Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Universo pallido” di Silvia Ruggeri

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

La sentivo gridare sotto quel suo cielo nero. Davanti a me un urlo silenzioso, non verbale.
Era molto giovane. E bella.
Quel suo maglione largo e le maniche da tirare ossessivamente per non dare aria nemmeno ai polsi, le labbra rinsecchite da mordicchiare, i segni invisibili negli occhi pallidi, le crepe modellate da lacrime acide che dalle guance consumate scendevano fino al petto, lo sguardo perduto, le unghie rotte. Poteva restare nel silenzio quanto voleva con me, gridare nell’ombra, le parole avrebbero dato luce ad una storia maledetta che adesso non serviva.
Non conoscevo quasi niente, ma anche lei ancora non sapeva. Non sapeva che volevo ascoltare le sue urla trattenute sotto la lingua, che ero lì e non sarei andata da nessuna altra parte. Non sapeva che la debolezza e la forza possono essere la stessa cosa, si alimentano vicendevolmente in un ingranaggio quasi perfetto. Non sapeva che avrebbe ancora potuto riaprire quelle mani per stringerle, intrecciandole, in altre, e che un giorno forse avrebbe potuto ferire il suo artefice ma non le sarebbe importato più nulla. In quel giorno sarebbe stata temibile solo per una di quelle cose che, una volta apprese, non si dimenticano più. Aver imparato a sopravvivere.

“Sono felice che tu sia qui”, le dissi accennando un sorriso e inchinando la testa con la speranza di incrociare il suo sguardo. Lo intercettai, appena.
Ero felice davvero. Quando una persona si presenta da noi, trova il coraggio di uscire da casa, cammina impaurita con il pensiero fisso ed alternato tra la paura di sbagliare e il desiderio di salvarsi, apre la porta dello studio e si siede in sala d’attesa, ha già scelto.
Ha scelto di uscire dal silenzio e dalla solitudine, di iniziare a sbrogliare un nodo stretto tra la gola e l’anima, di sciogliere lacrime ghiacciate, di ritornare a vivere.
Segretamente, quanto è sempre intensa la speranza che arrivi qualcuno, con la virtù della pazienza e del tempo, ad indicare una direzione, prendere il capo del filo per iniziare a sbrogliare tutti i nodi, riavvolgendolo come fosse un lungo abbraccio. E da lì, ricominciare. Insieme.
Perché i nodi alla fine emergono, si mettono in luce. Da se stessi non si può fuggire per sempre. Arriva un momento per fare ritorno, ripresentarsi all’appello, che sia davanti ad uno specchio o ad una folla intera.
“Cosa posso fare per te?”, continuai.
Lei, strisciando i denti sulle crepe secche delle sue labbra, inumidì la bocca, indecisa se aprirla per non chiuderla più o alzarsi e andarsene. Rimase in silenzio ed io con lei.
Aspettai, volevo che capisse che in quel momento non contavano i miei tempi ma solo i suoi.
Dopo pochi minuti, uscì una voce flebile, delicata.
“Ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di aiuto per riappropriarmi della mia identità. Persa”.
“Ti senti persa?”, chiesi cercando di incalzare il dialogo.
“Si. Non sono più io. Sono un fantasma, il suo”.
“Come ti chiami?”, continuai a chiederle.
“Mariasole” rispose strisciando le mani sudate sul jeans e affondando le dita tra gli strappi, dentro la carne. “Questo non è il nome di un fantasma. Lo sai vero?”, accennai un altro sorriso.
“È lui che mi ha ridotta così. Ha continuato a ripetere di amarmi, di non poter pensare ad una vita senza il suo Universo, senza il suo Sole. E io fino a ieri gli ho creduto, nonostante tutto”, mi guardò per la prima volta dritta negli occhi, con uno sguardo profondo, gelido, rabbioso.
Ho sempre creduto che, quando ciò che più hai di vitale non può essere amato con cura e attenzione, e lo senti diventare secco e fragile, l’unica possibilità per preservare la sua integrità è lasciare carta bianca al freddo, in attesa che lo congeli.
E lei era diventata così, congelata e rigida, pallida.
Iniziai a sentire sulla mia pelle il freddo, brividi non resistenti al contagio diffusi ovunque.
“Perché fino a ieri? Cosa è successo ieri?”, cambiai posizione sulla sedia, mi sentivo stretta, l’aria sembrava assente.
“È così che sarebbe dovuta andare, se non gli avessi creduto”, continuò seria, penetrandomi gli occhi. “Io che arrivo qui, mi siedo, parlo, racconto la mia storia, le chiedo aiuto”.
“Sta andando così, non ti sembra?”, le chiesi confusa.
“È tardi. Ieri è già passato”, disse toccandosi il collo livido.
Mi irrigidì, volevo alzarmi dalla sedia ma non lo feci, non volevo darle un segnale sbagliato, di chiusura.
“Non voglio sembrarti insistente, non sei obbligata al racconto, ma continui a ripetermi che è tardi. E tu sei così pallida, sono sinceramente preoccupata per te. Ti va di dirmi cosa è successo ieri?”, decisi di legarmi i capelli, tengo sempre un elastico nel cassetto della mia scrivania. Il gelo aveva contagiato anche loro, li sentivo come fredde e pressanti stalattiti sulla schiena intirizzita ed io ero diventata nervosamente inquieta. Mi stava sfuggendo qualcosa e lei mi stava legando ai suoi nodi, forse manipolandomi.
“Vuole sapere davvero cosa mi è successo ieri? È finito il mio Universo. Tutto per me è finito. Sono arrivata qui troppo tardi. Non potevo commettere errore più grave, credergli”.
“Ora sei qui, questo è importante. Non sei sola, vorrei che tu lo capissi”, cercai di ripeterle con tono rassicurante.
“Ieri è già passato. Non sarei dovuta rientrare in casa ma non sapevo dove andare, ero stanca. Volevo lavarmi, mi sentivo sporca. Mi vergogno, è umiliante raccontare cosa succede tra quelle mura infuocate e maledette…”, disse piangendo.
“Hai detto bene, ieri è passato ma oggi sei qui”, continuai ad insistere.
“Non sono qui…”
“Mi guardi. Cosa vede?”, fissandomi mi diede la risposta impronunciabile. Mi raggelò, non sentivo più niente, le labbra si cucirono e rimasi in silenzio.
“Sono morta ieri. Vuole sapere cosa è successo? Mi ha uccisa”.

