Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Storia di un guardiano e una papera” di Franca Giannecchini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Storia di un guardiano e una papera

Era passato un anno da quel giorno di metà novembre, lo ricordava bene. Quella mattina era arrivato prima del solito in ufficio. La grande vetrata non nascondeva le minacciose nuvole nere, nere come il suo umore. All’apice della sua carriera, davanti ai vertici dell’azienda la sera prima aveva rassegnato le dimissioni.

I genitori erano rimasti senza parole. Avevano pensato a tutti i sacrifici che il loro figlio aveva fatto, notti intere passate sui libri, una laurea in informatica ottenuta con il massimo dei voti e la specializzazione all’estero. Una delle più grandi aziende del settore con sedi in tutto il mondo lo aveva assunto, un sogno che si avverava. Ad ogni modo loro non si erano mai intromessi nelle decisioni del figlio e non lo fecero nemmeno questa volta.

Era l’ora di cena ma non avevano fame, la madre ruppe il silenzio: – Se Andrea ha preso una decisione del genere un motivo ci deve essere.

  Il padre, che dopo la telefonata si era chiuso in un mutismo che non gli apparteneva faticava a mettere a fuoco quello che il figlio aveva comunicato, si sentiva come un tuffatore che non riusciva a guadagnare la superficie dell’acqua, gli mancava l’aria. Con un filo di voce rispose alla moglie: – Si Anna, e quello che più mi amareggia è che nostro figlio non ce ne abbia voluto parlare.

 –  O non abbia potuto – aggiunse la madre.  Al suono di quelle parole il padre sembrò tutto ad un tratto recuperare la lucidità e la voce: – Non potere? Per quale motivo? Sai qualcosa che io non so?

Rimasero svegli tutta la notte a farsi domande senza trovare risposte, l’alba li trovò addormentati sul divano. Il motivo c’era, un grosso motivo.

Da un amico aveva saputo che nella valle senza nome cercavano un guardiano. Da lì a poche ore si era presentato ed era stato assunto. Da quel giorno per i pochi confinanti lui diventò il guardiano della Valle senza nome.

In quel luogo riusciva a respirare. Il lavoro fisico lo aiutava a non pensare e non pensare era il primo passo per ritrovare la pace. Il cascinale ristrutturato di recente era un vecchio mulino ad acqua, che il proprietario appassionato di idraulica aveva dotato di un impianto che dalla gora che un tempo raccoglieva l’acqua per far girare la ruota ora entrava direttamente in casa attraverso una rete di vasi comunicanti.

La struttura era dotata di un impianto fotovoltaico e nei campi una volta seminati a grano facevano mostra di se una fila di pale eoliche pronte a garantire l’energia sufficiente alla casa. I proprietari avevano fatto trovare in casa ogni sorta di provviste e una cantina fornitissima.

Lo stipendio gli veniva versato sul conto corrente, anche se di soldi nella valle ne servivano pochi.  Quello che non produceva se lo faceva arrivare tramite un corriere.

Con il passare dei mesi la ricca terra riposata da anni gli donò frutta e verdura a volontà grazie ai preziosi consigli di Alessandro, un vecchio amico del Liceo ritrovato in chat durante una ricerca che il guardiano stava facendo sulla coltivazione dello zafferano. Le loro strade si erano separate quando Alessandro aveva scelto la facoltà di agraria. Si era laureato seguendo poi la passione per la biodinamica e di biodinamica parlarono a lungo, attraverso lunghe sessioni su Skype.

Il guardiano rimase affascinato da quel modo di trattare la terra, imparò a fare e usare i macerati di equiseto che cresceva rigoglioso lungo il corso dell’acqua e di ortica un modo naturale per difendere la piante da varie malattie e concimare il terreno. Dal vivo si incontrarono una sola volta, l’occasione era importante. Alessandro aveva parlato all’amico del corno letame, sistema prettamente biodinamico di nutrire il terreno ma era indispensabile vedersi per dinamizzarlo insieme sul posto.  L’imbarazzo del primo momento lasciò spazio alle tante domande del guardiano. Fecero un giro per la valle poi si accomodarono in veranda per gustare uno dei vini della sua fornita cantina, un Refosco dal peduncolo rosso che liberò il profumo di mora selvatica nell’aria, lo sorseggiarono in silenzio mentre le ombre della sera si allungavano sulla valle.

