Premio Racconti nella Rete 2019 “Il centesimino” di Agnese Lucarelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019L’avevano chiamata Maria Fortunata perché nata dopo un travaglio lungo e difficile e per fortuna era nata viva.Fin da subito capirono che quella sofferenza aveva avuto delle conseguenze, le aveva lasciato una zoppia alla gamba destra che le tante visite da illustri dottori e le innumerevoli sedute di fisioterapia non avevano potuto risolvere. Durante l’adolescenza iniziò a farsi chiamare solo Maria perché sentiva che il nome Fortunata non la rappresentava, lei fortunata non si sentiva proprio per niente. Alle continue prese in giro dei suoi compagni non faceva più caso, era diventata molto brava a scansare sguardi e provocazioni, più che altro aveva imparato ad evitare la compagnia maschile e tutt’oggi all’età di quarantuno anni era convinta che non le mancasse neanche un po’. Almeno fino a quel momento.Sicuramente si vergognava di quella sua andatura che, suo malgrado, la faceva contraddistinguere dagli altri e con la quale doveva fare i conti nella sua quotidianità, ma certamente non l’aveva accettata. Altra sua caratteristica era il modo con cui vestiva, sempre molto comodo, quasi trascurato, che le dava un aspetto poco femminile. Tuttavia a lei non importava farsi bella. Insomma era come era e si sentiva come si sentiva. Spesso sola, ma così aveva scelto.La cosa che la rendeva specialmente strana però era il cappello. Usciva di casa sempre con il cappello, ne aveva diversi nell’armadio uno per ogni occasione, di diverse forme e materiali, con la tesa grande o piccola. Preferiva senz’altro il cappello con la tesa ampia, lo portava ben calato sul volto come a nascondersi dietro e come se volesse che guardando il cappello non saltasse subito agli occhi il problema di una vita.Quel lunedì mattina molto presto era piovuto e le buche nella strada si erano riempite a formare delle pozzanghere di acqua ormai sporca che faticava a defluire. Maria come tutte le mattine uscì di casa alle sette e mezzo per andare a lavoro, faceva la scultrice e si divideva tra scuola, insegnava discipline plastiche al liceo artistico della città poco distante da casa sua, e il suo laboratorio anche quello poco distante da casa, e tutti i giorni percorreva quei brevi tratti a piedi. Quella mattina aveva lezione proprio alle prime due ore nella seconda D. “Peccato è smesso di piovere! “ pensò alzando lo sguardo verso il cielo una volta arrivata in via Filippo Pacini. Le piaceva ascoltare il ticchettio delle gocce che le cadevano addosso, e respirare l’aria che sapeva di terra bagnata e di umido.Mentre procedeva per la strada, a capo chino come sempre, aveva trovato per terra un centesimo, lo aveva raccolto e osservandolo lo aveva visto brillare, bagnato; quel soldino minuscolo color rosso rame le aveva suscitato buone aspettative per la giornata appena iniziata e se lo era infilato in tasca. Si sentì stranamente lieta, rigirava quello spicciolino tra le dita della mano destra, respirando l’aria fresca e umida di pioggia, e assorta, accompagnata dalla sua solita andatura giunse in prossimità della scuola, girò l’angolo ed entrò in via San Pietro. Già alcuni studenti, riuniti in vari gruppetti sparsi per la via, aspettavano il suono della campanella per iniziare l’ennesimo giorno scolastico. Si soffermò e alzò la testa per guardarli. Sfilò la mano destra dalla tasca e afferrando la tesa si alzò il cappello per osservarli meglio. In quel momento si rese conto di sentirsi fortunata, non avrebbe potuto fare altro nella vita che trasmettere a quei ragazzi l’amore per l’arte e per il suo mestiere. Sentì questo sentimento come una rivelazione, fino ad allora aveva sempre sostenuto che il laboratorio era il suo unico mondo. Solo lì fra i calchi in gesso, l’argilla… e le sue mani… usate fino a farsi male, nel modellare i suoi bambini, come chiamava lei le sue creazioni, solo lì si era sempre sentita veramente se stessa e protetta dal resto del mondo. Diversi anni prima aveva deciso per l’insegnamento. Era stata una scelta giusta pensava ora. E si sorprese nel pensare fra sé “Oggi sento che è una giornata fortunata!”. In quel medesimo istante una voce la fece trasalire.
– Buongiorno Maria! – Era il professore di italiano della terza C, tale Piero Bertini che arrivava sempre a scuola sparato in bicicletta. Era un uomo di mezza età con l’aspetto e il modo di fare di altri tempi. Quel giorno appena girato l’angolo, vedendo Maria, aveva deciso di scendere dalla bicicletta e proseguire a piedi per fare due passi con lei. Proprio due passi prima di mettere il lucchetto alla bicicletta e salire quei sei gradini sconnessi per entrare a scuola. L’aveva sempre incuriosito, ma non aveva mai osato avvicinarla, quella donna così schiva , riservata e anche un po’ strana.
