Premio Racconti nella Rete 2019 “Lucio, anima di pesce” di Genny Sollazzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Leggero come piuma, serafico e beato me ne sto comodamente spaparanzato sulla panchina sotto il sole primaverile di Bruxelles. In molti mi si siedono sopra, non mi turbano. Nella mia inconsistenza mi preparo a nuove battaglie, mi riposo. Penso. Ricordo.
Spesso accade che ciò che la mente dimentica e immerge nell’oblio del passato, trovi spazio nei sogni.
Così mi successe quel giorno, il mio ultimo giorno di vita.
Avevo fatto una pausa sotto un massiccio scoglio coperto di smorte alghe, di cui non distinguevo neppure più il colore. Ero stanco, da tempo viaggiavo senza posa.
Ma scusatemi, non mi sono neppure presentato, e forse sarebbe il caso di farlo.
Ci vuole poco comunque, basta dirvi che mi chiamo Lucio, attempato elemento della famiglia dei saraghi, ormai deceduto.
Dicevo, chiusi gli occhi.
Senza rendermene conto, in pochi attimi cominciai a stare meglio. Le squame mi si distesero immediatamente, la coda si allungò e quasi smise di muoversi tenendomi comunque ben in equilibrio. Ero immerso nel verde più intenso. Anche se non ho mai bevuto alcol in vita mia, mi pareva di provare un’ebbrezza etilica.
Circondato da un arcobaleno di colori, predominanti lo smeraldo e l’azzurro, guizzavo veloce, leggero, giocavo, rincorrevo i miei simili. Sentivo il calore sulle squame, la luce del sole filtrava tra le acque, poggiandosi sul mio corpo, mi faceva brillare.
Un pulviscolo di polveri, bollicine e residui di plancton danzavano nell’acqua.
Avevo una fame incredibile e tutto, intorno a me, mi faceva brodo. Ogni cosa che mi capitava tra le fauci era una leccornia.
Gesù che sogno! Ho quasi la certezza che stavo russando di piacere, non perché mi sia udito, ma per la meravigliosa sensazione che mi sentivo dentro. Ero circondato, sopra, a fianco, sotto, altri pesci, colorati e luccicanti più di me.
Conchiglie, pomodori rossi e stelle marine visibili in grande quantità in mezzo agli anfratti vellutati composti dagli scogli. Banchi di tonni mi travolgevano, accarezzavano il mio corpo, che usciva indenne e vivificato da quella bufera.
Mi superavano sciami di meduse. I tentacoli iridescenti, nella loro trasparenza non mi pizzicavano affatto. Ero avvolto in una nube colorata e non volevo in alcun modo uscirne.
Sprofondando ancor più nel sonno, mi abbassai sul fondale sentendo il mio corpo leggero solleticato dai coralli, cari, simpatici, alberelli di mare. Mi salutarono con le loro braccia, e io sorrisi, sì sorrisi. Perché anche noi pesci, pur se non si direbbe mai, quando ci sono le circostanze giuste, sorridiamo! Ed in quel sogno c’erano eccome, mi pareva d’essere in paradiso.
Guardai i polpi assumere le numerose diverse sembianze colorate del paesaggio…sparire tra le foglie melliflue della posidonia. Sospirai, senza inghiottire un filo d’acqua, sospirai trangugiando felicità…
Un boato! Ero sveglio. Povero Lucio, avevo così bisogno di riposo, ma i motori delle barche, pur in lontananza non mi davano pace. La qualità del sogno era stata eccelsa. Mi riscossi, cercai di scuotermi di dosso la sensazione che quello non fosse solo un sogno. Possibile che un tempo quel paesaggio, fosse stato vero?!
Ripresi il mio viaggio e la sensazione svanì. Era tutto nebbioso, scuro, vedevo poco o nulla.
A tratti il mio corpo era percorso da sostanze viscide, sporche. Non riuscivo a distinguerle bene. Le sentivo scorrere su di me, provavo un intenso fastidio. Il forte dolore che avevo avvertito sul dorso prima di addormentarmi, aveva ricominciato a farsi sentire impetuoso. Pulsava senza sosta. Muovevo velocemente la coda, mi allontanavo terrificato da un pericolo incombente, che non vedevo, ma mi gelava l’anima.
Dai boccheggi dei miei simili, mi era giunta notizia che in prossimità del porto una petroliera aveva sversato in mare, non si sa se volontariamente o per errore. Fatto sta che una chiazza grigio nera si era diffusa in superficie. Sul fondale era ancora peggio. Quella era melma che intrappolava. Ed io, povero Lucio, nuotavo dolorante.
Ero fuggito insieme ad altri amici che erano con me nei paraggi, ma il mio era il ritmo di un pesce attempato, per cui ero rimasto solo.