Le giornate erano scandite da albe e tramonti, il suo lavoro consisteva nel tenere in ordine i campi, la vigna, gli oliveti e prendersi cura degli animali. Gli animali erano la parte più difficile. I primi mesi furono i più duri, lui che non aveva mai avuto neppure un gatto si trovò a stretto contatto con pecore, conigli, galline, tacchini e papere. Ma dopo un anno erano quelli i suoi amici, degli altri sentiva poco la mancanza.

Ma non era quello il momento dei pensieri, la polenta con la carne in umido era quasi pronta, la prima della stagione. Il vino rosso versato per tempo emanava un profumo di fruttato che ne faceva presagire il gusto. Le lingue di fuoco che si allungavano nel caminetto non sprigionavano solo calore, lo facevano sentire al sicuro, a casa. Rovesciò la polenta fumante su un grande tagliere di legno, lasciò la carne in umido nel tegame di terracotta che portò in tavola e si mise a sedere. La tovaglia dai colori naturali faceva da cornice al piatto grande color terra bordato d’oro e al bicchiere di vetro finissimo che avrebbe esaltato il sapore del vino. La cena ebbe inizio.

Il guardiano si era affezionato a tutti gli animali, le pecore, Oreste, Margherita e la piccola Perla, Pippa la tacchina e il gallo Leopoldo e le tante galline. Nel suo cuore però si erano fatti spazio, Orazio e Paolina, una coppia di paperi e i due loro piccoli: Ettore e Camilla. Erano una bella famiglia e una coppia molto unita. Orazio correva incontro a Paolina ad ali spiegate, mostrandogli tutto il suo amore, lei la dolce Paolina non perdeva mai di vista il suo Orazio. Spesso facevano il bagno nel piccolo laghetto, per poi correre appaiati ad asciugare le bianche piume.  Al tramonto si avvicinavano tutti e quattro al guardiano per godere delle ultime luci, mentre lui si accendeva un sigaro toscano. La nuvola di fumo si mischiava all’odore dell’erba che sfiorata dal sole si liberava di mille profumi.

Il passato che ritorna

Aveva passato una bella giornata, dopo una buona cena si era acceso un sigaro, si era accomodato nella sedia a dondolo sulla veranda con il libro che un viandante gli aveva donato. Il libro, Il Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, era molto interessante, tanto da fargli perdere la nozione del tempo. Guardò l’orologio, era tardi e doveva alzarsi presto. Chiuse il libro e si mise a dormire cullato dal richiamo di un rapace.

Sognò. Andrea aveva scoperto proprio quel pomeriggio durante una riunione con i vertici della società per cui lavorava che Marco, il suo migliore amico e collega aveva fatto passare per sua l’idea di una nuova applicazione per smartphone, un’idea di Andrea che aveva fatto l’errore di condividere con l’amico spiegando i particolari, che avrebbe rivoluzionato la vita di milioni di persone portando profitti sia a lui che all’azienda. Quel pomeriggio durante la riunione settimanale Marco l’aveva presentata come sua.

Andrea pensò a uno scherzo ma mentre il suo amico continuava a spiegare la sua testa cominciò a girare come un vortice: vide gli anni passati a studiare, vide il tempo che aveva dedicato al lavoro, vide se stesso mentre combatteva per dimostrare che l’idea era sua, vide Marco che se ne prendeva i meriti… perse i sensi.

Si svegliò con tutti i colleghi attorno, felici nel vedere che si stava riprendendo. Tutti felici tranne uno: Marco. La riunione era stata sospesa per il suo improvviso malore e la festa di Marco era stata rimandata.

Nel sogno poi la scena si era spostata nell’ufficio di Andrea, la scrivania piena di carte e appunti, il computer ancora acceso. Era la sera prima delle sue dimissioni, la sera in cui aveva litigato con Marco.

Quella sera non parlavano come amici, litigavano a voce alta consapevoli che nel palazzo erano rimasti solo loro. Andrea si era ripreso da poco dal malore e voleva chiarimenti da Marco, erano tanto vicini che l’uno poteva sentire l’alito dell’altro, urlavano, urlavano.

