Premio Racconti nella Rete 2019 “Estroversa” di Carola Maselli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Mio padre mi ha raccontato che alla mia nascita quando andò all’anagrafe per registrarmi era molto nervoso. Aveva una paura folle di scoprire la mia personalità, era così terrorizzato che all’impiegato balbettò il mio nome con voce tremante: «Ro… p… na».
«Come, scusi?»
«Rosaspina».
A quel punto l’altro chinò la testa sul computer, gli occhi che fissavano lo schermo da sopra le lenti degli occhiali calati sulla punta del naso, e prese a digitare sulla tastiera, poi si alzò, stampò qualcosa, fece firmare un documento a mio padre, quindi tornò a battere al pc, stampò altro, scrisse ancora qualcosa, si alzò di nuovo e tornò da papà con una cartellina. Allungò un braccio e gli diede una pacca sulla spalla. «Le è andata bene, sa? Prima di sua figlia ho registrato un bambino Violento».
Mio padre sbirciò i fogli che aveva tra le mani, tirò un sospiro di sollievo e ringraziò l’impiegato. Andò in ospedale da mamma con gli occhi lucidi. Anche lei lo attendeva con ansia. Si sporse dal letto, gli strappò la cartellina dalle mani, la aprì e dopo che ebbe letto si lasciò cadere sul cuscino con un sospiro. «Estroversa», disse sorridendo.
Tornarono a casa allegri, mia madre mi teneva in braccio mentre mio padre reggeva il borsone in una mano e il fascicolo di carte nell’altra. Il foglio A4 sul quale c’era scritta quella che sarebbe stata la mia personalità in grassetto, formato Times New Roman corpo 28, sporgeva da sopra il suo braccio, in bella vista. Quelli che lo notarono rivolsero un sorriso ammirato ai miei. Perfino il mio pediatra fu fiero di avere una bambina Estroversa tra i suoi pazienti, ma dovette comunque contenere il proprio entusiasmo mentre diceva: «Ricevere questa personalità è una fortuna e un privilegio, ma anche una responsabilità per genitori e medici. Il nostro compito è quello di far sì che la bambina sia chi deve essere. Sarà bello e impegnativo».
I miei presero molto a cuore la questione. Lasciato lo studio medico, a casa appesero il foglio A4 accanto al calendario, proprio sopra il mobiletto dove c’erano le medicine, insieme alla lista di cose che il dottore aveva consigliato loro di fare. Tra le prescrizioni c’era quella di lasciarmi con altre persone prima dei pasti, di farmi conoscere nuovi bambini una volta al giorno e di stimolare la mia personalità con giochi vivaci e divertenti; si sconsigliava la solitudine e non era necessario leggermi le favole della buona notte.
Ho trascorso gran parte della mia infanzia fuori casa e tra le braccia di gente che non conoscevo. Non avevo il tempo di abituarmi a una faccia che già mi veniva presentata una persona nuova. I miei amichetti cambiavano a cadenza mensile, non ne ricordavo mai il nome né il colore preferito, eppure poi me li ritrovavo tutti assiepati in casa alle feste di compleanno. La mia fanciullezza è stata affollata, rumorosa, piena di persone che volevano a tutti i costi farmi parlare senza lasciarmi un attimo di tregua. Ogni giorno si usciva, i miei genitori mi portavano al parco o alle giostre, studiavano da lontano i bambini e mi affidavano a quelli che più li convincevano dicendo loro: «Lei è Rosaspina, è Estroversa e vuole essere tua amica».
