Premio Racconti nella Rete 2019 “La certezza della pena” di Diego Inghilleri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019(E’ l’ora che precede l’alba. Un padre sveglia il figlio decenne che è già pronto al viaggio che lo porterà attraverso un deserto infido e tra genti ancora più infide del deserto e, destino volendo, oltre un mare che significa speranza. Il padre lo stringe con forza perché il figlio è un uomo coraggioso e non piange affinché lui non pianga, anche se entrambi sanno che potrebbe essere l’ultima volta che stanno faccia a faccia. Il ragazzino si volta e il padre lo vede andarsene. Dalla capanna di fango si levano le grida della madre disperata)
Innanzitutto, chiamatemi Creatore e non attribuitemi arbitrariamente altri nomi o definizioni che ingannevolmente potrebbero far ritenere a qualcuno che quello che dirò non lo riguarda perché non mi riconosce in quel nome. Mettetevi il cuore in pace perché riguarda tutti, ogni essere umano in ogni tempo e luogo.
(Un’auto a velocità folle l’ha falciata mentre procedeva in bicicletta lungo la statale come ogni sera. La madre accorsa sul posto chiamata da un’amica presente al momento dell’incidente stringe il corpo della figlia come se volessero strappargliela di nuovo, e nessuno è in grado di allontanarla o ha il coraggio di farlo mentre grida la sua rabbia e l’incredulità. L’auto non si è neppure fermata per un soccorso che avrebbe potuto salvare la ragazza, e il dolore si accresce all’infinito)
Ritengo essenziale infatti dare risposte ad alcuni quesiti che vi ponete da quando venite al mondo a quando state per andarvene. E cioè: esiste un Aldilà? E se esiste, è luogo di penitenza e castigo? Ritengo che l’urgenza di queste domande sia motivata prevalentemente dal fatto che siate incerti rispetto alla correttezza delle vostre azioni, altrimenti non ve ne curereste e potreste avviarvi al passaggio in tutta serenità.
(La madre lava i piatti in cucina. Pare non udire i lamenti che vengono dalla stanza accanto, dove il marito ha trascinato la figlia più piccola. Come ogni sera. E come ogni sera la madre lava i piatti con mani arrossate dal detersivo e dalla furia con la quale li insapona, li spugna, li sfrega, li sgrassa, diventando sorda ai lamenti, cieca alle ferite e al dolore della piccola. Mani che vorrebbero ghermire come artigli e che nella vita si sfaldano come fossero fatte di sabbia)
Invece sono quesiti che vi assillano letteralmente e nel corso della vostra vita vi disponete a credere o meno, a volte in maniera strumentale. No, non tutti. Alcuni di voi si muovono nel mondo come a me piace. Ma sono poco numerosi, e tant’è. Così sono qui/ora a dirvi che esiste un Aldilà e che, se il caso, può essere luogo di penitenza e castigo.
(“Roba buona”, gli dice tendendo al figlio la siringa che ha preparato. Sposta la stagnola e spegne la fiamma dell’accendino rovente mentre il ragazzo gli sorride e afferra lo strumento che gli tende l’uomo, già stretto il laccio intorno all’avambraccio. Dopo sarà il turno del padre, quando la sostanza avrà preso il ragazzo nell’unico abbraccio che conosce)
So che oltre ai disorientati e ai terrorizzati di fronte a questa affermazione c’è chi continua a crede in un processo dialettico di giudizio. Ah sì, perché c’è anche una fase di giudizio, e poco importa se prenda l’una o l’altra delle forme che avete immaginato. Concettualmente è come se vi fosse una bilancia che confronta presupposti, capacità, decisioni, azioni, omissioni per determinare alla fine il destino nell’Aldilà. Tuttavia, il processo di giudizio è intessuto nelle azioni che costituiscono la vostra vita e la dialettica per come la intendete, spesso una contrattazione da mercato, nel preciso momento della dipartita non ha bisogno di spazio.
