Premio Racconti nella Rete 2010 “Non è mai troppo tardi” di Antonella Chirici
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Nonna era una personcina piccola.
Minuta e ben proporzionata possedeva il portamento di una regina e la forza di un carro armato.
Aveva sempre vissuto in campagna ed era abituata a lavorare duramente. L’orto, le galline ed i conigli e un po’ più lontano da casa un pezzo di terra aspra con una ventina di alberi d’olivo, insieme alle faccende domestiche, assorbivano completamente le sue giornate.
Nonno non c’era quasi mai.
Lui faceva il camionista e tornava a casa ogni due o tre giorni. A volte stava via anche una intera settimana, ma quando tornava aveva sempre dei regali per quella sua piccola moglie dolce e un po’ rude che amava teneramente.
Ricordo ancora i suoi racconti di vecchia, quando le tornava alla mente la sua giovinezza, gli anni della guerra e poi dopo, quando la guerra finì e si cominciarono a trovare di nuovo calze di seta.
Il nonno gliele portava spesso e lei le sfoggiava orgogliosa la domenica per andare a messa, con il tailleur nero e le scarpe col tacco.
Indossare le calze era un lavoro che doveva essere fatto con l’aiuto di un paio di guanti di cotone sottile perché le mani erano costantemente screpolate e senza guanti si tiravano i fili e si rischiava di romperle.
Vivere in campagna con l’orto e gli animali aveva consentito ai nonni di passarsela abbastanza bene anche negli anni del regime fascista, solo per un periodo avevano dovuto lasciare i figli, un maschio e una femmina, in un istituto di suore, il “collegio”, perché il nonno non aveva mai voluto prendere la tessera del partito e c’era stato un momento in cui era impossibile riuscire a lavorare.
Nonna allora aveva trovato un posto in una fabbrica di confezioni ma l’orario non le consentiva di accudire anche ai ragazzi.
Andavano a trovarli la domenica e una volta che non stavano bene e c’era bisogno di una visita in più, nonna avvicinò la mano al nastro che tagliava la stoffa dei cappotti.
Era l’unico sistema per avere qualche giorno libero che altrimenti non le avrebbero concesso.
Sapeva fare mille cose, si intendeva di erbe, di fasi lunari e conosceva la terra, cucinava in modo fantastico, cuciva, ricamava, lavorava a maglia ma non sapeva leggere né scrivere e questo era il suo grande cruccio.
A volte da bambina, quando mi lamentavo per i troppi compiti, mi guardava diritta negli occhi con uno sguardo che trapassava parte a parte e mi diceva con tono duro: “ Studia! Imparare e conoscere il mondo è la cosa più sana che puoi fare. Studia!”
Era il nonno che trattava tutta la parte burocratica della loro vita e finché ci fu lui nonna visse tranquilla occupandosi di tutto ciò che non necessitava di carta e penna.
A modo loro si sentivano benestanti, mia madre e mio zio andavano a scuola con le scarpe invece che con gli zoccoli e per merenda avevano spesso dei biscotti oppure pane bianco e marmellata quando la maggior parte dei compagni mangiava pane nero, duro di giorni e quando andava bene sbocconcellato insieme a un pezzo di panino bianco che veniva gustato a piccole briciole come un dolce natalizio.
Pane con pane, nero per calmare la fame, bianco per deliziare il palato!
Spesso al pomeriggio, quando i figli stanchi dei giochi rientravano in casa per la merenda, tutto il gruppo degli amici si univa a loro in un piccolo corteo affamato che nonna acquietava con grandi fette di pane, pomodoro, olio e sale.
Il figlio maschio fu mandato anche alle medie e poi alle superiori e quando si diplomò ragioniere i nonni ne furono particolarmente orgogliosi. Riuscire a far studiare un figlio ed a farlo arrivare a certi livelli faceva crescere non solo il suo prestigio, ma quello di tutta la famiglia, specialmente se si viveva, come loro, in un borgo di campagna dove le persone più importanti erano il curato ed il dottore e specialmente se si era scelto, come coraggiosamente avevano fatto, di rimanere svincolati da aiuti cosiddetti “di partito”.
Un giorno nonno arrivò con una grande scatola e piazzò in salotto un meraviglioso televisore, era uno dei primi del paese ed il nonno ne andava particolarmente fiero. Era un grande apparecchio con un piccolo schermo che quando si accendeva era capace di catalizzare l’attenzione di tutti i presenti facendo dimenticare che c’erano anche altre cose da fare.
