Premio Racconti nella Rete 2019 “Non ho fatto in tempo” di Stefano Terrabuoni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Non ho fatto in tempo! Proprio non ce l’ho fatta, mi dispiace! Ora non vedo niente. Percepisco tanta gente che si dà da fare e tanto trambusto, ma non vedo niente. Certo! A me accade spesso di non vedere niente: sono la sua nuca! Da quando io e lui siamo nati. Eravamo nella culla e mentre lui guardava il soffitto, le apette che pendevano dall’alto, il sorriso di mamma e papà che faceva lo scemo con l’orsacchiotto, io vedevo solo il cuscino. Quando qualcuno ci sollevava e ci prendeva in braccio io potevo, finalmente, rendermi conto di dov’ero capitata. Per poco! Arrivava una mano gigantesca che mi fasciava completamente coprendomi tutta la visuale, mentre lui, beato, osservava il mondo emettendo grugniti incomprensibili.
Poi siamo cresciuti. Nessuno ci prendeva più in braccio, ma le cose non cambiarono molto; c’era sempre qualche parente zelante che gridava “Coprila quella creatura, che sennò si prende qualche accidente!”. E allora via con due giri di sciarpa che, oltre a non farmi vedere niente, mi facevano crepare di caldo. Per alcuni anni, passai i mesi invernali a vedere il mondo attraverso le maglie della lana. Quando raggiungemmo l’età in cui nessuna zia, nonna o madrina, poteva dire come vestirci, lui si fece crescere i capelli. Tra i 14 e i 18 anni ho visto il mondo dietro la tenda di una fluente chioma bionda che arrivava fino alle spalle.
Poi ci fu Matilde. Quanto gli piaceva quella ragazzetta! “Io preferisco gli uomini con i capelli corti” disse. Passammo la serata in mezzo a due specchi con lui che si tirava su la chioma e cercava di vedersi come sarebbe stato senza i capelli che gli arrivavano alle spalle. Fu una delle rare volte che ci vedemmo in faccia. Insomma: la sua di faccia. Il giorno dopo eravamo dal barbiere per un faticoso quanto inesorabile taglio militare. Matilde sparì, ma comparvero i complimenti delle altre, i capelli rimasero corti e io iniziai a vedere qualcosa del mondo che ci circondava.
Io vedo (quando vedo) quello che lui non vede e viceversa. È sempre stato così. All’inizio mi mancava la parte della sua visuale: rideva e non ne capivo i motivi; commentava e non sapevo per che cosa. Con il tempo, però, ho imparato ad apprezzare il piacere di stare dalla parte nascosta della luna. Si arrabbiava e metteva il muso? Solo io potevo vedere se lo prendevano sul serio o se gli ridevano dietro. Giocava a tennis? Io mi divertivo a vedere gli spettatori e i loro commenti. Osservavo gli altri che osservavano lui, i suoi vestiti, le sue movenze.
Abbiamo anche un nostro modo di comunicare. A volte lui intreccia le dita delle mani e le poggia delicatamente sopra di me, quasi a raccogliermi; è il suo modo di dirmi “Tutto bene piccola! Va tutto bene. Siamo io e te e nessuno ci separerà mai!” Oppure, quando siamo stanchi e tesi, si passa le due mani sui capelli e arriva fino a me; mi prende dai fianchi e mi stira come fossi un elastico. La circolazione aumenta e l’effetto benefico di quello stretching non si fa attendere. A volte mi dà dei colpetti nervosi con la mano destra che mi fanno male: lo fa quando c’è un problema ed è come se mi spronasse a trovare la soluzione: ma non sono mica io il cervello!
Anch’io comunico con lui. Ho solo tre modi per farlo. Il primo modo si chiama Brividino; è una piccola scossa che mando in superficie, quasi un pizzicore. Traduzione “Ehilà come vanno le cose? Tutto bene? Ci sei?” Lui reagisce sempre allo stesso modo: inconsciamente porta la mano destra sui capelli, scende fino da me e, quando arriva a coprirmi tutta, mi accarezza da un fianco all’altro come a rassicurarmi: “Ci sono, ci sono!” Uso questo modo quando si distrae e non vede le cose. Sta guardando le cosce di una e non vede l’autobus arrivare? Brividino. Sta facendo tardi girando e rigirando il cucchiaio nella tazza del caffellatte? Brividino, carezza e si riparte.
Poi c’è Brividone, il secondo modo. Mi vesto di una pelle d’oca che arriva fino all’attaccatura dei capelli; lui scuota la testa ed è un po’ come dirgli “Ehi guarda che succede!” Quando il cameriere gli dà un resto inferiore al previsto Brividone gli fa ricontare i soldi. Sta per fare una gaffe perché non si è accorto che sta arrivando una persona dietro di lui? Io invece la vedo e: Brividone! Scuote la testa e capisce che deve tacere.
