Premio Racconti nella Rete 2019 “Non c’è una sola lingua africana nella quale la parola bello sia separata dal concetto di buono, parola di Senghor” di Carla Rosco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019A Renzo Piano, al quale devo il titolo
Seduta in poltrona, sfogliava una rivista trovata nel contenitore per la pubblicità.
Moda e vario pettegolezzo.
Nelle fotografie delle modelle e dei modelli, gli sguardi di Lei e Lui, separati o uniti in una seduzione reciproca, non le facevano venire la voglia di avere a che fare con un tale concentrato di malizia e narcisismo … Ma da dove arrivava un modo così brutto di concepirsi: visi che sembravano persino poco belli, con le espressioni tese, gli occhi di traverso … Perché? Quando? Come?
Angelica era buona e perciò molto bella.
La luce che emanavano i suoi occhi, la loro limpidezza davano un piacere che risanava. Al primo sguardo. Non sculettava camminando, guardava in modo aperto e accogliente chi le stava di fronte, anche chi incontrava casualmente per strada.
Quando smise di attraversare la rivista e se ne liberò lanciandola sul divano, Angelica digitò il numero di Lucio, l’amico più amico, quasi un vero fratello, che a volte desiderava. In sordina.
Era troppo bello e buono stare con lui, leggerezza e arguzia e …
Lucio non rispose.
Allora fece il numero dell’amica più infida, che rispose. Non riusciva a interrompere la relazione, ripresa dopo molto tempo per case non lontane fra di loro e per stupidità poiché già sapeva.
Pesante la sua aggressività che anche con gli sguardi esercitava iniettando veleno, risparmiando le parole.
Era così compulsivamente “cattiva” che ti metteva all’angolo in una frazione di secondo, se lo riteneva necessario per rimettersi in sella al suo cavallo da battaglia: era quasi sempre a cavallo dopo che aveva scoperto che di fronte a lei c’era una persona a piedi, disarmata, e che le aveva dimostrato di valere, e di tenere in gran conto la “verità”.
Per lei il bello era decisamente separato dal buono.
“In parlamento dovrebbero discutere delle parole e delle idee utili al benessere collettivo e di quelle che provocano malessere. Più psicologia e meno mercato. Non lo dico come psicologa, ma come cittadina esposta”, così l’amica Milena che lavorava sodo nel sociale e nel privato, ed era sconvolta dalla quantità di persone che non stava bene, nonostante avesse un discreto livello socio-economico.
“Ma allora le cose non quadrano per niente! Certo non sono la prima a dirlo … Hai presente Tony Morrison, la scrittrice afro-americana? Arriva a dire che l’idea di bellezza fisica e quella di amore romantico sono fra le più distruttrici che l’umanità abbia prodotto”.
Da Milena era andata Angelica: voleva parlarle della sua disponibilità a farsi succhiare il sangue dai “vampiri”. Troppo frequente il sintomo.
Si era infilata tra una seduta e l’altra, già sapendo che una terapia con un’amica era sconsigliabile.
E per una volta si era sfogata sulla sua incontrollabile empatia che la spingeva verso chi aveva bisogno di mungere attenzioni e far pagare conti in sospeso; sul genere umano ridotto a iene ridens: sorrisi, risate, e dietro le quinte un sacco di raggiri e malevolenza, nel privato e nel pubblico.
“Basta con gli sfoghi, Angelica. Hai bisogno di un corso di meditazione. Come psicologa non dovrei dirlo, ma in verità ti dico che è uno dei metodi migliori per risanare la mente, per controllare quelle benedette sinapsi che una volta tracciate continuano a risuonarci dentro. E’ l’esperienza, bella mia, che lascia le impronte … La meditazione è come l’acqua del mare che fa sfumare le orme dei piedi impresse sulla battigia … sfumare fino a cancellarle piano piano”.
Angelica – Milena le aveva dato un riferimento – cominciò un corso di meditazione con persone di età varia, soprattutto donne, come al solito.
Lei andava per i cinquanta che sembravano quaranta. Ormai per le donne è così, ma anche per gli uomini.
Accanto al suo tappetino da meditazione capitò uno dei pochi uomini: Luigi, che sembrava un cinquantenne ma andava per i sessanta.
Alto e robusto, occhi neri e pelle olivastra, poche parole e molti sguardi profondi.
Quegli occhi neri e profondi che si piantavano nei suoi appena possibile erano una calamita.
Meno male che il conduttore del corso era abile nell’orientarli verso la concentrazione e la leggerezza.
Angelica era molto cauta dopo la recente separazione da un uomo traboccante malevolenza e narcisismo. Una trappola in cui era caduta pur sapendo.
“Pur sapendo” era la sua tortura. Le piaceva conoscere ciò che le stava intorno, uomini animali cose, ma ancora di più le piaceva riuscire a comportarsi in base a quello che aveva compreso.
Era bello e buono essere attenti e avveduti, muoversi come un felino attraverso il fitto accadere della vita.
Troppe volte invece si lasciava prendere dalla coazione a consegnarsi comunque, a diventare una farfalla variopinta di speranze e di fiducia …
Presa al volo! Zac! Povera farfalla!