– Buongiorno – rispose lei cortesemente, ma infastidita e anche un po’ sorpresa. Nell’imbarazzo del momento ricalò il cappello sugli occhi e nel farlo le cadde il soldo che ancora teneva nella mano e andò a finire in terra.
– Ti è caduto qualcosa… – così dicendo Piero raccolse il centesimo da terra e glielo porse.
– Grazie – disse avanzando di un passo verso di lui per prenderlo. Ma nell’agitazione, che immediatamente l’assalì, scivolò dal marciapiede e perse l’equilibrio, già molto precario, cadendo in terra dritta nella pozzanghera. Rovinosamente imbarazzata e bagnata si rialzò all’istante e si ricompose. Non dette nemmeno il tempo a Piero di aiutarla come lui si era prontamente proposto. Ora doveva tornare a casa a cambiarsi, pensò e avrebbe fatto tardi per la lezione. Oltre tutto le era caduto anche il cappello, quello di velluto grigio con la fascia azzurra a fiori rosa e arancio, uno dei suoi preferiti, ma soprattutto le aveva lasciato scoperti la testa e il volto.Impacciata si guardò intorno e si abbassò per riprendere il cappello, ma precedendola il collega glielo porse con aria rammaricata. Il cappello, anche quello si era bagnato, finito dritto nella pozzanghera e non lo poteva rimettere in testa. Doveva tornare a casa a cambiarsi e anche a capo scoperto per di più.
– Fortunata un corno!! – le scappò detto ad alta voce. Fu allora che si accorse degli schiamazzi. Quel gruppetto di ragazzi al di là della strada, al vedere la scena, era scoppiato in una fragorosa risata.
– Scusali Maria non hanno rispetto di niente e di nessuno quei ragazzacci, ma permettimi di aiutarti, ti sei fatta male? Hai bisogno di qualcosa? – le disse Piero che ancora aveva in mano il centesimo e il cappello.
– Grazie hai già fatto abbastanza! – stizzita si riprese il centesimo e il cappello, poi girandosi si rivolse al gruppetto che ancora stava sghignazzando.
Fra di loro c’erano due studenti che conosceva bene, era stato grazie a lei che l’anno precedente non erano stati bocciati.
– Matteo e Jonatan, come vedete devo tornare a casa a cambiarmi, e mi ci vorrà un po’ di tempo. Entrate in classe e tenete calmi gli altri… Mi raccomando! – disse loro, continuando con tono severo. – Se vengo a sapere che avete fatto casino, vi metto tre in pagella! Intesi? – Così dicendo girò le spalle al gruppo e a Piero, che era rimasto ad osservarla con aria compiaciuta quasi divertita, in piedi ancora reggendo la bicicletta.
– Maria aspetta! Permettimi di aiutarti! – le grido il professore, rigirando la bicicletta e correndole dietro.
– Non ce n’è bisogno! Davvero ti ringrazio! – rispose Maria senza fiato e con il cuore che le batteva forte in gola. Le mani sudate e quei brividi… non capiva… Erano dovuti all’acqua che era entrata nella scarpa ortopedica e aveva inzuppato il calzino, che ora sentiva appiccicato alla pelle del piede mentre camminava?
– Fortunata un corno! – ripeté a voce alta. – Davvero una giornata fortunata!- continuava, mentre claudicante, avanzava in via Filippo Pacini, con il cappello bagnato nella mano sinistra e con la mano destra in tasca che ancora rigirava lo spicciolino tra le dita.
– Maria permettimi di aiutarti – disse ancora Piero, con voce supplichevole, tirandola per il braccio destro e obbligandola a fermarsi. Lei si girò verso di lui, sfilò la mano destra dalla tasca e così facendo le cadde di nuovo il centesimino a terra. Lui lo raccolse e glielo porse sorridendo. Lei lo prese e le loro mani si sfiorarono leggermente. Si guardarono negli occhi e per un’istante infinito il mondo intorno scomparve. Il cuore batteva sempre forte, ma non era pesante. Era leggero. Anche lei sorrise.
Si incamminarono insieme verso casa, lei zoppicando, lui portando la bicicletta.
– … Maria cosa stavi dicendo prima riguardo alla giornata fortunata?…
Gli rispose con una spalluccia ma gli occhi sorridenti…
Tornarono a scuola molto più tardi.
Li videro arrivare tutti e due insieme, sparati in bicicletta, lei seduta davanti sulla canna, lui come ad abbracciarla le mani sul manubrio.
Maria aveva perfino dimenticato il cappello.
Mi è piaciuto tanto questo racconto delicato, a tratti poetico e con un confortevole e rassicurante finale rosa. Complimenti.
Molto simpatica Maria, che non si preoccupa più di indossare il cappello! Galeotto il centesimino 🙂 . Mi è piaciuto, complimenti.