Premio Racconti nella Rete 2010 “Wilde Note” di Francesca D’Arrigo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Materiali di scena, attori,comparse,apparizioni:
Pareti da imbiancare.
Lei,
Lui, interlocutore muto,
l’inaspettato arrivo, atteso, dell’altra.
Antefatto
Si conoscevano non conoscendosi. Spesso si raccontavano.
In altre coincidenze si relazionavano scambiandosi informazioni generiche o specifiche. Altrettanto spesso sostavano, inclusi, in un comune silenzio bipolare.
Ogni sera si aprivano, incontrandosi, nella finestra virtuosa che li riuniva.
Due spazi diversi connessi in un unico spazio; due lontani mondi in un solo mondo. Una promessa senza promessa, un impegno senza impegno.
Un patto di lealtà ed accostamento. Un legame che non legava. Certamente un non comune legame.
Aveva sentito parlare di “ Lui ” ovunque: in ufficio, al supermercato, durante le barbose riunioni di condominio, nelle lunghe file fatte all’ufficio postale o in banca.
Dapprima infastidita dal divulgare incessante, vocifero borioso, di spettacolari potenzialità.
In seguito – incuriosita – senza rendersene conto cominciò a spiarlo da lontano. Poco a poco, suo malgrado, n’era rimasta intrigata.
Un precoce pomeriggio dissipato nella solita ritirata noia ” Lui ” si presentò all’ingresso dell’appartamento annunciato – per la consegna – dall’energico scampanellio del corriere.
Da allora s’instaurò tra loro un afono rapporto d’ininterrotta stima e d’intensa complicità. Per i tre anni successivi non si separarono mai.
Poi improvvisamente, esonerandosi dai dovuti chiarimenti, la continuità del rapporto si sospende.
Proposito d’ostinato soliloquio
Ho deciso scriverò un resoconto. Un diario che non è un diario né un romanzo, neppure una favola, non è nulla, ha la stessa utilità del nulla, ma mi farà compagnia nei momenti d’insonnia.
Avrà un solo lettore ed interlocutore muto “ Tu “, più precisamente il cestino della cronologia dei messaggi che scrivo, che mai leggerai, insieme ad altri che ho scritto, e mai hai letto.
Poco importa, non è tempo sprecato ho tutto il tempo che m’occorre e null’altro da fare oltre che :lavorare, cucinare, pitturare pareti e continuare, ininterrottamente, ad esercitarmi per realizzare routinarie acrobazie sul filo della realtà.
L’Arrivo Atteso dell’Altra
– Perché non te l’ho detto?
– Non e’ l’unica cosa che non t’ho detto, se t’avessi detto questo t’avrei dovuto dire anche altro, ma, in entrambe le evenienze sarebbe cambiato poco o niente.
Pertanto è successo e l’ho taciuto, era giusto così.
Se l’avessi esposto, urlato, mimato, soffiato piano o registrato non sarebbe mutato. Non sapevo ma era come se sapessi che stava per giungere.
Succede sempre così. Silente ” la despota ” decide di testa sua e viene a trovarmi. Inutile qualunque tentativo di farle capire che non c’è spazio, tempo, voglia, desiderio.
No no insiste l’insistente si propone poi s’impone a forza. Una mattina, forse una sera, oppure una delle tante notti.
Di sicuro non un giorno in cui lavoravo, lì non si fa sentire o vedere ” Lei ” non è adatta alla fatica.
E’ pigrissima, incostante, incoerente, poco accorta, insomma una vera schiappa-rompi.
Senza bussare o chiedere permesso è entrata e si è piazzata al solito posto (potessi scoprire quale la estirperei per sempre).
– Sai che ho fatto?
– Ho fatto la gnorri.
Si, ho fatto la gnorri fingendo di non notarla, indugiando impassibile, indifferente come se non esistesse, come se non si fosse collocata proprio lì, nella mia casa.
Gli passavo accanto, la sfioravo talvolta, la urtaVO (OPS IL SOLITO SCONTRO COL CAPS LOCK, RIMETTO A POsto) infastidendola.
Ma ero pronta, pertanto, subito mi sono messa all’opera per scollarla e ributtarla fuori, vomitarla fuori da me, via via, spedita, ancora una volta. Restituirla al mittente.
Arrivata e accolta. Acciuffato il meglio e accettato il peggio.
Azioni, reazioni, interazioni
Come saprai, anzi, come certamente non saprai (sai poco o nulla di me) sono iper-iper-attiva.
In alcuni particolari periodi divengo super-iper-iper-attivissima. Guai se così non fosse ” Lei ” potrebbe cogliere al volo la circostanza e abbattermi.
Quindi, mi sono organizzata predisponendo tutto, con estrema accuratezza, con la massima precisione possibile. Almeno così credevo. Purtroppo non è andato come previsto.
