Premio Racconti nella Rete 2019 “Filippo che macina il vento” di Maria Antonietta Labrozzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Filippo si è pericolosamente allontanato da casa.
Ha inforcato la bicicletta di suo fratello, che tocca appena sui pedali e se ne scende giù verso valle, verso la campagna del Sangro. Vento al petto, polvere negli occhi, sensazione di volare. Una vertigine avventurosa.
È un ragazzino curioso. Gli piacciono le storie. Gli piace disegnare. Gli piacciono i colori della campagna.
Filippo si sente un uccello che plana sui campi. Il grano è pronto per la falce. Papaveri spiccano nel giallo.
La salita sarà dura per tornare indietro, a casa, lassù. Ma che gliene importa. Ha nove anni e buone gambe. Nella piana, piccole case sparse, distanti l’una dall’altra. Contadini con cappelli di paglia lavorano a mani nude negli orti. Un uomo, da una casa, sbuca sulla strada e agita le braccia nella sua direzione. “Ma con chi ce l’ha?” Filippo si gira e non vede nessuno.
Gli giunge la voce dell’uomo “Uagliò, curre!” Il ragazzo si avvicina nell’aia. “Sto da solo in casa e non ho mezzi” gli dice l’uomo, visibilmente agitato. “Mia moglie deve partorire ma ci sta qualche problema. Io sto da solo, non la posso lasciare. Scappa al paese a chiamare la levatrice che c’è bisogno urgente. Da Mario di Faustino gli devi dire.”
Il ragazzo è sorpreso della richiesta e resta un attimo immobile, a guardare Mario, col sedere giù dal sellino, le mani sul manubrio, a bocca aperta. “Nun si capite? Moglieme sta per figliare. Non era il tempo adesso. Sua mamma non è ancora venuta per l’aiuto. Serve urgente l’ostetrica che sennò non si sa come va a finire”. Filippo è stordito. “Dove sta questa levatrice?” chiede mentre già ha girato la bicicletta. “Sopra, al paese. Chiedi che tutti te lo sanno dire. Falla venire subito qua. Hai capito?”.
Sì, ha capito.
Mentre si avvia sulla strada, Mario gli corre dietro urlando: “Vai, vai, corri, che se nasce femmina te la do in sposa”.
Filippo l’ha vista proprio qualche giorno prima una sposa. Sua cugina Lucia. Bella nel suo vestito buono, con le trecce nere raccolte a crocchia e un mazzetto di fiori di campo tra le mani. Andava in chiesa al braccio del padre, davanti al corteo di soli uomini e bambini schiamazzanti. Le donne tutte rimaste in casa a preparare il pranzo per gli invitati. Nemmeno sua madre alla messa. Trenta polli e sagne da ammassare. La festa è durata fino a notte tra canti e balli. Suo padre a suonare la fisarmonica.
Anche lui vuole imparare. Il padre gli insegna la sera, al fresco, davanti casa.
Sì, era proprio bella la sposa. Certamente anche a lui piacerebbe avere una bella sposa da grande. Ma non si sarebbe mai immaginato di trovarla così, scorrazzando tra le campagne.
Filippo macina ancora il vento nelle gambe, anche se è tutta salita. Corre, corre. La promessa di Mario il suo carburante. Va, in piedi, pompa sui pedali. Suda e soffre, soffre e suda.
Alle prime case del paese, zuppo che si può strizzare, vede persone e chiede dell’ostetrica. Gli si è messa addosso una fretta. “Un po’ più sopra – gli dicono – la casa col portone azzurro”. Ed è già lì che sbatte con forza il maniglione di ottone. “Signora fate presto che deve partorire la moglie di Mario di Faustino, giù in campagna”.
Donna Bice è abituata ad essere subito pronta, quasi che viva attaccata dietro la porta. È venuta dal Veneto, ma si è trasferita lì da oltre dieci anni. È l’unica donna che porta la macchina. Già parte, con la sua valigetta. Il ragazzo dietro, di nuovo a scendere sulla strada polverosa. Sul cortile adesso non c’è nessuno, ma dalla porta aperta si sente un lamento. La donna entra e Filippo ancora dietro. Lei si gira, gli mette una mano sul petto e lo respinge fuori: “Tu no”.
Dopo qualche minuto esce anche il giovane contadino. Si siedono vicini sulla ghiaia, le schiene al muro. Le ginocchia al petto e le braccia sopra, a masticare un’ansia silenziosa. Passa il tempo e pesa come la fatica dei campi. Infine un vagito. Il primo suono della vita. La levatrice si affaccia. “È nata. Stanno bene”. E torna in casa chiudendo la porta.
