Premio Racconti nella Rete 2019 “Un David per la pace” di Silvia Coccolo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Oggi è il 17 marzo, pensa Agata, ha ancora quattro mesi per spettegolare, giocare a bridge a farsi adorare. Effettivamente Agata è convinta di morire di agosto, non so dirvi perché, ma quotidianamente, a mezzogiorno, conta quanti giorni le restano, per quell’anno. Ad esempio oggi, le rimangono 136 giorni, 3’264 ore o 195’840 secondi, che corrispondono a circa 97’820 respiri, e altrettanti battiti del cuore. Insomma, la vita è solo una questione di metrica. Naturalmente, con regolare lucidità, il primo settembre di ogni anno riconta tutte le ore vissute, le ricollega a tutti i bei momenti, e ricalcola, con il suo algoritmo mentale, tutti gli istanti, in funzione delle emozioni. Ogni anno quindi, si pone un obiettivo, che deve essere raggiunto entro il 31 luglio, ore 23:50, minuto più, minuto meno. Ogni anno si lascia ispirare, ammaliare da un’ idea, un ObbiettivoDiMe, come lo definisce lei. Ad esempio, lo scorso anno si era dedicata ad un film, un cortometraggio sulla sua vita da nobildonna (decaduta) ma pur sempre di sangue blu. Comunque, quest’anno era terribilmente in ritardo, e non aveva ancora trovato il suo ObbiettivoDiMe.
Per fortuna, o divina provvidenza, ieri sera aveva visto il film di Madre Teresa di Calcutta: la storia della sua tenacia, la sua forza di volontà l’aveva colpita, nel profondo del cuore. Così, ci aveva pensato tutta la notte, e aveva deciso: anche lei, Amaranta Amatorium da Petravilla avrebbe dedicato l’ObbiettivoDiMe di quest’anno ai poveri. Aveva quarant’anni compiuti, tondi tondi, ed era pronta a dedicarsi ai più deboli, con lucida coscienza e infinita umiltà. Era ora di cambiare vita, per 136 giorni tondi tondi, e aveva tutte le carte in regola per diventare una missionaria versione 2.0: amava gli altri (o almeno, il suo riflesso nei loro occhi), era gentile e caritatevole, insomma era la persona adatta per seguire le orme della santa. Per non parlare delle sue amiche: le avrebbe fatte tutte ingelosire, il mercoledì al bridge.
L’unico problema, pensava, era la sua fobia per i germi. La sua era una paura infantile, nascosta, tanto profonda quanto incontrollabile: era terrorizzata delle mani sporche dei bambini, dei germi che si nascondevano tra quelle righette di terra e sabbia, tra le ditina grassottelle. Aveva infatti un incubo ricorrente : era in spiaggia, al tramonto, il vento sferzava leggero i suoi capelli, e un Martini bianco tintennava nel bicchiere. Lei e Vittorio Sg. (si, proprio lui) parlavano di cultura, arte e letteratura, sdraiati su di una poltrona in vimini, rossa. Poi, di colpo, un rumore forte, una nuvola di sabbia si librava nell’aria e un gruppo di bambini si precipitava correndo verso di loro. Li vedeva mentre toccavano, stringevano e sporcavano la stoffa bianca del suo vestito, e l’impronta delle loro manine macchiare, in maniera inesorabile, il tessuto candido. Lei voleva scappare, allontanarsi da loro e i loro germi invisibili, ma era seduta su quelle sedia, immobile. Cercava di urlare, fuggire ma le sue gambe erano ferme, non poteva muovere un solo muscolo. Quel sogno la spaventava, e si riproponeva sempre, al risveglio, di regalare flaconi di sapone di Marsiglia a tutti, grandi e piccini, per combattere insieme contro i germi. La ricchezza comporta responsabilità, le ricordava sempre sua mamma, e la sua nuova missione era finalmente chiara e limpida nella sua testa.
Ecco cosa doveva fare, trovare dei poveri a cui dedicarsi, una specie di caccia al tesoro, per alleviare la noia delle sue giornate casalinghe. Ad un tratto, un rumore di passi strisciati sul parquet la distoglie dai suoi pensieri: sente entrare Gianna, la sua cameriera, bassa e tonda, con due caviglie larghe, quasi due tronchetti di betulla infilati negli zoccoli bassi.