Mi arrivò un pugno, una morsa allo stomaco, che mi svegliò. Ero tutta sudata. Il gelo si trasformò in caldo, in sudore appiccicoso. La schiena adesso era bagnata, avrei potuto strizzarla e lo avrei fatto, anche solo per rendermi conto quale fosse la realtà.
Mi alzai per bere un bicchiere d’acqua e mi infilai in doccia. Continuai a pensare: non solo esistono sogni che ricordiamo al mattino e rendono cosciente ciò che non lo è, oltre a quelli che la memoria sembra non conservare per paura di esporli alla forza disinfettante della luce del giorno. Ma esistono notti in cui proprio questi sogni, seguendo una minuziosa architettura interna della nostra mente, diventano illuminanti e potenti lenti di ingrandimento su particolari che nella realtà avevamo inconsciamente deciso di non guardare.

Prima di precipitarmi a lavoro, mi fermai a comprare un quotidiano. Forse avrei letto di lei o forse Mariasole si sarebbe presentata oggi al centro antiviolenza. Nella realtà non avrebbe provato vergogna e avrebbe scelto il giorno giusto per venire qui, non aspettando di cercarmi in sogno per mostrarmi il suo senso di umiliazione e schiaffeggiarmi con quello di impotenza che mi appartiene.
E invece forse aveva ragione, per lei era troppo tardi. Era già morta.
Il sogno di stanotte ha urlato con potenza che è un errore enorme lasciare andare le cose ad una flebile rassegnazione.
Tutto questo non poteva dipendere solo da me, né solo da lei. Da soli siamo spesso impotenti. E si legge dappertutto.
Negli occhi, sulle labbra, tra le dita, sulla schiena e nei capelli, miei e di tutti gli universi pallidi che si siedono su queste sedie strette e chiedono aiuto.
Spesso salvandosi.

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17 commenti »

  1. Certo, anticipare il futuro è un’operazione improba… capisco il bisogno di raccontare in equilibrio su una porta che non si sa si aprirà o resterà chiusa, anche se non per propria responsabilità. touché.

  2. Certo, anticipare il futuro è un’operazione improba… capisco il bisogno di raccontare in attesa davanti ad una porta che non si sa se si aprirà o resterà chiusa, seppure non per propria responsabilità. Touché.

  3. Ti ringrazio ????

  4. Il quotidiano doloroso che viene a trovarti anche nel momento del riposo. Impossibile chiudere la porta e lasciarsi dietro il racconto di certi vissuti: ce lo ha reso bene la protagonista.
    Complimenti.

  5. Grazie mille

  6. Non so perché sono stati aggiunti i punti interrogativi ???? grazie ancora per il tuo commento ????

  7. Non so perché sono stati aggiunti i punti interrogativi… grazie ancora per il tuo commento

  8. Bellissimo l’incipit, in cui descrivi questa figura nera, rotta, spaccata, come dimostrano i segni sul suo corpo. Ben riuscita anche la trovata del freddo, del gelo che si fa brivido irrequieto sulla pelle della protagonista. Mariasole viveva nell’illusione di avere amore, di essere un pianeta orbitante attorno a questo sentimento e al suo uomo. Quando tutto questo è finito è ghiacciata, è diventata un universo morto, pallido e freddo. Resta però un barlume, il sole non si è del tutto spento: c’è una sedia che aspetta e qualcuno che sa ascoltare. E tu, Silvia, che hai saputo trasmettere questo importante messaggio. Brava!

  9. Hai colto elementi per me importanti, a testimonianza del fatto che le mie parole, con i loro significati, sono arrivate…ti ringrazio molto per il tuo commento!

  10. Il dramma di esistenze difficili è sempre inquietante. Interessante.

  11. Grazie!

  12. Bello, intenso, emozionante, mi piace l’idea del sogno

    enrica Suprani

  13. Ti ringrazio, mi fa piacere sia piaciuta l’idea…

  14. Molto intenso, a tratti agghiacciante questo racconto che è uno spaccato di attualità. Il nome che hai scelto, Mariasole, lascia filtrare un raggio di speranza. Saper acoltare, vedere certi segni, tendere una mano è un primo aiuto affinché quel raggio non si spenga. Piaciuto molto.

  15. Sono davvero contenta ti sia piaciuto, grazie per la lettura e per il commento!

  16. vedo Mariasole che si salva, ne sono felice. Brava!

  17. Ti ringrazio molto

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