Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Il muro” di Daniele Baschenis

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Uscì sul pianerottolo sbattendosi la porta di casa alle spalle. Diede una rapida occhiata all’ascensore e decise di prendere le scale. I suoi tacchi, che scalpitavano sul pavimento di marmo, producevano un rumore metallico che ricordava gli zoccoli di un cavallo.

Era arrabbiata con suo marito. Erano giorni che lo vedeva andare in bagno, restarci cinque minuti e poi, dopo aver tirato l’acqua del water, uscirne pallido come un morto, e barcollando andare in cucina a versarsi un bicchiere di vino, e poi andarsi a sedere sulla sua poltrona, a sospirare.

“Cos’hai, Pino?” gli chiedeva lei.

E lui rispondeva: “Niente”. 

Quel giorno quando l’aveva visto andare in bagno, aveva aspettato un paio di minuti e gli aveva aperto la porta all’improvviso, mentre era ancora seduto sul water, e con uno spintone l’aveva fatto alzare e aveva visto la tazza tutta piena di sangue. “Ecco lo sapevo. Non potevi dirlo? Sei il solito cretino.” Gli aveva detto. “Bisogna chiamare subito il Dottor Chiari, quello che ti ha operato.” Gli aveva detto. E lui a dirle: “Macché. Non è niente. Sto bene.” Il cretino.

Aveva telefonato subito all’ospedale. Il numero lo sapeva. L’aveva segnato su un foglio che conservava proprio sotto al telefono. Per le emergenze. Sul biglietto c’erano anche scritti i giorni e gli orari in cui il dottore era in ospedale. Era stato il dottore stesso a dirle di chiamarlo, sempre, in caso di bisogno. E invece quella cretina della segretaria gli aveva detto che no, che lì non c’era nessun dottor Chiari. E allora lei aveva sbattuto giù la cornetta ed era uscita, per andare di persona all’ospedale. Sul biglietto c’era scritto chiaramente che il mercoledì pomeriggio il dottore era sempre in ospedale, dalle quattordici alle diciotto. E oggi era mercoledì.

In strada era una bella giornata di sole. Decise di prendere l’autobus per fare prima, anche se erano solo tre fermate fino all’ospedale. Non le sarebbe dispiaciuto camminare. Aveva ottantanove anni ma era ancora arzilla e camminava tutti i giorni. Andava a fare la spesa da sola. A trovare alcune vecchie del quartiere ormai rimbambite, che aiutava a fare i mestieri di casa o a cucinare. Lei si sentiva ancora giovane. Piena di energia. Mica come suo marito. Quello era sempre stato vecchio, anche da giovane. Se fosse stato per lui non sarebbero usciti mai di casa. Lui sarebbe stato sempre lì, sulla sua poltrona, a guardare la televisione con il suo bicchiere di vino in mano.

L’autobus era bello pieno. C’erano un sacco di giovani seduti, ma non uno che si alzasse e le cedesse il posto. Non che volesse sedersi, del resto. Anzi, quando un signore canuto sulla sessantina le offrì il suo posto lei rifiutò. “No, grazie. Sto in piedi. Ormai manca solo una fermata. Scendo alla prossima, grazie.” Gli aveva detto. Quello l’aveva guardata in modo strano, alzando le sopracciglia, e lei aveva avuto voglia di dirgli: “Non sono mica rimbambita!”.

L’ospedale le sembrava familiare, e allo stesso tempo le appariva molto diverso da quello dove, diversi anni addietro, era stato ricoverato suo marito. Come cambiano in fretta le cose! Però si ricordava benissimo come arrivare al reparto dove riceveva il dottor Chiari. Ci arrivò subito senza dover chiedere niente a nessuno e senza neanche dover guardare i cartelli.

In corsia fermò un’infermiera grossissima. “Scusi, dove riceve il dottor Chiari?” le chiese. Quella storse un po’ la bocca e scosse la testa. “Ma è sicura di essere al piano giusto? Comunque chieda alla segretaria del dottor Tironi. Nell’ultima porta a destra.”