Il guardiano si svegliò di soprassalto tutto bagnato dal suo stesso sudore, con il cuore che sembrava volesse uscire dal petto. Vecchi pensieri che sperava di poter cancellare tornavano più forti che mai. Si vestì. Non avrebbe più dormito, per il momento non voleva dormire, aveva paura che i fantasmi potessero tornare, sentiva il bisogno di uscire a respirare l’aria fresca di quella notte che non voleva finire.

Le giornate passavano lente per il guardiano, metteva in pratica i consigli di Alessandro dopo avere potato e concimato l’oliveto aveva fatto ricerche sulla viticultura, voleva sistemare la vigna tanto da renderla produttiva.

L’esposizione al sole e l’escursione termica tra il giorno e la notte la rendevano perfetta per un vitigno particolare, molto resistente alle malattie, tanto da non avere bisogno di nessun tipo di trattamento: avrebbe dato vita a un vino buonissimo.

Non sogni ma pensieri

Negli ultimi giorni il guardiano era pensieroso, la notte riposava male: la paura che gli incubi potessero tornare non gli dava pace. Pensava a quella maledetta sera. La sera che lui e Marco si trovavano vicini, troppo vicini. All’inizio aveva messo le mani intorno al collo di Marco per spaventarlo, ma le sue dita sembrano non volere lasciare la presa. Negli occhi di Marco vide un lampo di terrore e quel terrore fece correre un brivido di piacere lungo la schiena di Andrea. Me la deve pagare pensò, mentre le nocche delle dita diventavano bianche, strette com’erano intorno al suo collo.

Più le mani stringevano, più gli occhi di Marco si spalancavano quasi volessero uscire dalle orbite, la bocca si allargò dal dolore e dallo stupore lasciando uscire la lingua, una maschera! Una maschera che anche in quella drammatica situazione lo derideva. Sentiva le vene del collo di Marco pulsare lentamente sotto le sue dita, molto lentamente, lo stava uccidendo.

Quell’uomo lo aveva tradito e aveva fatto uscire la parte peggiore del suo carattere, lo doveva punire, alcuni secondi e tutto sarebbe finito. Un suono ovattato arrivò da lontano fino alle orecchie di Andrea come a volerlo risvegliare da quel raptus che si era impossessato di lui e non lo voleva abbandonare.

Era il suo telefono che appoggiato sulla scrivania suonava e vibrava, non smetteva, come lo volesse richiamare all’ordine. Di colpo Andrea aveva capito cosa aveva fatto: non si curò del telefono. Marco era scivolato a terra come una bambola di pezza, Andrea si guardò le mani, come aveva potuto fare una cosa così. Una parte di sé che non conosceva era venuta a galla, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.

La scomoda domanda di Camilla

Il vociare allegro di Camilla e Ettore lo fecero ritornare alla realtà. Ettore, la mamma e Orazio si erano allontanati, Camilla si era accovacciata vicino a lui, il suo calore lo faceva stare bene, guardavano il cielo che si stava tingendo di rosso.

Camilla, ruppe il silenzio – Guardiano… mi racconti la storia della tua vita, il motivo per cui hai lasciato tutto per venire ad abitare con noi nella Valle.

L’uomo trasalì, non credeva alle sue orecchie. Ma forse, dopo tutto quel tempo passato nella valle era normale. Ma perché proprio quella domanda?

Dopo alcuni minuti di silenzio l’uomo parlò.

 – C’era una volta…

Camilla lo interruppe subito –  E no! Per chi mi hai preso, per una bimbetta? C’era una volta la usano nelle favole dei bambini, io sono grande, voglio sapere la verità. Negli ultimi tempi sei molto pensieroso, qualcosa ti affligge, con me puoi parlare.

Era vero con lei poteva parlare, sapeva che Camilla non lo avrebbe giudicato. Si avvicinarono ancora un po’ tanto che il guardiano poteva sentire il cuoricino della piccola papera che batteva, il sole era scivolato fuori dalle valle, Venere era apparsa in cielo. La notte era appena cominciata quando il guardiano iniziò a raccontare del suo lavoro che lo appassionava tanto, dell’idea a cui aveva lavorato e del tradimento dell’amico. Gli occhi di Camilla, illuminati dalla lampada a olio, erano attenti ad ogni parola, la nuvola del sigaro toscano avvolgeva i due come un’impalpabile nebbia.

Le parole che uscivano dalla sua bocca non avevano più il peso dei vecchi ricordi, parlarne con qualcuno gli faceva bene, un pensiero gli attraversò la mente: – Forse ho dato troppo peso al lavoro –. Quel pensiero non raggiunse Camilla che seguiva con attenzione le parole dell’uomo.

