Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “Quell’uomo” di Francesca D’Arrigo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Quell’uomo aveva occhi stretti.
Quell’uomo aveva occhi zuppi.
Quell’uomo aveva occhi stretti e zuppi d’inferno appena spiovuto.
La pelle e i capelli opachi si confondevano con la notte.
Quell’uomo aveva camminato tanto. Dentro calzari infranti, remando a braccia nella vita. Per itinerari rotti.
Quell’uomo non incontrò mai sogni.
Quell’uomo seminava sogni.
Non incontrò ampie fantasie da saldare in fretta.
Quell’uomo regalava fantasie.
Ora, era smanioso di serrare l’ombrello, del tempo, e riposare. Per poco.
Riposare solo qualche ora. Le mani intrufolate negli incavi a cercare qualcosa. Non era lì. Sognare non costa nulla e nulla costa cercare. Nelle tasche.
Una cicca, un cerino, stralci stracciati, d’un libro.
Stracci dispersi, stracci trovati, presi e riposti con cura. Nelle tasche.
Nel palmo mezzo mozzicone – consumato – e un vecchio accendino. Dimenticato, chissà quando e da chi, in un bar. L’aveva visto raccattato e incassato.
A pochi passi una panca, proprio di fronte una scorza di sole riflesso, in un guscio d’acqua. Dissalata.
Si sedette, finalmente, per un attimo di sosta. Vicino al lago.
Quell’uomo l’avevo già incontrato.
Quell’uomo aveva volubili occhi – felini – d’un limpido verde. Verde screziato a macchie di storie infinite che variavano – a poco a poco – in verde incupito da storie finite.
Quell’uomo dirigeva dritto – sicuro – asciutto sotto la pioggia.
Sembrava che l’acqua non lo sfiorasse, impenetrabile e idrofugo, il suo corpo.
Materia inafferrabile, per un arrivo dall’incedere impermeabile.
Arrivo indefinito, e assorto, come i suoi pensieri.
Quell’uomo aveva un profumo domestico. Come pane caldo.
Lo percepii – nettamente – quando mi passò accanto, senza guardare.
Era odore di lampi domati e pranzi quotidiani, di sorrisi e rimbrotti, di confidenze e lunghi silenzi.
Quell’uomo sparì d’improvviso mentre, pieno, aspirava il mozzicone. In un riposo che si scioglieva nelle ossa.
Sparì tra gocce di primo pomeriggio – persuaso – viaggiando verso il lago, lasciandomi un saluto da raccogliere con la mano.
La mano – la mia mano – accarezza la panchina sulla quale sono seduta. Sulla quale era seduto. Le dita ripercorrono con garbo le venature del legno – umido e navigato – con un tocco domestico e familiare. Corteccia matura con stagionate increspature. Delicato tocco del piano, spianato, assetato di linfa.
Lo sfioro, sorridendo tra lacrime che si spengono in una cicca: un mozzicone di fumo. Come la tua vita. Come la mia vita. Ciao papà.

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2 commenti »

  1. sempre piacevole il tuo modo di plasmare le immagini a parole, e sempre rivolto a uno spazio nascosto il tuo sguardo.
    in bocca al lupo
    gio

  2. bello ricordare così

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