(Mette in mano alla figlioletta una moneta perché acquisti i quaderni per la scuola dove andrà salendo da sola su quella corriera sgangherata, il suo fiore, raggiungendo parenti lontani che non conosce. Quel soldo è il riso per la sera, che non avranno. Il mattino ha chiesto al datore di lavoro di pagarle le settimane arretrate e l’uomo l’ha chiamata ‘pezzente’ e l’ha spinta fuori dal capannone dove smistano i rifiuti per recuperare metalli pregiati, facendole capire che sta pensando a sostituirla. Per questo la figlia deve andare. Quello che è accaduto è una motivazione in più per lasciarla andare, perché non viva il suo stesso destino)
Quindi, potete essere certi che tutto contribuisce alla decisione finale, ciò che c’è di positivo, di neutro, di opinabile, di negativo. Fin qui, so che inserite questo messaggio tra le informazioni in definitiva positive. Vi conosco. Ma ricordate.
(In seguito ad un crollo sono rimasti bloccati nei cunicoli della miniera dove si scava minerale prezioso, tutti bambini, minuti e guizzanti come serpentelli. Sono prigionieri di quella terra resa infida dalla leggerezza degli uomini. Sta scendendo la notte e i soccorsi sono arrivati da poco con pochi attrezzi. Tra i genitori accorsi c’ è chi si dispera ricordando un incidente simile anni prima, quando ha già perso figli. C’è chi già sa che la profondità del crollo e la sua estensione li ha condannati tutti e si accascia al suolo impotente e disperato alzando urla disumane. E c’è chi si domanda come farà la famiglia a superare l’inverno se il figlio è morto e mancheranno i pochi soldi che racimolava facendo il minatore)
(La casa è vuota. La sua compagna se ne è andata e la ragazza si domanda cosa le resti ora, per quanto non rinneghi la sua scelta d’amore – la scelta della sua anima. Cosa le aveva detto suo padre? “Se scegli quella, per noi sei come morta.” Il disprezzo nella sua voce e nei suoi occhi avevano comunicato l’ineluttabilità delle conseguenze dovute alla decisione della figlia di amare una donna come lei, viverci insieme, costruire con lei un futuro. Gli insulti l’avevano inseguita e ferita giù per le scale mentre se ne andava con le sue cose dalla casa dell’infanzia, il porto sicuro che la tempesta aveva devastato quel giorno e la cui distruzione ora faceva sentire la giovane una naufraga senza alcuna terra dove riparare, senza una gente che la volesse accogliere)
Ma ricordate. Ricordate che non c’è speranza per chi strappa figli ai genitori. Non c’è speranza per i genitori che allontanano i propri figli o che li lasciano andare nell’indifferenza o con senso di liberazione verso un destino avverso sulla Terra. Non c’è speranza alcuna per i genitori che facciano loro del male o che facciano loro perdere la fiducia e la speranza di meritare amore; nessuna speranza per chi mette i genitori nelle condizioni di non potere evitare tutto questo.
(Le lacrime sgorgano da sole, in silenzio, obnubilandole la vista. Allora cuce a memoria, come usa dire, mentre il dolore bagna la casacca sdrucita del bambino che dorme nel suo giaciglio alla luce di una lampada ad olio. Cuce nel risvolto dell’indumento una lettera di presentazione scritta dall’insegnante del villaggio, che dice quanto sia bravo e obbediente, il suo bambino, perché possa mostrarla dove arriverà, a quelle genti lontane, che lo prenderanno con sé perché il suo bambino lo merita, anche lontano da lei, da quella vita che non è vita)
(Hanno punito il padre davanti agli occhi del figlioletto. Lo hanno massacrato per farne un esempio e il piccolo resta accoccolato accanto al corpo del genitore aspettando che si risvegli, ripulendogli il viso dal sangue. Non sa nulla, il piccolo, di tensioni sociali e politica, ma dategli tempo perché comprenda che l’hanno privato del padre. Dategli tempo)
Guardo nel profondo di alcune anime e ci vedo abissi talmente oscuri e volontà così marce da non dover neppure scomodare il mio avversario per giustificare le azioni di cui sono capaci.