Meglio felino! Felino che quasi vola sulla terra, la sfiora, la saggia prudente, gli occhi penetranti e sicuri.
Così mentre Luigi continuava a guardarla intensamente e spesso, Angelica gli rispondeva con sguardo fermo, tranquillo. Senza speranze infondate, senza fretta.
La meditazione aiutava a non sbilanciarsi verso il futuro, ad essere nel presente.
Ma Luigi, percepita la resistenza, spostò le sue attenzioni verso l’altra vicina di tappetino, più giovane di Angelica, silenziosa e intrigante.
Una abile mossa? Un vero interesse? Decise di pensarci poco, di lasciare andare la curiosità e l’orgoglio ferito.
Lucio la chiamò. Che sollievo quella telefonata!
“Uè uè! Lucio Lucio …”
“Angelica Angelica … Sei forse l’angelo che cerco, essendo circondato da diavoletti fastidiosi?”
“E tu la luce in questo mondo di nubi tempestose?”
E così via con tenerezza e intensità.
Lucio, nato a Bari e cresciuto a Napoli, alto, slanciato, camminava in modo flemmatico.
Il suo sguardo profondo, morbido, arguto. Come le sue parole.
“Domani ci vediamo per una cena a casa mia, se ti va” disse Angelica.
“Mi va. Mi fido della tua cucina leggera e consapevole, meno della mia creativa e pasticciona.
Così ho fatto nella mia vita: molti pasticci … mi sono circondato di diavoletti fastidiosi e succhiasangue che hanno approfittato della mia generosità …”
“Siamo simili in questo. Ci tocca perché i diavoletti sanno dove succhiare e noi abbiamo troppo bisogno di dare … La generosità trabocca come fa un bicchiere troppo pieno …”
“Di dare o troppo bisogno di essere amati?”
“Forse tutte e due le cose, una volta prevale una, un’altra l’altra. Sciolingua e scioglitesta, caro caro Lucio!”
A cena con sottofondo musicale – Lucio aveva portato un CD con musiche e parole sue, cantava con voce un po’ nera e un po’ napoletana – Angelica raccontò della meditazione e del vicino di tappetino che l’aveva sedotta e poi abbandonata.
“Ho usato il mio talento meditativo per andare oltre e non sentirmi offesa”.
“Dovrò imparare da te. Ho ancora il mito dell’amore romantico: abbandonarsi a corpo morto e poi finisce che si muore davvero …”
“Bisogna sapere dove si mettono i piedi anche quando si cammina con il piacere di farlo”.
“Basta una merda di cane e si può finire a terra”.
Erano amici a lunga conversazione. Potevano fare notte parlando, ascoltando musica.
Una coppia possibile che rimaneva sospesa, in attesa di qualche spinta sotterranea o esterna.
“Sai, Angelica, quale è stata forse la mia più grande sfortuna? Essere risucchiato da Napoli in pianura padana: infossata, di umore umido-aggressivo. Dietro i pochi sorrisi di facciata, la muffa di stanze troppo chiuse … un narcisismo feroce si è abbattuto sulla mia tenerezza, sulla mia creatività spudorata …”
“Dovremmo cercarci un nuovo posto per vivere meglio; senza tornare a sud c’è il centro che già lo ricorda, una via di mezzo per le nostre anime in pena”.
“Prendiamo il volo insieme: in due siamo un piccolo gruppo. Io come grafico e disegnatore qualcosa trovo, tu come erborista e quasi cuoca pure”.
“Ho conosciuto una splendida erborista in Toscana, vicino al mare. Se avesse bisogno di aiuto …”
Angelica ormai l’aveva capito: Lucio doveva portarcelo lei fuori dal pantano.
Aveva molti talenti che faceva fatica a gestire per fondamenta fragili e per troppi incontri sentimentali disastrosi. Una dopo l’altra, dalla benestante frigida, presuntuosa e che non sapeva che fare della propria vita, alla tossica tutta lavoro e manipolazioni, simpatica ma “analfabeta di sentimenti e interiorità”, etc.
Lucio raccontava con ricchezza di particolari e con la sua verve arguta e fin troppo benevola nei confronti di queste vampiresse, per le quali era stato un pasto generoso e paziente.
“Lucio, sabato prossimo si parte. Ho trovato dove dormire e a chi chiedere informazioni per un appartamento economico che possa fare da base agli inizi”, disse Angelica a telefono la mattina di una domenica dolcemente primaverile.
“Non me l’aspettavo così presto … ma vengo!”
Partirono leggeri, pieni della buona volontà di far ripartire la loro vita, vicino al mare, essendo vicini fra di loro, amici amorevoli e chi sa …
“Ma da dove arrivava un modo così brutto di concepirsi: visi che sembravano persino poco belli, con le espressioni tese, gli occhi di traverso … Perché? Quando? Come?!
Penso anch’io le stesse cose. Ormai non le sfoglio più certe riviste.
Bella storia Carla e perciò anche buona.
Complimenti
“Pur sapendo” era la sua tortura…Brava, hai analizzato molto bene la complicata natura della protagonista. Complimenti.
…………dolce e confortante, come un abbraccio…………….