Non riconoscevo più il mio ambiente, mi sentivo smarrito. Con lo scurirsi delle acque, aumentava in me la sensazione di soffocamento. Cupo e disperato continuavo a muovere la coda. I miei genitori mi avevano raccontato tante cose del mare del passato. Erano notizie che tramandavano di antenato in antenato, di sarago in sarago.…
E sempre i miei mi rassicuravano: “Piccolo Lucio, torneranno i tempi dei nostri avi, torneranno“. Sembrava credessero a quelle leggende paradisiache narranti di acque pulite, di un mondo senza plastica, senza benzina né petrolio. Io non sapevo cosa pensare, ma fui felice che quel giorno, poco prima di morire, mi fosse stato regalato un momento di beatitudine tramite un sogno.
Senza arrendermi, fiato al minimo, visibilità ridotta, pezzi di plastica che mi frusciavano intorno e che da tempo erano divenuti il mio unico cibo reperibile con facilità, provai ad avanzare, ma la melma nera e infida procedeva forse più veloce di me e questo pensiero mi rendeva sempre più debole e fiacco.
Sapete come andò a finire?
Un tempo, un pesce dopo una vita gloriosa passata a guizzare con i compagni in mare a riempirsi il cuore di immagini del fondale, finiva in una bella teglia da forno e, addentato dai commensali, spargeva la bellezza raccolta, nel corpo di chi di lui si cibava.
Io morii ingloriosamente. Neppure travolto e sepolto dalla costosa melma nera. NO!
Accecato, mi trovai dentro una busta. Una piccola busta di plastica. In altri momenti avrei saputo uscirne.
Quella sera no. Ci entrai dentro e non mi resi conto più di nulla. Stupidamente, convulsamente, spingevo in avanti … accecato dalla paura, oltre che dalle acque, persi ad uno ad uno tutti i miei respiri.
Una morte rapida. Ma di dolore ne avevo raccolto molto prima di lasciare questo mondo, constatando il modo in cui stavo vivendo, il pattume che mi circondava e che tristemente era diventato il mio habitat naturale.
Ed ora che sono un pesce fuor d’acqua, penso sia proprio tutta questa mia sofferenza ad avermi fatto assurgere al ruolo di anima consigliera di coloro che decidono sui processi biologici ed ecologici.
Sono uno spirito, a volte anche maligno, perché vi assicuro la fatica è tanta. Toccasse a noi pesci guidare tutto, sono certo andrebbe meglio. Invece no!
Tocca a quegli ottusi con quattro estremità diversamente disposte. Dice che abbiano un cervello, ma se lo hanno, sono certo che non funzioni poi molto. Una volta ho letto, in uno dei loro libri, che noi pesci abbiamo il cervello troppo piccolo rispetto al corpo. Sono fissati con le dimensioni e le apparenze, loro! La sostanza non li tange.
Come anima consigliera ce la metterò tutta a turbare i cuori di questi esseri insensibili. Spero ne vedrete i risultati. Io, non potendo fare in altro modo, mi son buttato a pesce negli studi. Mai letto e studiato tanto in vita mia, recupero il tempo perduto. Ascolto.
Ho fiducia in me e nelle anime di chi come me è morto a causa dell’egoismo umano. Sono cechi e sordi e credono sempre che ci sia tempo. Tempo per fare, per rimediare, per smettere di deturpare.
Tutto sta cambiando e a loro non interessa. Sciocchi! Nella loro filosofia “usa e getta” pensano di sfruttare fino all’ultima risorsa e poi via, navicella spaziale e alla ricerca di un nuovo mondo! Che pazienza ci vuole con loro, altro che a pescare!
Non ho intenzione di tenere l’acqua in bocca in questo mia nuova seconda strana vita, ma intendo urlare tutto il mio dolore, alla fine mi dovranno ascoltare.
Oggi sono al parlamento europeo. Ho dato il meglio di me e molto sono riuscito a fare per infondere nell’animo dei presenti l’uso di un nuovo tipo di plastica che non lasci traccia per secoli nel mare.
Spesso vado nelle scuole, al Cnr, in ogni posto dove qualcuno tenga un convegno sull’ecologia e lo inspiro, sempre lo inspiro. Il mio unico mezzo è la bellezza che mi porto in cuore per quello che ho visto in sogno, per quello che mi hanno raccontato i miei.
Ora basta chiacchere, sono stanco. Un riposino su questa panchina, poi riparto. Mi serviranno tante energie e nuove idee!
E voi, raccontate pure la mia storia, mi aiuterete! Sono certo che mi aiuterete, umani e non! E sappiate che se nella vostra mente qualche volta alberga un pensiero ecologico, forse dietro c’è un’anima di pesce a infondervelo. La mia.