Ben presto, però, tutti si accorsero che non lo ero affatto. Non parlavo, non facevo amicizia, se mi prendevano in braccio scuotevo i piedini, quando tentavano di farmi ridere con assurde boccacce io giravo lo sguardo altrove, incontrare bambini nuovi mi spaventava, avere gente intorno mi infastidiva, le feste mi annoiavano. Adulti e bambini mi si avvicinavano spinti dai miei genitori e cercavano di farmi parlare, dicevano qualsiasi cosa pur di cavarmi una parola dalla bocca, ma ottenevano da me solo sguardi torvi e assenti. Desideravo tanto – oh come lo desideravo! – essere lasciata da sola, giocare con le bambole nella mia stanza, inventarmi avventure nel giardino, colorare un disegno sotto un albero. Ma non appena iniziavo, mamma e papà accorrevano e chiamavano i bambini del quartiere, che mi strappavano dalle mani giochi e quaderni per coinvolgermi in uno scatenato “guardia e ladri”. Io mi facevo acchiappare subito per avere meno noie possibile.
Era chiaro che faticavo a essere Estroversa e i miei genitori andarono in crisi. Consultarono dottori, specialisti, spesero soldi in terapie costose, mi mandarono da una psicologa alla quale feci venire un attacco di nervi per il mio mutismo. Intanto mi venivano fatte provare tutte quelle esperienze che avrebbero dovuto aiutarmi ad “aprirmi”. Feci teatro, danza classica, hip-hop, canto, basket, il pediatra consigliò perfino il pugilato, ma tutto questo non servì a niente: sulla scena balbettavo, sul palco mi trasformavo in un tronco, al microfono la mia voce si spezzava, sul campo correvo timidamente dietro la palla e nei guantoni le mie mani esitavano a ogni colpo. Si tentò perfino una terapia d’urto: i miei mi costringevano ad andare alle feste senza invito, a recitare le poesie a Natale e a Pasqua, a cantare al karaoke, a scatenarmi sulla pista durante i matrimoni. La gente ogni volta si allargava intorno a me, scambiava sguardi complici con mia madre e mio padre, tutti cercavano di rassicurarli, mi spronavano, condividendo l’angoscia dei miei genitori, perché nonostante gli sforzi non funzionava niente.
La sera sentivo mamma e papà parlare con voce rotta davanti al foglio A4 appeso in cucina, lo guardavano con la fronte corrugata e l’espressione angosciata. Dicevano che le avevano provate tutte, non sapevano più cosa fare, si sentivano dei falliti, incapaci di essere genitori. L’unica contenta di questa situazione era mia zia Crispina. Prima del mio arrivo, infatti, si parlava solo delle mie cugine e delle loro personalità poco apprezzate in famiglia: Egoista ed Egocentrica. All’una fin da piccola avevano insegnato che tutto era suo e all’altra che tutti parlavano di lei, e la madre era fiera di loro poiché avevano appreso rapidamente, anche se nessuno le sopportava. Tuttavia ora erano tutti troppo impegnati nello sforzo di farmi superare la mia insana, innaturale e inaccettabile timidezza per badare a loro. La zia era felice, io ero la sua benedizione e si divertiva ogni domenica a girarsi a guardarmi per esclamare: «Rosaspina! Avevo dimenticato che fossi qui! Non ti sento mai parlare…». All’epoca mi dava molto fastidio, ma oggi so che non è colpa sua se le è stata assegnata l’Antipatia.
Quando imparai a leggere, un pomeriggio mi fermai davanti al foglio appeso accanto al calendario. Col tempo lo scotch sui bordi si era ingiallito e anche l’inchiostro era scolorito. Per anni ho visto i miei sostare di fronte a quel pezzo di carta con un’espressione intensa sul volto, le mani che passavano sui capelli sempre più radi. Per me su quella parete c’era come una specie di Santo al quale dovevano aver fatto un qualche tipo di voto e che pregavano nei momenti più bui della loro vita; perfino io ogni tanto mi sorprendevo a esprimere un desiderio rivolta verso quegli indecifrabili segni neri. Un pomeriggio, però, essi si misero in fila davanti ai miei occhi, precisi e ordinati, e vi riconobbi le lettere che le maestre mi avevano insegnato. Era una parola lunga, ma alla fine riuscii a leggerla: “Estroversa”.