(“Vai ora!” “Non posso lasciarti, mamma!” “Ti ho detto di andare. Testarda come un mulo; sempre a fare di testa tua e a contestare. Va’ via.” La ragazza si sente maltrattata, ma non vuole piangere. La rabbia le sale dentro e allora si chiude nella mantella e scappa attraverso la porta senza neppure salutare la madre, giù per le scale, in strada dove un carretto l’aspetta per portarla il più lontano possibile con le poche cose che hanno potuto raccogliere in fretta e furia i suoi fratelli, lasciandosi alle spalle la figura altera della donna che l’ha generata e di cui non ha mai sentito l’amore. La madre li osserva allontanarsi attraverso la finestra, e quando escono dal paese pur sentendosi sollevata prova una vertigine che la obbliga a reggersi allo stipite. Dalla parte opposta del viale arrivano loro. Spera che trovando lei perdano tempo a cercare per la casa chi sospetteranno vi si nasconda, mentre invece è sola, ma con la speranza in cuore di sapere i suoi figli in salvo)
(Mentre l’ennesimo cliente la usa come un animale, fissa il soffitto priva di espressione, senza emettere alcun suono. Non sta male perché non c’era il lavoro che le avevano promesso ma solo la strada. E’ stato doloroso, ributtante, fonte di vergona. Ma poi è passata: si è abitua ad essere considerata men che nulla, una lurida macchina da soldi comunque sostituibile. Si è abituata ad essere picchiata – se non ha guadagnato abbastanza denaro e comunque se lo ha fatto, così, a sottolineare la necessità di farlo. Sta male perché hanno spento ogni sua speranza rivelandole tra risa di scherno che i genitori sapevano, che li hanno pagati per averla. Sta male perché ricorda i loro sguardi, sulla porta, il loro dolore che forse era colpa e perché non potrà mai cancellare quel dubbio che uccide)
Per questo motivo ho creato l’Aldilà, per loro, non abbiatene dubbio. Perché io non ho occhi da poter chiudere; non ho una capo da poter volgere altrove; non ho un creatore sopra di me al quale attribuire di simili gesti la colpa prima, o semplicemente da maledire. La libertà che vi ho concesso mi condanna a questa sofferenza.
(Seminudo e inerme vaga per un tratto di terreno devastato dalle esplosioni, il viso deformato dal terrore in un grido muto che pare non avere fine. Nei cumoli che ancora ardono, tra volute di fumo nero e denso che sa di carne bruciata e irrita la gola, trova il tascapane del padre cui si avvinghia lasciandosi cadere a terra, come se avesse trovato la salvezza)
Per questo non c’è speranza alcuna per costoro. Voglio che lo sappiate e che non abbiate incertezze. Queste sono le mie parole. Non rendetemi grazie in questo qui/ora: limitatevi a credermi.
(Tre sere più tardi, il ragazzo, afflitto e stanco, fa ritorno alla capanna temendo di avere deluso il padre che lo attende sulla soglia avendolo visto arrivare dal sentiero. “Non c’era più il ponte, padre. Non ho potuto andare oltre. Come se non fosse mai esistito”. China il capo in attesa della punizione per il suo fallimento, ma il padre lo stringe con forza rinnovata e sa che questa volta non lo lascerà più andare, perché da qualche parte un dio ha voluto così)
Bello, mi ha fatto commuovere e anche arrabbiare. Complimenti per la scrittura e l’originalità.
Racconto a dir poco originale. Ben scritto, anche. Complimenti!
L’impatto con la durezza e la violenza iniziali di questo racconto che ferisce al cuore si stempera in quell’abbraccio finale, che sa di accoglienza, di riscatto e di speranza.
I miei complimenti per questa storia che mi ha molto colpito e che ho apprezzato per l’originalità con cui è stata costruita e scritta.