Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “L’arrivo” di Tommaso Deidda

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Fuori piove, uno scroscio improvviso, ciclonico, lo sterrato davanti al motel è subito una palude di fango, dall’asfalto rovente si alza un caldo sempre più soffocante,”È una delle estati più torride degli ultimi cinquant’anni, la colonnina di mercurio ha toccato i 45 gradi e l’umidità è del 96 percento” lo racconta la radio.

È un motel della solitudine, vuoto, il ronzio del condizionatore fa da contrappunto alla musica che la radio sta trasmettendo, di pomeriggio suonano sempre vecchie canzoni, oltre a generi che non si ascoltano mai nelle radio importanti o in TV, i dj sfogano i loro desideri, aprono cassetti dove tengono le loro passioni segrete, tanto è la radio degli automobilisti, quelli hanno bisogno solo di compagnia e forse, non vanno tanto per il sottile. La musica diffonde nostalgia nell’etere, manda segnali contro la solitudine a commessi viaggiatori, con miglia e miglia da percorrere con i loro pensieri, anelando al drink della sera, prima della cena, o l’arrivo finalmente a casa, o la speranza di essere ormai in vista di una meta tanto desiderata ma senza una idea precisa, dopo la fuga da qualcosa di opprimente, senza sapere cos’era.

Fuori da quella stanza di motel, cabina, rifugio, luogo segreto, capanna sul l’albero, l’autostrada corre, con il suo nastro bianco come una sposa felice che non sta più nella pelle, ha realizzato il suo sogno, di città in città, tagliando mondi, come una fiamma ossidrica taglia una spessa lamiera, una spada che penetra carni e ossa e avanza inarrestabile attraversando storie di esseri umani, vite che scorrono con quel rombo incessante di auto e camion. Il pomeriggio chiude con uno scroscio di pioggia, fa caldo, tutto è caldo, strizza poi il sole per chiudere verso il tramonto, la polvere sulle tapparelle di plastica prende il colore del bronzo.

La fine della vita di un uomo sul ponte sul lago gelato, o il vulcano da cui lasciarsi cadere, come un poeta disperato, è forse solo la sporca stanza di un motel, è quella polvere bronzea delle tapparelle che rimandano le note elettroniche di” Aching Nodes, piovute da anfetaminiche città futuristiche, la vita  come sarà è già nata, ma per chi? Per chi  dalla vita non ha più nulla da prendere e la vita non ha più nulla da dare?

Oltre la finestra, giù da quel ponte, da quel camino di vulcano, anche l’incessante ronzio di un generatore di elettricità, a scandire, come un mantra, – sei uno che si è arreso, sei un vinto, la tua vita sarà consegnata a statistiche senza alcun interesse, tutta la storia di un uomo in poche righe.

Soldatino meccanico a cui si è inceppato il meccanismo della marcia o, finita la carica, la mano che avrebbe dovuto girare la chiavetta del moto, è stata tagliata. 

Che senso ha continuare a respirare, a tenere in moto una carcassa che non ha più alcun sentimento, non ha un posto che possa dirsi suo, un luogo dove le sue ossa possa incontrare le ossa di qualcuno conosciuto in vita.

Ma poi, domani, il domani, un domani, sono espressioni che non hanno alcun suono, sono un urlo sott’acqua, solo bolle d’aria.

La musica batte, penetra la corteccia cerebrale, colpisce duro in pancia, tutta l’aria si consuma, l’uomo solo non riesce più a respirare,boccheggia,emette gorgoglii come un tubo di scarico semi intasato, o un respiratore per immersioni, ma la fredda panchina qui è una afosa stanza di uno squallido motel nel midwest di un ogni luogo, forse è l’America, è un ovunque da tempo popolato da fantasmi, morti viventi.

“Small Time Shot Away”,un colpo secco, già!

Per tagliare la legna, nei lunghi pomeriggi invernali, nella neve, regina di purezza, un colpo secco, uno schiocco di dita, a dare il ritmo, e i ciocchi venivano giù tagliati a metà, la loro legnosa carne esposta impudicamente al riverbero della luce ghiacciata, viscere inanimate ,così potrebbe succedere all’uomo seduto su quelle coperte che hanno assorbito il sudore e gli odori di chissà quante anime derelitte, passate per questa highway, fuggendo da non si sa bene cosa, potrebbe succedere se decidesse di puntarsi alla testa, quella ben lubrificata e lucida, pistola nera, comprata  e messa nello zaino, può accadere se, con un colpo secco, decidesse di premere il grilletto di quella lucida, scintillante, nera pistola, rimarrebbe la materia sparsa per quella stanza in penombra, esposta e chissà se qualcuno riuscirà a leggere i pensieri che ha prodotto.