Mi sentii intrappolata, schiacciata lì contro il muro al posto del foglio. Capii tutto in quel momento: la disperazione dei miei genitori, gli sforzi di amici e parenti, le sentenze dei medici. Gli insegnanti a scuola ci avevano detto che il mondo funzionava solo se tutto era al suo posto e che esistevano cose complicate come gli algoritmi che per mantenere intatto l’equilibrio della nostra fragile società stabilivano quante persone timide o iraconde o generose o puntigliose dovessero esistere. A ognuno di noi era stata assegnata una personalità alla nascita ed era un dovere morale rispettarla, ne andava della salvezza del nostro Paese. Capito il collegamento tra il mio foglio e la questione del calcolo statistico, concentrai tutti i miei sforzi nel chiudermi sempre più in me stessa: non volevo essere Estroversa solo perché me lo diceva un algoritmo! Così non parlavo con nessuno, durante la ricreazione mangiavo per conto mio, evitavo i compagni di classe, alle interrogazioni parlavo a voce bassa, non alzavo mai la mano per fare una domanda, sgusciavo via quando qualcuno si avvicinava spinto dagli insegnanti. Smisi anche di studiare, tanto non serviva a niente perché le maestre mi giudicavano solo sulla base della mia insicurezza. Ai colloqui dicevano tutti: «È una brava bambina, ma è troppo insicura»; del mio andamento scolastico non parlavano mai.
Un giorno mentre eravamo da zia Crispina vidi nonna Albaspina sgattaiolare in cucina. È vecchia, rugosa, piegata su se stessa, ma ha uno sguardo vivace e allegro. Suo padre quando la registrò ebbe un foglio come il mio con su scritto “Obbediente”, e lo è stata per tutta la sua vita. Ultimamente, però, ha qualche difficoltà: contraddice tutti, risponde male a chiunque le dica cosa fare e i nostri genitori hanno paura che la sua ribellione ci contagi, così non ci permettono di stare soli con lei. Nessuno notò la sua silenziosa fuga, erano intenti a parlare di me e a passare in rassegna i metodi usati dai miei per “farmi sbloccare”. Stufa, mi alzai, senza fare rumore entrai nella cucina e trovai la nonna seduta al tavolo impegnata a mangiare un gelato alla nocciola direttamente dalla vaschetta. Si portava il cucchiaio alla bocca con aria felice.
«Nonna, il dottore non vuole che mangi il gelato», dissi.
Lei mi rispose con le guance piene. «Nessuno dice alle spine di non pungere.»
Secondo i grandi la nonna spesso dice cose senza senso. Cercai di rispondere alla loro maniera, ma lei continuò a parlare. «Quanto ci piace cogliere le rose! Però hanno le spine e possono ferirci. Le rose non fanno sempre quello che gli altri dicono loro di fare.» Mandò giù un altro cucchiaio. «Da quando non obbedisco più mi sento benissimo».
Tornata a casa avrei dovuto fare i compiti, ma continuavo a pensare a lei mentre scarabocchiavo sul quaderno. Ad un tratto mi accorsi che tra i miei ghirigori avevo disegnato una rosa, un po’ storta, col bocciolo asimmetrico e con un gambo robusto e pieno di spine. Non era perfetta, ma mi piacque tanto. La guardai a lungo, poi strappai il foglio dal quaderno, andai in cucina, accostai la sedia al mobiletto dei medicinali, mi ci arrampicai e appiccicai quel pezzo di carta vicino al calendario, sopra al foglio che mio padre ha ricevuto alla mia nascita. La scritta che c’è sotto non si vede più da allora. Ricompare di tanto in tanto, quando mamma o papà strappano il mio disegno. Io lo rifaccio sempre.