“Buongiorno signora, desidera i croissant?” dice Gianna.
“No cara, dalli ai gatti, stamattina non ne ho voglia” risponde Agata.
“Signora, mi scusi ma..” dice Gianna, incrociando le braccia dietro alla schiena, e accarezzandosi i pollici, nervosa “Posso prendere i croissant per i miei nipotini? Oggi si sono fermati a dormire da me, sa mia figlia, la loro madre, lavora di notte come cameriera in un locale, e di giorno fa le pulizie..”
“Gianna Gianna, sempre a parlare dei tuoi nipoti, oggi non ho tempo, devo dedicarmi a cose importanti, la mia missione. Lasciami stare” dice Agata, accarezzandosi l’anello di diamanti sull’anulare destro, con il pollice sinistro.
Che strazio pensò Agata, avvicinandosi alla finestra, neanche un povero per strada, nessuno lungo il marciapiede. Solo Gianna, che lava il pavimento col suo passo malfermo, la sua gamba storta, tutta gobba. Il suono del suo respiro asmatico proprio la indispettisce, non la lascia riflettere, dovrebbe girare con una radiolina, pensa Agata, magari la musica potrebbe coprire quel suono screziato. Gianna, che cara donna, abita nel seminterrato, una stanza di circa 5 metri quadri, una finestra, e le mura bianche, con delicate macchie di colore verde, tendente al nero. Una “colorazione in divenire”, come la definisce lei, che cresce a vista d’occhio nelle giornate umide, lungo le pareti. Ah, pensa Agata, come vorrei un poverello tutto per me, per aiutarlo, me ne prenderei cura, come faccio con le mie piantine grasse, i miei gatti persiani, o le mie pellicce.
Ad un tratto, ecco il campanello suonare. Gianna si reca alla porta, e dopo pochi istanti ritorna nel salotto, dicendo: “Signora, ecco Madama Filomena Elvira della Rovere”.
“Buongiorno Filomena. Siediti cara, che bello vederti. Come stai?” dice Agata, tintennando il suo anello contro la tazza.
“Benissimo, sto finendo la raccolta fondi per i bambini del collegio San Petronio” dice Filomena, togliendosi la pelliccia di visone.
Collegio? Agata ha le lacrime agli occhi: “Orfanelli?” le chiede.
“Ma no cara, è il collegio di mio nipotino, Giacomino Fumagalli Orsini. Le divise di quei poveri pargoli datano già di un anno, per di più sono bianco lunare.. non sono più alla moda, come ben sai quest’anno si usa il grigio perla, quindi sto raccogliendo i fondi necessari per comprarne di nuove. Mi puoi aiutare?”. Sorride goffamente, mostrando i suoi tre incisivi, ingialliti dal fumo, grandi e prepotenti; con la mano cerca di nasconderli, anche se si ostinano, orgogliosi, a uscire dal labbro superiore.
Agata ci pensa su, e poi d’improvviso l’illuminazione.
“Cara, tieni” dice Agata, sfilando con gesto plateale il suo anello di diamanti.
Eccoci qui, era finalmente arrivato il momento per la sua buona azione, per quei poveri bambini, figli di milionari, ma pur sempre mal vestiti.
Agata aveva iniziato la sua strada della carità, della generosità: una benefattrice 2.0, attenta ai dettagli, allo stile. E come la sua idola avrebbe vinto il premio, il Donatello, no forse il David.. non ricordava più il nome, ma sarebbe stata premiata per la sua carità: il solo pensiero le accarezzava il cuore. Sospira, sorride a Filomena, e con un gesto di stizza manda via Gianna, che a bordo della porta, e con passo malfermo, le stava portando il the. Appoggia la mano sul tavolo, e con un colpo secco e deciso si allontana. Le ruote della sedia a rotelle cigolano sul parquet, e scricchiolando si dirige verso la finestra: le gambe immobili scorrono sul pavimento, illuminate alla luce del sole.
Spiazza, addolora, irrita, commuove: brava!