Arrivò alla sera della lite, si fermò un attimo. Aveva paura che il seguito potesse spaventare Camilla ma lei voleva sapere, nei suoi occhi non c’era giudizio ma un attento ascolto a cui lui non era abituato. – Tutti vogliono parlare e in pochi ascoltare – pensò. Camilla era tra i pochi che volevano ascoltare.

Andò avanti, avanti ancora fino allo squillo del telefono che lo svegliò dall’oblio, descrivendo la faccia di Marco contorta in una smorfia grottesca e spaventosa. Camilla non era spaventata, ascoltava le sue parole e ora ascoltava il silenzio. Il racconto di Andrea si era interrotto.

Quando riprese a parlare il guardiano disse a voce bassa – Non l’ho ucciso, se è questo che vuoi sapere, mi sono fermato in tempo. Volevo chiamare i soccorsi, Marco con la mano mi fece cenno di non farlo.

Con un filo di voce mi disse – Questa cosa deve rimanere tra noi – Non capii il motivo allora e non lo capisco ora. Ero sconvolto dalla mia reazione, non conoscevo il mio lato oscuro, dovevo allontanarmi per ritrovare il mio equilibrio, non ebbi il coraggio di parlarne nemmeno con i miei genitori.

– Ora capisco la tua scelta, vivere nella valle – disse Camilla – ma non è isolandoti dal mondo che trovi la pace, può capitare a tutti di perdere l’equilibrio. E’ importante rendersene conto e conoscere i propri limiti. Se fuggi i tuoi incubi ti seguiranno… li devi affrontare.

Camilla aveva ragione. Da giorni Andrea sentiva il bisogno di rivedere Marco: aveva saputo che l’azienda l’aveva licenziato.

Il guardiano ruppe il silenzio: – Domani mi alzerò presto, ho bisogno di uscire, di rivedere Marco e fare i conti con il passato… grazie Camilla per avermi ascoltato.

La piccola papera non disse niente, piegò la testa sul lato destro, poi allungò il collo verso l’ala… era felice di essergli stata utile.

A chiudere i conti con il passato

La mattina seguente il guardiano mantenne la promessa, vide sorgere il sole, prese la bicicletta nel fienile e quando tutti gli animali ancora dormivano uscì dalla valle, lasciandosi il grande cancello di legno alle spalle. Solo Camilla sapeva dove andava ma non lo disse a nessuno.

Andò dritto alla vecchia casa di Marco, le finestre erano chiuse e non vide la macchina parcheggiata in giardino.

Provò lo stesso a suonare il campanello ma dall’interno della casa non giungeva alcun rumore.

Stava per salire in bici quando una voce alle sue spalle gli fece gelare il sangue – Ciao Andrea. Come mai da queste parti?

Era tanto che nessuno lo chiamava Andrea ma non era questo il motivo della sua reazione.

Era Gianna, la mamma di Marco… quanto sapeva sua madre di quello che era successo.

Dal sorriso che la donna aveva stampato in faccia, poco o niente.

Dopo essersi ripreso dall’imbarazzo Andrea disse – Buongiorno Gianna, passavo di qua, volevo salutare Marco. 

Gianna sembrava sorpresa – Salutare Marco? Ma sono due anni che non abita più qui, da quando si è licenziato.

Andrea voleva correggerla: – …lo hanno licenziato – ma non lo fece e balbettando disse – Due anni… e dove è andato?

Gianna con un sorriso smagliante disse: – A coronare il suo sogno. Con la sua liquidazione ha aperto un bar su una spiaggia cubana, a Cayo Coco. Passa le sue giornate a servire Cuba Libre e Daiquiri e di notte a ballare la Bachata in ciabatte e bermuda con la nuova ragazza: Jiuanita.

La risata di Andrea esplose come una cascata d’acqua fresca. Di colpo si sentì leggero, leggero come non si era mai sentito da anni. Marco aveva trovato la sua strada, ora toccava a Andrea trovare la sua, salutò Gianna con un abbraccio. Doveva fare un’altra cosa quella mattina, rivedere i suoi genitori.