Il succo è riassumibile in poche parole: dalle nipoti alle nonne, ora e sempre resistenza! In questo racconto fantafuturistico la società si è organizzata, nel dubbio che i genitori non facciano abbastanza danni da soli. Ma non c’è niente di meglio che un divieto per far commettere qualcosa a cui neanche si pensava. Sarebbe carino vedere Estroversa incontrarsi con Violento, che magari è venuto su un tenerone romantico, potrebbe nascerne qualcosa! Bentornata Carola, felice di rileggerti con questa bella storia.
Un racconto originale, e in certi casi veritiero. A volte ancora prima che nasca, genitori e parenti si arrogano il diritto di assegnare un destino al nascituro. E dopo si hanno da una parte le delusioni, e dall’altra parte le frustrazioni. E a volte occorre arrivare alla terza età per liberarsi di certi ruoli, come nel caso della tua nonna. Giuro! Senza avere letto il commento di Marco, a metà racconto ho pensato che la tua Estroversa stesse per incontrare Violento che l’avrebbe riempita di botte per non volersi adeguare alla sua personalità (sono la solita tragica pessimista!). Poi magari l’avrebbe pure sposata, ma sempre a patto della sua sottomissione … e allora preferisco il tuo finale, in cui lei si ribella ai genitori, affermando la propria personalità. Brava. In bocca al lupo!
Non c’è nulla di peggio del pregiudizio per annichilire una personalità in erba. Bravissima a delineare i personaggi, ho adorato la figura della nonna che con i suoi discorsi apparentemente strampalati ha saputo motivare la nipote in un modo del tutto fuori dagli schemi “preordinati”. Ho trovato questa storia non solo scritta magnificamente, ma densa di spunti di riflessione.
Bravissima Carola, un racconto originale e scritto davvero bene. Quante volte facciamo quello che gli altri si aspettano da noi invece di quello che davvero desideriamo! Una lettura molto piacevole, complimenti!
Sappiamo in tanti le difficoltà di fare i genitori. Tra queste ci sono anche quelle di non far pesare troppo ai figli le nostre umane aspettative; non siamo ipocriti: chi di noi non ne ha?
Non mi metterei certo a raddrizzare una rosa un po’ storta (a volte più bella di una “dritta”). Nel caso lo facessi, spero che la mia compagna e i miei figli mi scuotano con le buone e mi facciano tornare in me.
Bel racconto.
Complimenti, Carola.
Grazie Marco, Lucia, Monica, Valeria e Luca per i vostri commenti. Avete colto tutto quello che volevo raccontare, tutto quello su cui volevo far riflettere e questo mi riempie di gioia. Vi ringrazio per aver dedicato il vostro tempo a una storia che avevo bisogno di raccontare e a un personaggio al quale tengo tantissimo.
P.S. Estroversa e Violento, eh? Be’, grazie anche per lo spunto 😉
Bel racconto, originale, scritto molto bene anche nella definizione dei personaggi. Mi è piaciuta tantissimo la nonna! Complimenti, è stato un piacere leggerti.
Qualunque cosa si possa fare per soffocarla, la propria natura tornerà sempre a galla.
La natura è saggia. Non bisogna mai contrastarla, ma seguirla.
Ottimo racconto.
Ciao.
Surreale,ironico, quasi cinico per certi risvolti, comunque piacevole.
Grazie a Silvia, Francesca e Maddalena per le belle parole, il tempo speso, la comprensione e la sensibilità. Rosaspina è lieta di avervi al suo fianco nella sua tenace rivolta.