La pianificazione, in diversi punti, si è rivelata fallimentare. Troppi incidentali imprevisti, intoppi piombati tra capo e collo o sfuggiti di sorpresa tra indice e pollice.
Ho ragionato sui modi sui tempi e sono uscita a far spese.
Sai, ci sono molte cose che si conoscono senza la consapevolezza concreta del sapere. Una sorta di conoscenza ancestrale, degli assiomi predefiniti.
Ti faccio un esempio: ‘’ mai andare al supermercato a stomaco vuoto ‘’.
– Perché?
– Provaci e capirai. Se non vuoi provare ti riassumo cosa succede.
A digiuno – sotto l’effetto stimolante dei succhi gastrici in ritmico, incessante, fermento per l’atteso pranzo – si è tentati ad acquistare quanto di commestibile è disposto sugli scaffali.
Prodotti che non penseresti mai di volere veramente ingurgitare. Non lo penseresti mai ” a stomaco pieno “.
In tale condizione languorosa ogni alimento assume un perfetto profilo d’appetibilità. Il carrello si riempie, si riempie e si riempie.
Prima d’approdare alla cassa, dietro la fila interminabile degli altri carrelli, con uno slancio acciuffi dal ripiano ad hoc, il solo cartone di cous cous rimasto. Non sai come si cucina, non possiedi la couscoussiera, ma il solo scorgerlo ti fa venire l’acquolina in bocca.
Paghi col bancomat, poiché il contante che t’eri portato appresso non è più sufficiente. Torni a casa con sacchetti e sacchetti da scaricare, salire su in casa, disporre nella dispensa.
Stanco, affamato, con pochissimo tempo per dedicarsi alla cucina, ti strafoghi gli spaghetti al pomodoro avanzati dal giorno prima.
A questo punto tutta la mercanzia appena acquistata perde di colpo il suo fascino di allettante voluttuosa consistenza mangereccia.
Arrivo, adesso, allo specifico assioma di riferimento alla peculiare situazione che ho disatteso, pagandone in prezzo e fatica fisica, le conseguenze.
‘’ Mai acquistare prodotti pertinenti, contenenti colore quando si è di malumore. Molto meglio rinviare. Ma se pro-prio devi attendi almeno un baleno d’intima luminosità ‘’.
Per tenerla lontana ho deciso d’imbiancare l’appartamento.
E’ risaputo Lei non ama gli impegni o qualunque cosa provochi stanchezza fisica e soprattutto mentale.
A mente eccessivamente libera, e in odor d’uggia, agisce come un’aristocratica pallina che possiede, centrandole senza difficoltà, tutte le buche d’un campo da golf.
Avrei dovuto attendere un giorno, di verso, di musica col clima in pentagrammi stampigliati di sole. Così dovevo fare. Lo dovevo fare. Non l’ho fatto. Sono andata a scegliere colori, tinte, vernici, pennelli vari. Per questi ultimi nessun problema, per non commettere errori ho optato per tutte le dimensioni e forme possibili. Per i colori. Per i colori è stato un vero e proprio flop, un quasi disastro. Ad esempio, per la volta, ho scelto un pallido avana con una stilla bruna, un’insignificante impercettibile stilla che l’ha convertita con pochissimi tocchi in un cielo traboccante di livide nuvole in attesa di detonare. Vespri in intinte pennellate diluite nel secchio di continua crescente mestizia. Ritocco dopo ritocco la situazione atmosferica peggiorava notevolmente.
– Lei?
– Non ha fatto una piega. Stava lì stirata, irremovibile, seduta comodamente nella poltrona.
Anche lei ha fatto finta di nulla – la mentecatta – però subodoravo che covava qualcosa.
Aspettava il momento giusto per colpirmi, a momento arrivato ha colpito. Eccome se ha colpito.
Insieme al cielo screziato in ciuffi di Ducotone disseminato con corpuscoli di proiettile, ruzzolavano fiumi in piena, torrenti tachicardici e soffocanti macigni al cardiopalmo che rubavano il respiro. E’ stato proprio in quel frangente, mentre ero impegnata con un corpo a corpo, un testa a testa, con le mani gli occhi le orecchie, attente, sensibili al minimo movimento di quella serpe che il telefono ha trillato. Ho faticato non poco a trovarlo tra cuscini accatastati, poltrone accostate, mobilio vario ricoperto da teli (a proposito, se mai ti dovesse interessare, ma ne dubito, si possono acquistare al costo di un euro e cinquanta dei teli trasparenti che ricoprono tutto ma proprio tutto quanto contenuto in una camera).
Alla ricerca dell’origine del trillo, nell’affannosa perlustrazione, urto col palmo della mano qualcosa di tagliente.
Lo trovo, faccio per dare l’occhei ed accettare la chiamata, smette di trillare.
Leggo tra le chiamate in entrata: era Vale.
