Premio Racconti nella Rete 2019 “Tempus Fugit” di Giordano Vecchietti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019(a mia figlia mai nata)
Ciao piccolina, è il tuo papà che ti scrive.
Scusami se non l’ho fatto prima, ma fino a oggi non ho trovato il coraggio di affrontare questo dialogo sia pure ideale con te e liberare quei pensieri mai espressi in tanti anni e rimasti nascosti in un oscuro luogo all’interno del mio cuore come un pesante fardello.
“Sed fugit interea fugit irreparabile tempus“, il tempo fugge irreparabilmente, sostiene Virgilio nelle Georgiche.
Il tempo che passa non ritorna più, in un continuo ed eterno rincorrersi di secondi, minuti, ore, giorni, come un’inesorabile clessidra che dalla tua nascita, a partire dal primo vagito, granello dopo granello inizia a far scendere lentamente la sabbia dell’esistenza nella sua parte inferiore, dando così il via a quel viaggio che poi in un giorno scelto dal fato, porterà alla discesa di quell’ultimo granello e al raggiungimento dell’ultimo traguardo finale.
Il tempo per me si è come fermato a quel mattino del 15 aprile di vent’anni fa, quando non sei potuta sbocciare alla vita.
“Per i genitori, sopravvivere ai propri figli” – ha detto recentemente Papa Francesco – “è qualcosa di particolarmente straziante, che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa. La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. La morte, che si porta via il figlio piccolo o giovane, è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere”.
Eri qualcosa di
meraviglioso che attendevamo con gioia, el
angelito che avrebbe dato un senso alla vita di tanti che ti aspettavano
emozionati, che avrebbe reso felice me, papà per la prima volta ai miei quasi quaranta
anni, la tua mamma e la tua sorellina che aveva preparato tanti regalini per
te.
La tua abuelita Matilde, in Cile, ti aspettava come un grande dono che giungeva alla sua età avanzata, nel suo tempo ormai finale di vita. Era fiera, orgogliosa, perché saresti stata la prima nipote di quattordici a portare finalmente il suo nome.
Invece sei stata come un bel fiore appassito ancora prima di fiorire.
Un tempo infinito di tristezza, beffardo, cinico, maledetto, che non avrei voluto fosse mai arrivato, con la voglia di riavvolgerlo per non soffrire, per non restare come paralizzato difronte a quel grande buco nero che si apre nella vita delle persone e a cui non sappiamo dare alcuna spiegazione.
“Il tempo è il miglior medico”, recita un proverbio Yiddish, e frasi simili sulle proprietà terapeutiche del suo scorrere per “sanare le ferite” sono spesso usate per consolare le persone, quasi che fosse una grande spugna che può piano piano cancellare ricordi, dolore, viso, voce e suoni della persona scomparsa.
Magari per molti è davvero così, ma per me il tempo è solo il ricordo della tua mancanza che si rinnova ogni giorno, di quelle cose che avremmo potuto fare e vivere insieme e che mi sono state negate con violenza e perfidia da un destino crudele.
Lo scorrere del tempo,
del susseguirsi di ore, giornate, settimane, mesi e anni, è un rimpianto
doloroso e continuo, lacerante e a volte quasi asfissiante, con domande alle
quali non c’è risposta sul perché non mi sia stato concesso di goderti, di
sbaciucchiarti tutta, di coccolarti e amarti teneramente con tutto il mio cuore.
