ed ossa e accanto a lei, mentre lo culla, siede un uomo con la faccia stanca e l’espressione serena. L’amore della sua vita. Anche il terreno della clinica presto germoglierà qualcosa.

A chi volesse chiedere la storia di quegli alberi, ognuno darà una risposta diversa. Nessuno ricorda bene per quale motivo abbia conservato i semi con sé tanto a lungo, ma nella vita di tutti è arrivato un istante in cui hanno intuito quale fosse la cosa più giusta da fare.
Non so se il vecchio credesse davvero in Dio. E se sì, non so in quale Dio credesse. Non so neppure se vi credesse chi mi ha raccontato queste storie.

Quel che so è che l’ultimo degli alberi lo ha piantato Sayed, dieci anni, dopo aver accompagnato suo figlio a giocare nel piccolo parco dietro la chiesa che si stagliava sullo sfondo dei suoi ricordi da bambino. Lo ha seppellito in uno spiazzo di terreno poco in vista, dove l’erba è più rada.
Quando suo figlio crescerà, su quel giardino un po’ dimesso svetterà un giovane e magnifico platano. Un tempo in quel punto aveva chiuso gli occhi un uomo, per riposare un’ultima volta.

Un vecchio, per essere precisi, con la faccia ingiallita come la pagina di un antico volume pieno di conoscenze arcane, i capelli grigio ratto che sembravano coperti di cenere, occhi verdi e profondissimi.

Loading

12 commenti »

  1. Bellissimo e coinvolgente.
    L’ho letto tutto d’un fiato, mi ha toccato l’anima. Grazie

  2. Che racconto particolare. Quasi una favola, per certi versi mi ricorda “La foresta-radice-labirinto” di Calvino, sebbene l’attinenza sia solo il riferimento alla favola. Dà tanti spunti di riflessione, questo racconto. Complimenti all’autore.

  3. Gesti come preghiere, odi alla vita che sarà e che è stata, la bellezza delle speranze che si realizzano: toccante. Grazie per il momento che mi hai regalato.

  4. Si respira un’atmosfera strana in questa storia sospesa tra magia, leggenda e realtà. Mi ha ricordato per certi aspetti le atmosfera di Sepulveda. Piaciuta assai.

  5. Delicato e poetico, il tuo racconto. Credere o non credere, la matrice, la radice di quegli alberi è la stessa, un bel messaggio. Complimenti.

  6. Amo le storie intrise di magia. Hai creato un personaggio molto particolare, complimenti.

  7. Bellissime immagini, un racconto che mi fa pensare alla prossimità, alla solidarietà, sentimenti ricompensati con semi che germoglieranno speranze per chi ne ha avuto cura. Molto bello, grazie per le sensazioni che rende a chi legge.

  8. Tenerissimo racconto. Ispira; voglio dire, sto seriamente pensando a mettermi in tasca un po’ di semi e piantarli lì dove credo ce ne sia bisogno. Grazie.

  9. Ringrazio di cuore tutti gli utenti che hanno letto e commentato il mio racconto, per il tempo che avete deciso di dedicarmi e per le bellissime parole di cui ancora forse non riesco a capacitarmi del tutto.
    Sono lieto che i sentimenti, i valori che provavo a trasmettere siano arrivati così forti e chiari e mi lusingano i paragoni a grandi della letteratura come Sepulveda o Calvino, che ho letto e amato e da cui ho sempre cercato di trarre ispirazione tanto nello stile, quanto nei messaggi.

    Per quanto riguarda i riferimenti all’atmosfera “magica” e “sospesa” della storia, ricordo una volta in cui a Neil Gaiman – un altro autore che adoro alla follia – fu chiesto se credesse alla magia. Lui rispose che la nostra vita è piena di elementi magici, meravigliosi e fuori dall’ordinario. Il punto non è, allora, credere nella magia, ma far caso a quella che quotidianamente incontriamo.

    Un ringraziamento enorme a tutti, ancora. <3

  10. Leggere questo racconto lascia con una strana pace, una sensazione di fiducia che le cose alla fine vanno al loro posto. Che c’è continuita’, che basta aspettare. E almeno per me non è affatto poco. Trasmettere tutto questo con testo e immagini non e’ affatto facile. Complimenti!

  11. Complimenti Andrea! Ho riletto con piacere il tuo racconto 🙂

  12. Volevo dire Giuseppe! Solo che stavo riflettendo su uno dei protagonisti che ha piantato il suo seme!

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.