Nonna ne fu abbastanza turbata, la presenza di quella scatola magica la lasciava perplessa, il fatto che entrassero nella sua casa attraverso quel piccolo schermo così tante persone non invitate la faceva innervosire.
Vedere poi che passavano sotto gli occhi del nonno tante belle signorine le scatenava dei veri e propri attacchi di gelosia che lui, sorridendo con la sua solita calma biblica, comunque faticava a contenere.
Qualche anno dopo, in una meravigliosa giornata di sole, il nonno morì, lasciando nonna disperata e sola.
Sola, perché i figli ormai grandi si erano trasferiti in due città diverse per lavoro ed andavano a trovarla quando potevano.
Era rimasta sola in quella sua grande casa in unica compagnia della scatola magica con cui aveva un pessimo rapporto.
Inoltre, adesso che nonno non c’era più, ogni volta che il postino suonava alla porta per lei era un tuffo al cuore. Si vergognava a chiedere a lui di leggerle lettere e corrispondenza varia, sarebbe equivalso a far sapere a tutto il paese che non sapeva leggere.
Non l’avrebbe sopportato.
I figli non potevano aiutarla e quei piccoli segni senza significato tracciati o stampati su quelle carte stavano diventando un incubo.
L’unica persona a cui aveva potuto chiedere aiuto era stato il curato che aveva decifrato bollette, fatture e qualche comunicazione indirizzata al defunto marito da parte di ditte che ancora non erano a conoscenza del suo decesso.
Nonostante che il curato, con infinita gentilezza, si fosse offerto di fornirle tutto l’aiuto che le fosse occorso, nonna non era soddisfatta.
Un poco più sollevata sì, e in grado di provvedere alle urgenze ed alle scadenze ma sentiva crescere in modo forte, quasi prepotente, l’esigenza non più rimandabile, di imparare ciò che la vita fino a quel momento le aveva negato e che lei stessa si era negata pensando di potersi appoggiare sempre al suo compagno e mai immaginandosi di dover vivere senza di lui.
Fu proprio il curato, un giorno, a suggerirle la soluzione.
“Cara figliola – le disse – tu hai la fortuna di avere in casa tua la televisione, accendila ogni sera prima di cena e guarda la trasmissione del maestro Manzi. Sta insegnando a leggere ed a scrivere a tutta l’Italia, imparerai anche tu!”
Nonna tornò a casa perplessa e rimase una serata intera seduta in salotto a guardare quella scatola spenta per cui provava sentimenti così contrastanti. Sarebbe stata lei la soluzione dei suoi crucci? E come avrebbe fatto quella scatola ad insegnarle una cosa che nella sua testa era la più complicata del mondo?
Provò ad accenderla all’ora che le aveva detto il curato e si trovò davanti alla figura di un bel giovane, elegante e disinvolto che le parlava in modo semplice e diretto.
Parlava e disegnava con un carboncino nero su grandi fogli di carta bianca, muovendo le mani veloci e tracciando segni sicuri e rapidi, chiari, facili da comprendere e accanto ai disegni il nome di ciò che aveva disegnato.
Poi prendeva quel nome e lo scandiva in lettere, cosicché alla fine della lezione era ben chiaro come si sarebbe letta e scritta quella parola e tutte quelle che durante la trasmissione erano state illustrate.
Nonna rimase a bocca aperta, adesso sapeva perfettamente come si scrivevano le parole: MARE – NAVE – RIVA – PINO – RENA e anche come si leggevano.
E come era stato semplice!
Decise in un attimo che quello sarebbe diventato il suo appuntamento giornaliero con la scuola.
Il giorno dopo comprò un grande quaderno e una matita e cominciò la sua avventura di diligente allieva.
Penso che la sua soddisfazione più grande sia stata comprare, qualche tempo dopo, un libro di fiabe per bambini, ed orgogliosamente leggerne una per sera a noi nipoti quando andammo a trovarla durante le vacanze di Natale.
Quel giovane maestro le aveva restituito gioia e sicurezza. Adesso nonna si sentiva di nuovo forte e capace di affrontare il mondo ancora una volta con le proprie forze, così come aveva sempre sentito di fare quando il nonno era ancora vivo.