Mi è piaciuto. Intanto perché mi piacciono le storie che hanno un’idea forte dentro, qualcosa che le distingua dai racconti più o meno autobiografici o di genere che spesso sono bellissimi ma che alla fine rischiano di assomigliarsi fra loro. Poi perché mi piace come è scritto: gli occhi viaggiano veloci su frasi che scorrono agevolmente senza suonare per questo “già sentite”. Idea e stile sono, per me, gli elementi differenzianti di una ottima storia rispetto alle tante buone storie che si leggono in giro. E qui ho ritrovato entrambe le cose. Aggiungo che di solito in una idea è contenuto anche un messaggio, che emerge di suo, senza forzature. E in “Estroversa” accade anche questo. Insomma, gentile Carola, ho letto un racconto che mi è piaciuto molto molto molto. In bocca al lupo! 🙂
Ciò che mi è piaciuto del tuo racconto è l’originalità su un argomento per nulla semplice da esporre. Non è per nientebanale e si legge con un buon ritmo dall’inizio alla fine. Complimenti veramente.
Beeeello! Anche questo è sgrammaticato, ma non potendo disegnare rose scrivo così. Non c’è un tempo per ribellarsi, lo puoi fare anche a sessant’anni, a novanta, perchè, a differenza dei parenti di Rosaspina, ce ne sono altri che lavoran anche in modo più subdolo per modellarti, e tu sei convinta di avere fatto tutto da te, in libertà. Ora hanno anche inventato dei lavori, chiamti “influencer”, “opinon maker” e vai! Giorni fa ho detto ad un “genitore di Rosaspina”: Ma perchè deve essere ammirata, e se a lei piace passare inosservata per poterli disegnare?
Complimenti per il cuore e la scrittura
Una ricerca del vero io in un mondo incasellato e predeterminato. Ho apprezzato molto la ribellione efficace e silenziosa della nonna che ha saputo liberare la vera natura della nipote eliminando il senso di inadeguatezza con un cucchiaio di gelato.
Mi unisco al coro di complimenti! Aspettative, algoritmi… Ma, chissà perché, questo futuro non me lo immagino poi così troppo lontano. Mi piace però che l’idea che un pc debba decretare il nostro modo di essere per non deludere le statistiche rimanga chiusa nel tuo racconto e, soprattutto, nascosta dietro una rosa un po’ storta. Ci insegni che non bisogna mai stancarsi nell’appiccicare il nostro essere sopra le aspettative altrui, così da far prevalere ciò che veramente siamo! Originale, divertente e che stimola alla riflessione. Brava Carola 🙂
Silvia, Elisabetta, Marcello, Valentina e Ugo: grazie, grazie, grazie! Avete tutti colto ciò che volevo trasmettere e non c’è niente di più bello. Lieta di avervi come lettori.
Originale nell’approccio. Ironico nel linguaggio. Hai mai pensato di trasformalo, con qualche piccola modifica, in un racconto per bambini?
Carissima Carola, anch’io come Sandra, penso che la tua storia potrebbe essere un bellissimo racconto destinato ai bambini: per loro potrebbe essere un’ottimo pretesto per guardarsi dentro e vedere quali parti di sé desiderano coltivare e fare crescere. Però, come già ha scritto meglio di me Lucia, è un ottimo monito anche per noi: troppe volte destiniamo i nostri bambini a un futuro che non è quello scelto da loro. E allora, come dice Marco, la soluzione è resistere, resistere, resistere. In bocca al Lupo Carola!
Concordo con Marco Floridia. Questo è un racconto futuristico. Saremo tutti frutti di un algoritmo? Non c’è da stare troppo allegri, visto come stanno andando le cose. Per fortuna che, ancora, la possibilità ipotizzata in questa storia è frutto della fantasia. Da non sottovalutare, tuttavia. Riflettiamo gente 🙂 Grazie Carola, per questo sguardo al futuro. Molto originale il tuo racconto.
Grazie Sandra, Simona e Antonella per avermi letto e per i vostri commenti. Io spero davvero che la mia resti solo una fantasia però! Grazie anche per il suggerimento. Rosaspina è nata dall’incontro con una bambina timida e che a scuola viene valutata dagli insegnanti solo per il suo carattere e ammetto che ho pensato anche di farne un racconto per bambini. Chissà che non lo diventi davvero…