“Ma queste ragazzette dove hanno la testa? Non sanno neanche che dottori lavoravano nel piano? Che disservizio!” Si ripeteva.

Aprì la porta che le era stata indicata, con veemenza. Si ritrovò di fronte ad una ragazza sui trent’anni, vestita da infermiera, con i capelli tinti di biondo, il trucco sugli occhi e troppi orecchini. Volgarotta, come tutte le ragazze di oggi.

“Buongiorno!” disse subito. “Devo vedere subito il dottor Chiari!”

L’infermiera, o segretaria che fosse, la guardò come un’ebete, spalancando i suoi occhi truccati.

“Signora. Qui non c’è nessun dottor Chiari.”

“Come no? Certo che c’è! Ha operato mio marito! Volete farmi passare per fessa? È il dottor Chiari in persona che mi ha detto di chiamarlo, signorina!”

“Ma a questo piano oggi riceve il dottor Tironi…”

“Tironi? Mi prende in giro, signorina? Tironi è mio marito!”

“Suo marito?” domandò l’infermiera stupita, osservandola con curiosità. “Ma scusi, signora, lei come si chiama?”

“Io sono Maria Manenti! Insomma! Vuole chiamare o no il dottor Chiari?”

All’improvviso l’espressione dell’infermiera mutò. Si alzò in piedi e le sorrise in modo compassionevole. “Ma cosa c’ha questa da ridere?” pensò la signora Maria.

“Scusi, signora Manenti. Io sono nuova qui. Ha ragione. Il dottor… Chiari… mi ha parlato di lei. Al telefono non avevo capito il suo nome. Glielo chiamo subito, non si preoccupi.”

“Sarebbe anche ora, insomma! C’avete una bella confusione in testa, voi ragazze!” le aveva detto Maria. Poi si era messa lì sull’attenti ad aspettare. Con la sua espressione severa stampata in volto. “La generalessa”, la chiamava suo marito, per prenderla in giro.

Pochi minuti dopo, ecco arrivare il dottor Chiari. Le andava incontro con un bel sorriso. Era un bell’uomo, alto e spallato, il dottor Chiari. Il camice bianco gli donava. Era un cinquantenne completamente calvo, con una mascella squadrata e belle labbra carnose, e due grandi occhi neri, buoni. Solo guardandolo, Maria si sentiva già più tranquilla.

Mentre lo osservava avvicinarsi, chissà perché, le venne in mente una volta che era andata con Pino in Veneto, al paese dove erano nati, per fare la vendemmia. Ci andavano quasi ogni anno quando erano più giovani. Quell’anno per il pranzo era stato allestito un grande tendone di plastica, sorretto da una struttura di tubi in ferro, sotto il quale erano stati sistemati dei tavoli e delle panche in legno. Insomma era lì seduta a mangiare con Pino, con lo sguardo rivolto verso il tendone, e avrebbe detto che la plastica fosse bianca, come un muro intonacato. Ma, a un tratto, forse per causa di un colpo di vento, forse per un lieve cambiamento della luce solare, ecco che il tendone era diventato per un attimo trasparente e lei aveva potuto vedere al di là, dove c’era un enorme salice piangente, proprio come quelli sotto i quali amava giocare da bambina. Era rimasta così affascinata che per tutto il pranzo aveva seguitato a fissare il tendone, bianco come un muro, nell’attesa che diventasse di nuovo trasparente, mentre Pino al suo fianco non si era accorto di niente e continuava a ingozzarsi e a tracannare vino. Ma perché le veniva in mente questa storia, proprio adesso?

“Buongiorno, signora Maria. Come andiamo?” la salutò calorosamente il dottore. La squadrò tutta e si soffermò per un attimo a guardarle i piedi. Lei abbassò lo sguardo e si accorse di essersi messa due scarpe diverse, la destra marrone e la sinistra nera. Che vergogna!

“Salve, dottore. Io sto bene, grazie. Ma mio marito, povero diavolo, non va mica bene. Quando… va in bagno, perde tanto di quel sangue! Un sangue marrone, dottore. Mi sa che non gliel’avete tolto tutto, il tumore. Oppure si è riformato. Comunque l’ho chiamata perché vorrei che venisse a casa a visitarlo. Ma poi la sua segretaria… mi ha detto che non c’era in ospedale. Allora sono venuta qui di corsa.”