Non ho potuto vederti piccolina e indifesa sgambettare tra le mie braccia, non ho visto lo spuntare del tuo primo dentino, non ti ho sentito pronunciare per la prima volta la parola “mamma” e poi la parola “papà” che avrebbe fatto sciogliere come neve al sole la mia scorza di uomo adulto, non ho potuto vederti muovere i primi indecisi passi ed essere vicino a te per incoraggiarti, non ho potuto metterti a letto la sera restando vicino a te per raccontarti le favole, non ho potuto coccolarti alle tue prime malattie d’infanzia accarezzandoti i capelli e il viso e rassicurandoti che la “bua” sarebbe passata presto, non ho potuto vedere insieme a te i cartoni animati della Disney che tanto avresti amato, da “Biancaneve” a “Robin Hood” e altri ancora, non ho potuto insegnarti e cantare insieme a te quelle belle canzoncine dell’infanzia, non ho potuto vederti giocare con altri bimbi, non ho potuto vedere la tua reazione sorpresa ai regali trovati sotto l’albero di Natale pensando che era passato Babbo Natale a lasciarteli dopo aver letto la letterina che avevamo scritto insieme, non ho potuto accompagnarti per il tuo primo giorno di scuola, non ho potuto passare con te i tanti giorni pieni di emozione come i tuoi compleanni, non sei potuta essere l’amore coccolata dai nonni, dagli zii, non ho potuto vedere la tua emozione della prima volta che avresti visto l’immensità del mare o l’imponenza della Basilica di San Pietro o la maestosità della Cordigliera delle Ande, non ho potuto vedere le tue reazioni, il tuo stupore della tua prima volta in volo sull’aereo che ci avrebbe condotto a conoscere la tua abuelita in Cile.
Non ti ho visto
crescere, non ho potuto parlarti del tuo nonno partigiano Nando, dell’altro tuo
nonno Armando, della loro vita difficile e troncata per entrambi in un’età
troppo giovane, non ho potuto parlarti dei valori della solidarietà e
dell’amicizia, del perché stare sempre dalla parte dei più deboli, non ho
potuto essere orgoglioso dei tuoi progressi sia nella scuola che nella vita,
non ho potuto infine vederti alle prese con i tuoi primi amori e diventare giorno
dopo giorno una donna adulta che sono sicuro mi avrebbe reso molto fiero.
Il tempo è così incredibilmente prezioso, e ci fa spaventare quando scorre così velocemente che a volte non ci rendiamo neanche conto di quello che abbiamo o non abbiamo fatto.
A me questo tempo, questa paura è stata negata e non mi potrò più rendere conto di ciò che insieme a te non ho mai potuto fare.
La tua mamma tempo fa è venuta a cercarti.
Non ce la faceva più a restare lontano da te e aveva tanta voglia di riabbracciarti e farti tante coccole, quelle che anche a lei erano state negate.
Lo sai Tesoro che quando qualche volta ti penso immaginandoti vicino a me, mi si stringe il cuore e mi viene una gran voglia di piangere?
E allora sai che faccio? Ascolto una canzone dolce e amara al tempo stesso: “Rin del angelito” di Violeta Parra, che mi consola un po’ e mi fa pensare a te come quell’angioletto volato in Cielo per far da tramite tra noi e Dio, per dirgli le nostre sofferenze e nella speranza che ci ascolti, come vuole la tradizione popolare sudamericana.
La mia vita segue avanti, come è naturale che sia, con i granelli del tempo che passano inesorabilmente da una parte all’altra della clessidra.
Gli anni crescono e cerco di fare quelle cose che mi fanno sentire ancora utile o che nella vita avrei voluto fare e che per mille ragioni sono sempre restate in secondo piano.
Cesare Pavese afferma che “Il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio. Il dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria. È impalpabile, sfugge a ogni presa e a ogni lotta; vive nel tempo, è la stessa cosa che il tempo; se ha dei sussulti e degli urli, li ha soltanto per lasciar meglio indifeso chi soffre, negli istanti che seguiranno, nei lunghi istanti in cui si riassapora lo strazio passato e si aspetta il successivo”.
“Tempus fugit, amor manet”, mio piccolo angelito, mia dolce Elena Matilde.
il tuo papito
E’ una lettera struggente, il dolore della perdita arriva forte.. complimenti!
Grazie Isabella, erano 20 anni che tenevo tutto dentro…