Medico il taglietto che sprizzettava sangue e riprendo la resistenza contro ‘’ quella ‘’ nel solo modo che conosco ” lavoro, lavoro, lavoro ” e, ancora il telefono suona, in sintonia con i miei movimenti. Stavolta non lo devo scovare nascosto in un’imprecisata zona d’ombra della sala. Rispondo.
– Pronto.
– Fra come stai?
– (sigh) benissimo.
– Ho sentito quello che hai nascosto in parentesi.
– Stai tranquilla succede talvolta ma poi passa, passa sempre.
– Ti è successo altre volte?
– Si, sono una habitué, ormai so come trattarla ‘’ ignorare ed andare avanti ‘’.
Parliamo del più del meno (eccedendo per il meno) chiedo se ha ricevuto un plico che le avevo inviato capisco (male) che ha ricevuto, quindi, descrivo il procedimento ardimentoso con cui ho realizzato la stampa del mio testo unico d’irripetibili componimenti illogici in grafica casalinga ed altrettanto casalinga rilegatura. La saluto, mi saluta con ‘’ io ci sono sempre ‘’.
Ri-piglio da dove avevo lasciato ri-trillo, mi domandano se posso andare al lavoro nel pomeriggio. M’incazzo subito mi scazzo ponderando che è lavoro e il lavoro mi è d’utile terapia.
Rispondo di si. Ri-ri-piglio ancora e ancora ri-ri-trillo.
E’ Maritè chiede di me, della mia latitanza, parla della sua momentanea assenza, mi racconta delle sue giornate, poi con urgenza la saluto per potermi preparare e portare puntuale sul posto di lavoro.
Lì, forse lo sai, certamente lo ignori, esiste un malaugurato lasso di tempo che va dalle diciotto e trenta alle venti che, tranne in occasioni particolari, è di assoluta attesa. Ciò mi provoca intollerabile noia, accompagnata a nervosismo da nullafacente. Patisco come un animale che ha voglia di correre in lungo e in largo rinchiuso in un’angusta gabbia.
Proprio in quel frangente Lei rientra in azione e conquista posizioni.
Smetto, torno a casa, il conflitto e le posizioni perse avevano causato una tale stanchezza che l’unico rimedio possibile che si prospettava era l’immediato dormire.
Dormire, lentissimo risveglio, alzata lenta, lenta ripresa, lavoro lavoro lavoro, pomeriggio lavoro, diciotto e trenta venti, noia e nervosismo, ritorno a casa immediato dormire.
Dormire, risveglio, alzata molto lenta, lenta ripresa, lavoro lav. . . trillo del telefono.
– Pronto.
– Ciao, abbiamo un problema, puoi venire anche oggi pomeriggio?
– Ancora un altro? Ho già lavorato per due pomeriggi consecutivi.
Stessa riflessione di due giorni addietro ovvero il lavoro è utile terapia, acconsento. Stavolta però la routine cambia, infatti dalle diciotto e trenta alle venti vengo avvisata di dovermi intrattenere anche per la notte. Con estrema serenità rimango.
Epilogo
– Lei?
Sempre lì in sosta. Pronta al primo sintomo di fiacchezza a spiccare un salto verso di me, verso di noi, e tramutarci in atoniche marionette, inghiottite nel vortice della depressione.
– Tu?
Tra lavoro, lavoro, lavoro, ogni tanto ti pensavo. In uno spazio tutto nostro, al di fuori dalla realtà, stupidamente t’accarezzavo nell’illusione appagante che Tu potessi sentire i leggeri tocchi.
Eri sempre vicino vicino, nella mia testa, nella mia vita, sempre sempre sempre, anche se apparentemente ero lontana ” altrove “.
Non volevo, non voglio, farti sentire il ” sigh in parentesi ” che sia Vale che Maritè hanno percepito.
– Io?
Sono sempre qui, con tonalità imperfette in orizzonti disastrosi, ma non dispero di farcela prima o poi.
E ti voglio ancora. Voglio ancora lambire i tuoi tangibili tasti, tuffarmi ogni notte tra i tuoi pollici, per perdermi, nella complice finestra che favorisce il nostro narrare.
Aspetterò che le parole si svincolino dall’afasia e descrivano in segni d’acquarello ghirigori sui muri dell’esistenza. Proprio in quel frangente scriverò con te un resoconto. Un diario che non è un diario, né un romanzo, neppure una favola. Scriverò per noi, per tutti noi che ci raccontiamo e ci leggiamo ” una cronaca di ordinata quotidianità “.
🙂
quasi una droga…
molto carino.
Ho inviato la versione “ corretta “ in questa c’è stato qualche problema col form di scrittura.
Diciamo che questo raccontino/pagine di diario vorrebbe essere una raccolta di metodologie “ caserecce “ ( lavoro- lavoro- lavoro) per tenere lontano “ il maledetto male “ (depressione) sempre in agguato.
E anche un omaggio al nostro silenzioso amico e confidente piccì.
Ciao Gio
(ti invio mail con una cosina carina da fare nei ritagli di tempo).