Sudore, adrenalina, muffa Aspergillus, paur90a, poca acqua da fare scorrere nel cesso senza finestra, gli odori si amalgamano, formano un tutt’uno, la stanza sembra una stalla, anche l’uomo non si lava da giorni, morire pulito sarebbe meglio per la sua anima sconfitta?

Oppure l’abiezione chiede sporcizia, degrado anche fisico?

Domande senza risposte.

Ma la strada che ha portato l’uomo in questo motel, lo ha spinto a uscire dalla highway che congiunge mondi differenti, paradiso e inferno, inferno e paradiso, qui in questo  non luogo, una fossa rovente senza speranza, è la  strada a cui milioni di sconfitti hanno affidato il loro dolore, a cui hanno affidato le loro paure e questa strada ha preso il  peso immenso, un carico enorme, lo ha portato fino a bruciarlo nel sole, solo cenere, cenere alla cenere, che è tutto ciò che rimane di cumuli di sangue,ossa,pelle,idee,sogni,paure,gioie e tristezze, tutto ciò che rimane dell’uomo, di un uomo che magari in vita non è stato niente e nessuno, su cui gli occhi dei suoi simili si sono posati giusto il tempo di un battito di ciglia, di un battito d’ali, di un trillo di soprano che ami particolarmente l’abbellimento e il colore.

Perché sei lì, uomo, sconosciuto, anima solitaria?

Hai seguito un impulso? Il peso di una  vita ordinaria o forse straordinaria, piena di eventi che non sei stato in grado di controllare?

Forse è bastato il rumore del nulla quotidiano, fatto di gesti ripetuti, di chiavi posate nello stesso piatto sulla consolle all’ingresso, uno sguardo spento allo specchio, è il bentornato a casa, il cappotto appeso con un ultima lisciata, la luce tenue di un tinello vuoto che si anima di luce blu quando la TV immette nell’appartamento il mondo rutilante, storie, affari, vita insomma, vita che non esiste però dietro la porta, almeno la sua porta.

Vi sono più mondi in questa oscura, orrenda, dimenticata camera di motel, che in una città abitata da milioni di maschere danzanti, un festa pagana, riti per onorare deità inventate di volta in volta.

Lui, inutile sconosciuto uomo, è una statua eretta alla solitudine, seduto sul letto, la luce del sole al tramonto che penetra a scaglie dalle tapparelle, si spande sul pulviscolo e si fa trasportare come su di un magico tappeto volante, i suoni, la musica della radio, il rombo della highway, il tremolare continuo dei vetri sporchi.

La luce è calda, i colori sono caldi, densi, ma che trasmettono gelo, è un’immagine gelida, come un quadro di Hopper, denso di solitudine, un bar, una stazione di autobus, la hall di un vecchio hotel, tante vite sole, tante vite sconosciute ,ora la stanza del motel è un arrivo, la fine di un viaggio senza senso, partenza dal nulla verso il nulla, senza paesaggi al di là del finestrino, solo luoghi bruciati da un sole inesorabile.

Silenzio, tutto tace, il generatore ha smesso di funzionare, della musica rimane solo un lontano ronzio dentro la testa, il ronzio della puntina di un vecchio grammofono che graffia alla fine del disco, un ronzio che aumenta di intensità, un crescendo Rossiniano doloroso, è un disegno arabescato d’arpa, è la magnificenza di ciò che sta per finire,”Tout change et grandit en ces lieux… Liberté, redescends des cieux” è la chiamata della porta chiusa, ma lui è l’uomo davanti alla porta o è l’uomo dietro la porta?

Ora è tempo di prepararsi, di mettersi in posizione.

Non vi possono essere errori di posizione quando suona l’ultima campana, la campana dell’ultimo giro, la campana dell’arrivo.



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5 commenti »

  1. Racconto forte, ricco di immagini, fredde, dure come lo sono i pensieri del protagonista alla ricerca del suo “domani”, tragico, irripetibile. Interessante.

  2. Un freddo “Pasto nudo”, un boccone sulla punta della forchetta, osservato da vicino prima di mangiarlo.
    Grazie per il commento.

  3. Un bel racconto ricco di immagini forti che portano alla riflessione. Tommaso, spero che anche quest’anno tu abbia nel cilindro altri piccoli gioielli da farci ammirare

  4. Le intermittenze della vita…ci si affama veloci di un lento esistere… Bello Tommaso.

  5. It’s war time every time!
    Veloce, martellante, cupo, e freddo. Mi piace il tuo stile.

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