Il dottore le sorrise di nuovo, in modo rassicurante. I suoi occhi però sembravano un po’ tristi, e forse addirittura lucidi. “Non avrà forse dei problemi a casa?” si domandò Maria, e sentì di essere preoccupata per lui. 

“Ha fatto benissimo, signora. Non si preoccupi. Ci andiamo insieme, a casa sua, a visitare suo marito, tra pochissimo. Mi aspetti solo qualche minuto. Si sieda qui. Finisco una visita e poi l’accompagno.”

“Grazie, dottore. Allora mi siedo qui.”

“Si, si. Si accomodi… Francesca!” chiamò la sua segretaria infermiera. “Per favore si assicuri che la signora Maria abbia tutto ciò di cui ha bisogno. E rimandi tutti i miei appuntamenti di oggi. Grazie.”

Maria guardò la ragazza con aria trionfante. E si sedette.

“Tutto bene, signora Maria? Le va bene qui?” le chiese quella.

“Si. Tutto bene, grazie. Vada pure.” le rispose la generalessa.

Il dottor Chiari era proprio un bravo ragazzo. Era davvero premuroso. L’aveva riaccompagnata a casa in macchina. Si ricordava benissimo la strada. E poi le aveva chiesto: “Dove è suo marito, signora?”. Lei gli aveva risposto che era a letto, in camera. E subito lui era entrato là per visitarlo. Lei era rimasta fuori dalla porta, in apprensione. Sentiva il dottore parlare, ma non riusciva a distinguere le parole. Doveva ammettere che il suo udito non era più quello di quando era più giovane. Poi il dottor Chiari era uscito e l’aveva guardata dritto in faccia, con un’espressione seria.

“Mi dica, dottore. Non mi tenga sulle spine. Come sta?” gli aveva chiesto Maria.

“Venga in salotto, signora. Si sieda un attimo.” le aveva detto lui.

L’aveva accompagnata a sedersi sulla poltrona di suo marito, tenendola per mano.

“Si rilassi un po’” le aveva detto. E lei aveva appoggiato la schiena sulla poltrona. E poi anche la testa. Ed era rimasta qualche secondo con lo sguardo perso di fronte a sé, socchiudendo un poco gli occhi. Il dottore si era seduto al suo fianco, sul divano.

“Sarò franco con lei, signora. Suo marito non sta molto bene. Certo, si riprenderà. Non si preoccupi. Ma credo sia meglio che venga qui a vivere con voi un’infermiera. So che non le piace l’idea di avere una sconosciuta in casa, ma sa… potrebbe aiutarla a prendersi cura di suo marito!”

Lei rimaneva ferma. Chiuse gli occhi. Si sentiva stanca. Esausta.

“Mi ha sentito, signora?” le aveva chiesto il dottore.

Si era girata a guardarlo. Lo guardò bene, strizzando gli occhi, per una decina di secondi, senza dire nulla. Qualcosa non le tornava. Avrebbe voluto chiedere qualcosa al dottore, ma non riusciva a ricordare cosa. Prese fiato, dischiuse le labbra, ma non disse nulla. Era proprio un bell’uomo, il dottore, pensò. Raddrizzò di nuovo la testa, la appoggiò alla poltrona, e ricominciò a fissare l’intonaco bianco del muro.

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2 commenti »

  1. Storia tenera e malinconica, soprattutto perché raccontata da una donna di 89 anni invece che da un osservatore esterno. Molto ben scritta, con immagini che ti fanno entrare subito nei pensieri della protagonista e te la fanno vedere con tutta la sua fragilità. Complimenti

  2. ringrazio per i complimenti ricevuti e colgo l’occasione per informare chi volesse leggere altri miei racconti brevi che è disponibile su amazon una mia raccolta col titolo “rette parallele” pubblcata nel giugno 2018. grazie di cuore. daniele.

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