“Allora è femmina – Filippo si gira verso Mario – allora me la dai sposa”. “Beh, mo s’ha da fa’ prime grosse”. Ride il giovane dandogli una pacca sulla spalla. “Pe mo t’aringrazie. Po’ vedeme”. Filippo se ne torna a casa un po’ deluso. Però ogni settimana scende a valle e gironzola intorno alla casa di Mario. La bambina si chiama Cecilia.
Passano gli anni e Filippo la vede crescere. È proprio bella Cecilia. Un giorno il ragazzo riceve la cartolina per le armi, ma prima di partire vuole salutare la bambina, che adesso ha dodici anni. Le racconta della promessa che gli ha fatto Mario quando lei è nata. La ragazzina non ne sapeva nulla. “Ti vorrei scrivere, se mi dai il permesso. E se torno ti chiedo in sposa”. Cecilia ride e non risponde. Si volta e scappa in casa. Ma anche senza risposta, il ragazzo scrive. Scrive per tutti gli anni della guerra. Manda lettere e disegni. Racconti di giornate di marce e di combattimenti. E racconta i suoi sogni, le sue speranze, i suoi ricordi del paese.
Cecilia si sorprende un giorno ad attendere l’arrivo della posta. Attraverso quelle lettere sta conoscendo il ragazzo. E le piace. Così si mette in attesa del suo ritorno. Passano cinque lunghi anni. E allora Filippo glielo chiede sul serio e lei dice sì.
Dopo una lunghissima vita trascorsa insieme, piena di gioie, di guai, di figli e di nipoti, Cecilia e Filippo se ne sono andati, tranquilli e sereni, a distanza di una settimana l’uno dall’altra. È durato settant’anni questo matrimonio, frutto di una promessa urlata tra le spighe di grano.
Piena di poesia, buoni sentimenti e speranza questa storia rosa che più rosa non si può !
Grazie Monica. Il ragazzino era il fratello di mia suocera. Questa storia mi ha sempre incantato.
Maria Antonietta ciao. Non so se sei la stessa Maria Antonietta che ho conosciuto a Lucca anni fa … mi piacerebbe che fossi tu. In ogni caso, ti faccio i miei complimenti per questo racconto scritto in maniera ritmata, quasi una cantilena. Immagini, suoni, persino gli odori sembrano reali. C’è tanta poesia. Proprio un bel racconto. Ci sarebbe proprio da realizzare un film d’amore, e di guerra, naturalmente arricchendo la storia di altri particolari che sicuramente conosci, visto che mi pare di capire sia una storia vera. E poi c’è il lieto fine che ci fa sempre piacere. Brava. Complimenti!
Mi piacciono sempre i personaggi caparbi: bravo Filippo, e brava anche Maria Antonietta!
Delicato e poetico. Una di quelle storie che fanno bene al cuore, da raccontare ogni tanto, quando la vita si complica e la semplicità si nasconde nel caos di oggigiorno. Complimenti e in bocca al lupo!
E mi piace tanto anche il titolo!
Che dolcezza questa storia, complimenti!
Una delle ricchezze di questa piazza virtuale che è Racconti nella Rete sono queste storie vere, spesso più emozionanti e intense di quelle di fantasia, piene di materia e sogni, attese, guerre, nascite e morti, della storia che di solito non passa nei libri. Naturalmente perché producano emozioni bisogna saperle scrivere, e tu ci sei riuscita in pieno. Brava!
Ringrazio di cuore ciascuno di voi per il commento che mi ha dato.
Quello di Lucia Finelli mi ha particolarmente emozionata: quando scrivo sento una musica. Non so spiegare.
Se non ho dentro il ritmo giusto, la penna tace.
Una storia piena di poesia, che si nutre del tempo che passa per rendersi ancora più amabile, ancora più vera. E la prosa leggera rende questo racconto vivido e appassionante, concreto e ideale, quasi un archetipo delle storie d’amore. Complimenti, Maria Antonietta, per questa bella pagina di vita che hai saputo narrare in modo così lieve.
Grazie Girolamo per il tuo bel commento alla storia di Filippo. Pensa che ogni volta che la rileggo emoziona anche me. La prima volta che mia suocera mi raccontò la storia di questo fratello, non ci potevo credere. Le chiedevo sempre di raccontarmela di nuovo. Spesso non serve la fantasia. Basta ascoltare.