E poi c’è il Brivido Blu: una vera e propria scossa elettrica che parte dalla prima cervicale fino alla seconda dorsale, che lo costringe a torcersi con tutto il corpo. È un vero e proprio urlo e lo uso di rado, solo in caso di pericolo. Come quella volta che eravamo fermi a un semaforo. Lui non vede quello che vedo io e non vedeva il camion che si avvicinava senza rallentare. Brividino: niente. Brividone: nulla. Caccio un urlo: Brivido Blu! Finalmente si scuote e nello specchietto vede la sagoma del pazzo che ci arriva addosso. È veloce: innesta la marcia e si scansa. Ci salvammo per miracolo.
Un’altra volta che ho usato il Brivido Blu è stato con Giuditta. Si era proprio innamorato di quella donna. Era veramente bella e lui era cotto come un arrosto. Avevano perfino deciso di sposarsi. Lui non vede quello che vedo io e non vedeva i messaggi che Giuditta mandava ai suoi amanti quando lui le voltava le spalle. Sì, Giuditta lo stava riempiendo di corna come un cesto di lumache. Cercai di avvisarlo quando vedevo la donna mandare i suoi messaggini fedifraghi. Brividino, ma lui niente; era innamorato perso. Mi passava la mano delicatamente sopra: “Va tutto bene piccola!”.
“Macché tutto bene! Non vedi che ti sta facendo quella?” Brividone. Ancora niente. Un muro mi avrebbe dato più soddisfazione. Così un giorno che vidi Giuditta intenta ad armeggiare col telefonino, gli mandai un Brivido Blu. Nello scrollarsi di dosso il mio urlo si voltò quel tanto che bastò perché Giuditta facesse una serie di mosse scomposte per nascondere quello che faceva. Lui si insospettì e alla prima occasione frugò nel suo telefono. Tragedia in casa. Giuditta cacciata con ignominia e lui depresso. Intere giornate passate a letto: lui a vedere il soffitto e io il cuscino. Che palle! Se lo sapevo gli lasciavo le corna.
Un pomeriggio di una domenica non ne potei più del panorama del cuscino e mi misi a urlare più forte che potevo. Si alzò di scatto e si ritrovò seduto sul letto senza nemmeno sapere perché. Andò in bagno a guardarsi allo specchio e lo sentii dire “Mai più innamorarsi, mai più relazioni serie! Ora voglio pensare a divertirmi.” E vai!
Da quel giorno siamo tornati a vivere; il sabato sera in discoteca, la domenica a tennis e le donne non mancavano. Certo, naturalmente c’ero io che vigilavo e lo avvisavo quando il rapporto si faceva troppo serio. Maria faceva finta di dimenticare lo spazzolino da denti? Brividino e magicamente lo spazzolino tornava nella sua borsa. Giovanna apriva di nascosto l’armadio per vedere se entravano i suoi vestiti? Brividone; il giorno dopo Giovanna non c’era più. Alla fine, però, a lui venivano sempre un po’ di sensi di colpa. Dopo un anno di queste storie si risolse a frequentare solo donne sposate. Era tutto più pratico! Non cercavano la convivenza, non dimenticavano nulla a casa, weekend e feste comandate sparivano, niente sensi di colpa. In effetti sembrava la soluzione perfetta.
Anche Conchita è sposata; una donna spagnola tutta curve e molto focosa. Il fatto è che anche Pablo, il marito, è molto focoso, ma in un altro senso. Io ero tutta assorta a sentire la mano di Conchita che mi accarezzava delicatamente e voluttuosamente mentre si baciavano. L’ho intravisto arrivare tra le due dita di lei. Brivido blu! Brivido blu! ho urlato, ma non ho fatto in tempo.
Mi sono vista luccicare una lama davanti e piantarsi sotto di me. Lui si è voltato dal dolore e l’ho percepito ricevere altri due colpi. Mi spiace, mi spiace, non ho fatto in tempo! Ora sono qui, non vedo nulla. Solo il pavimento. E sento freddo, tanto freddo. Non riesco a mandare nemmeno un brividino: non ho le forze. In lontananza sento una sirena: mi sembra un ambulanza. Eccola è arrivata! Mi sento sollevare: per pochi secondi vedo il pavimento rosso del suo sangue. Poi di nuovo nulla. Capisco di essere su una lettiga. Di nuovo la sirena: è l’ambulanza che parte a tutta velocità verso l’ospedale. Resisti!
Raccolgo tutte le mie forze per mandargli un piccolo segnale: Brividino! Sento la sua mano che mi sfiora. Ce la faremo anche questa volta!
Che dire? Tanto di cappello ad un punto di vista estremamente originale! Il codice-brividi è un colpo di genio e solidarietà alle nostre nuche che, con la loro “retro-prospettiva” fanno di tutto per farci vedere il mondo a 360 gradi, anche se, purtroppo, non sempre fanno in tempo! Fortissimo Stefano, mi è piaciuto molto.
Bel racconto decisamente fuori dagli schemi, mi è piaciuto molto!
Originale e travolgente. Questo racconto si fa leggere tutto d’un fiato, incuriosisce, intenerisce, fa sorridere… e rabbrividire! Un vero e proprio brivido blu. Qui, sulla nuca, proprio sul finale. Bravo, Stefano!