Premio Racconti nella Rete 2019 “Numericamente” di Silvia Coccolo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019
Oggi è il 13 maggio. Arinna aveva sempre ricercato i numeri, in ogni angolo della sua vita. Li trovava nelle lettere dei nomi, nelle date di nascita, negli oggetti attorno a lei. Ad esempio, il suo cognome aveva 7 lettere, cifra che ritrovava nella sua data di nascita, ma anche nelle persone care. I due uomini di cui si era innamorata erano nati il 27, di giugno e di novembre. E aspettava ancora il terzo 27, perché 3 è il numero perfetto, si sa, quindi prima o poi sarebbe arrivato, doveva solo capire in quale mese, e in quale anno. Inoltre contava tutto ciò che stava attorno a lei.
Fin da piccola, ad esempio enumerava i bigodini nel cassetto della madre, o i gradini di ogni scala. E se gli scalini erano pari, saltava, sempre, l’ultimo. Cercava i numeri, li rincorreva in ogni oggetto, ma anche nei gesti. Da ragazza si nascondeva dietro la tenda dello studio di suo papà, e contava i battiti dei piedi dei pazienti. Sentiva il trapano bucherellare i loro denti, ed osservava il movimento ritmico dei loro piedi appoggiati alla sedia inclinata. Osservava le caviglie muoversi, più lente se il dolore si sprigionava nella bocca, dalle radici alla punta della lingua. O rallentare dolcemente, un colpo secco e via, appena il lavoro era finito. I piedi, ritmicamente creavano una melodia, che raccontava, senza alcun filtro, le emozioni dei pazienti. E lei, curiosa, rimaneva lì, nascosta tra le tende, tra le nuvolette di polvere, a contare la ritmica delle emozioni.
Nascosta come adesso, salita di fretta, sul primo treno. Stava uscendo dall’ospedale, 7 ore fa. Nella notte era nata la sua prima nipotina, Anna, e lei, naturalmente era corsa a conoscerla. Le aveva comprato un cappellino bianco, in cui adagiare la sua testolina, piccolina e un po’ allungata, come tutti i bimbi nati con difficoltà. Uscendo dall’ospedale lo aveva visto, Lui, stava uscendo con Lei. Lui e Lei e un batuffolo avvolto in una copertina, azzurra. “Nello stesso ospedale, lo stesso giorno” ha pensato Arinna. Nella mano destra aveva una borsata di vestiti sporchi, in quella sinistra 3 mazzi di fiori. Incrociando lo sguardo di Lui, attraverso il vetro, i fiori le erano scivolati dalla mano, in un turbinio di petali caduti per terra. Lo aveva desiderato tanto, un bambino, e aveva amato tanto, Lui. Era stata una favola, fatta di neve e mare, mani con cui costruire castelli di sabbia, mani per ripararsi dalla pioggia, mani per mangiare la pizza, mani per disegnare. Dita da stringere, da cercare la notte, dopo un brutto sogno. Ma poi, di colpo, le sue mani erano diventate pesanti, e le carezze schiaffi. La leggerezza delle sue dita aveva lasciato macchie blu, irregolari, sulla sua pelle, e giorno dopo giorno intirizzito il suo cuore. Il frastuono dei petali, 47, infranti contro l’asfalto, l’aveva richiamata alla realtà; aveva raccolto i 3 fiori, nel loro tonfo sul pavimento, e era corsa via, verso la stazione.
Il treno viaggiava, e dal finestrino si stagliava un piccolo paese, incastonato tra le montagne:le casette, colorate, si perdevano nella nebbia. Il cielo tortora, fuori dal finestrino, era cosparso di nuvole bianche. Amava le nuvole, quando si incastravano tra le montagna, le mattine di primavera. I boschi attorno al paese erano una infinita variazione di verde, dal chiaro allo scuro, in un turbinio di tonalità. Le nuvole, basse, sembravano una nebbia, e gonfie di pioggia rimanevano bloccate, incastrate, tra le pieghe delle montagne. In un etere infinito, la pioggerellina cadeva leggera, da questi giganti umidi, dolcemente appoggiati sulle pendici delle Alpi. Quando era piccola, in quei giorni uggiosi, si nascondeva nel bosco, e come nella sua poesia preferita, ascoltava il ritmo, la musica della pioggia, “strumenti diversi sotto innumerevoli dita”.
Tutti questi ricordi le attraversavano i pensieri, mentre il treno sferrazzava lungo i binari, e le gocce di pioggia si scontravano sul finestrino. Di colpo, iniziò a contarle, una ad una. Amava i numeri, ma non sopportava la matematica: per lei era una disciplina fredda, una prigione sterile per ingabbiare le cifre, dietro equazioni, formule, che incastravano la loro libertà, e la gioia che creava nel ritrovarli in ogni oggetto, ed emozioni attorno a lei. Amava la matematica dei fiori, la geometria perfetta, la sezione Aurea. Ma odiava le cifre, se imprigionate nelle pagine dei libri.
Bumbatabum: fermata improvvisa, un sobbalzo profondo che la risveglia dai pensieri. Una signora tarchiata, con una montagna di capelli riccioli, e un po’ sporchi, si siede bruscamente accanto a lei, spostando i 3 fiori, appoggiati sul sedile. Ha lo sguardo nervoso, e sbatacchia le dita, ritmicamente, contro il finestrino. Non saluta, non le rivolge la parola, come se il cattivo umore fosse il suo unico compagno di viaggio. Arinna la guarda, e istintivamente inizia a contare i bottoni della giacca, e il numero di battiti delle dita, contro il vetro. Tredici, ogni volta. 13.. Il suo numero “difficile”, un numero che ritrovava nel bello e nel brutto, insomma, l’alter ego del numero 7. Se quest’ultimo la tranquillizzava, il 13 era sempre un’agitazione, poteva essere qualcosa di molto bello, ma anche qualcosa di terribile.
La donna, vestita in giallo canarino sfumato nel rosso corallo, la osserva indispettita, sbuffacchiando. Arinna si sdraia stanca sul sedile, e si lascia travolgere dai ricordi, finché la voce roca della signora di fronte a lei la scuote, bruscamente, dai suoi pensieri.
Bel racconto, in 7 paragrafi. 😀
Mi piace la protagonista è molto ben tratteggiata nelle sue manie e nel suo vissuto.