L’inizio di una nuova vita

Suonò alla porta e dopo il primo momento di imbarazzo Anna, con gli occhi lucidi gli fece cenno di entrare. Con la gola chiusa dall’emozione chiamò il marito, mise al fuoco il caffè e tirò fuori dal forno la torta con le mele. Andrea doveva riannodare i fili strappati due anni prima. Fu meno difficile di quello che pensava: li mise al corrente del suo progetto che per il momento aveva illustrato solo ai proprietari della Valle senza nome. Anche i suoi genitori, come i proprietari della villa, ne furono felici. Voleva far diventare quel posto un luogo aperto a tutti, affittare una parte della casa per brevi periodi, cercare la collaborazione di Alessandro in quanto docente in una scuola di agraria per studiare un progetto scuola – lavoro che desse la possibilità ai ragazzi di inserirsi nel mondo del lavoro. I campi poi erano tanti e si potevano sperimentare nuove coltivazioni. Voleva ampliare la coltivazione dello zafferano, che in quella terra cresceva rigoglioso.

Aveva chiesto e avrebbe ottenuto l’ampliamento della serra fredda per le semine degli ortaggi, specialmente zucchine e pomodori. Sapeva che Alessandro era un custode di semi e proprio di semi di pomodoro non trattato gli aveva parlato in chat. Ortaggi che una volta pronti potevano essere venduti direttamente nella valle, la cosiddetta filiera corta. Prima che il padre potesse parlare Andrea disse: – Mi volete aiutare?

I suoi genitori non aspettavano altro, quasi in coro risposero –  Certo!

Fu mamma Anna a prendere la parola – Io ho insegnato per anni, lo sai, si potrebbe organizzare uno spazio per la didattica, dove i bimbi durante le vacanze estive possono vivere a contatto con la natura e capire come nascono le verdure, ho degli appunti da qualche parte, prima di andare in pensione la scuola ci aveva dato un fazzoletto di terra dove i bimbi si divertivano nelle semine… dammi il tempo di cercarli.

Alberto non fu da meno: per anni aveva tenuto la contabilità in una grande ditta e avrebbe messo le sue conoscenze al loro servizio.

Ora doveva parlarne ad Alessandro. Gli lasciò un messaggio in cui diceva che aveva urgente bisogno di parlagli, non in chat, di persona, era una cosa importante.

Alessandro finita la riunione a scuola aveva visto il messaggio di Andrea. Preoccupato aveva chiamato l’amico.

– Andrea, è successo qualcosa?

– Hai impegni per cena? Ti dovrei parlare, è una cosa importante… una bella cosa.

– Va bene per le otto?

– Bene!

Durante la cena Il guardiano espose all’amico il suo progetto nei dettagli, anche se alcune parti erano da rivedere e approfondire. Alessandro ascoltò in silenzio, il progetto di Andrea era il suo sogno da tempo, sogno che avrebbero realizzato in due. Brindarono con un Nobile di Montepulciano, arrivato dalla Toscana.

La mattina di buon ora il guardiano si alzò, doveva avvisare Camilla.

Orazio e Paolina facevano il bagno nel laghetto, Camilla e il fratello strappavano con il becco la cicoria appena spuntata, ancora dolce. Il guardiano aspettò che Ettore si allontanasse e si avvicinò a Camilla – Ciao Camilla, dopo la nostra bella chiacchierata ho fatto ordine nella mia vita, ho parlato con i miei genitori e con Alessandro, vogliamo coinvolgere i giovani e chi vorrà in un bel progetto.

Glielo illustrò brevemente, poi le avrebbe spiegato i dettagli.

La piccola papera lo guardò, girò la testa prima a destra, poi a sinistra… rimase in silenzio.

Rimase in silenzio perché la piccola papera non parlava, non aveva mai parlato.

Solo allora il guardiano capì che erano i suoi pensieri che le avevano dato voce. Il guardiano sorrise.

Era l’inizio di una nuova vita, una nuova fantastica vita.

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2 commenti »

  1. Una bella storia compiuta, una favola contemporanea con una bella morale. Molto bella la prima parte che ha un ritmo accattivante e fluido. Una volta catturato il lettore si prosegue con il resto della storia che non delude le aspettative. Ottimo lavoro. Complimenti

  2. Affascinante comunque: nonostante qualche incongruenza e qualche ingenuità non si può fare a meno di gustarlo. Ha una “musica” e un ritmo tutti suoi. Mi è piaciuto…

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