Premio Racconti nella Rete 2019 “Con il santo” di Isabella Torazza
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019Era opinione comune che i Graziani fossero impazziti quel giorno. Pure il prete ne era convinto.
Gli abitanti di Colsanto non avevano motivo di dubitare delle confidenze da confessionale del prevosto, tanto sbracato nel raccontare i fatti altrui quanto preciso nel riportarne protagonisti, dettagli e collocazioni spazio temporali. In paese tutti riconoscevano il merito a Pina e Rita per le notizie di prima mano. Le due s’avvicinavano alla faccia sbilenca da quarto bicchiere del prevosto e non si curavano di Lucio che con un nervoso sbattere di tazze, tazzine e cucchiaini sembrava voler rovinare il momento. Le vicende narrate sulla famiglia, tra le quali si distingueva quella della camicia indossata al contrario dal signor Graziani per una settimana intera, facevano supporre che fossero strani prima della tragedia, una sorta di predisposizione alla follia.
A discapito della suggestione, Colsanto si trovava, e si trova tuttora, nella pianura lombarda. Si narra che il paese debba il nome a un errore di trascrizione, che di lì fosse passato un santo, San Geremia, che aveva restituito acqua a un Po sempre in secca e che il detto “vita nuova con il santo” fosse stato poi abbreviato in “con il santo”, come augurio di buon auspicio. Parve opportuno tenere lontana la malasorte in via definitiva celebrando Geremia e venne indetta una petizione, la decisione fu unanime: Mezzana Borroni divenne Colsanto. L’addetto alla trascrizione degli atti lo ritenne più elegante di Conilsanto.
I Graziani erano fruttivendoli da tre generazioni. I coniugi avevano venduto la maggior parte delle terre e dato in comodato i frutteti in cambio di pesche, albicocche e mele da vendere. Lui non aveva attitudine al lavoro nei campi e lei, dopo la nascita del terzo figlio, riusciva a stare in negozio mezza giornata o poco più. Gli abitanti di Colsanto li ritenevano degli scansafatiche: assieme alle zolle avevano ceduto il sudore e i sacrifici dei genitori e dei nonni addietro, per una manciata di lire destinate a svolazzare a terra come foglie d’autunno a cui non resta altro da fare che marcire.
Il giorno tragico non differiva dai precedenti: le camiciole del lino più pregiato s’appiccicavano ai corpi, Pina e Rita sostavano silenziose sotto il ventilatore a pale del soffitto del bar, riverse sulla sedia, con le gambe un poco aperte e le sottane tirate su.
I Graziani erano andati al fiume. Chi ce lo fa fare di aprire il negozio, aveva detto il marito, chi se ne importa, aveva detto la moglie; avrebbero fornito un nuovo pretesto ai compaesani, a rincaro dei preconcetti d’indolenza che li accompagnava dal giorno della svendita; preconcetti che i due indossavano con un certo vezzo, come un cappello logoro abbellito da piume colorate.
Una brezza costante, seppur rovente, li aveva ricompensati. Avevano lasciato al paese l’aria umida e stantia che pesava sulle spalle accorciando le persone.
Avevano divorato panini e una macedonia d’anguria e melone. Le dita appiccicose dei bambini erano state motivo di litigio: prendevano la frutta e dopo averne succhiato un pezzetto volevano correre al fiume per sciacquarle. Il signor Graziani aveva invitato la moglie a non essere pedante, era una giornata di svago. Sulla sponda opposta un pescatore danzava col filo.
Lo sapevano tutti, anche i Graziani, che il fiume era ed è pericoloso. L’acqua, pur apparendo immobile e accogliente, è abitata da demoni che aggrovigliano le correnti e le governano secondo i loro capricci. Nei fiumi ci sono mulinelli che tirano sotto, come se qualcuno dal profondo delle acque prendesse i bagnanti per le caviglie e li trascinasse sul fondo, per non farli più risalire, senza nemmeno restituire i corpi. Era successo al pastore tedesco dei loro vicini di casa e successe ai loro figli quel giorno.
Era stato il pescatore a dare l’allarme in paese. Le urla della madre avevano attirato la sua attenzione. La donna, con l’acqua all’ombelico, squarciava l’aria senza sosta percuotendo il fiume, lividi liquidi concentrici s’allargavano sulla superficie. Il macellaio di professione, pescatore per diletto, lasciata cadere la bicicletta, era quasi svenuto sulla soglia del bar, i polmoni a pretendere aria, i muscoli delle cosce che pulsavano. La canna da pesca, la cassetta con le lenze e gli stivaloni erano rimasti al fiume, sdraiati sulla ghiaia a intristire il panorama.
I sommozzatori avevano abbandonato le ricerche dopo una settimana.
Da quel giorno gli abitanti di Colsanto avevano iniziato a far compere nel negozio della povera famiglia; scambiavano due parole, gli portavano delle uova, un pantalone con l’orlo sfatto, avanzi di lana. S’era così scoperto che la Graziani cuciva, faceva la maglia e preparava una torta margherita da pasticceria milanese.
Dei bambini non s’era mai trovata traccia, nulla che ricordasse il loro passaggio in acqua. I mesi erano trascorsi portando l’inverno, e una fiacca normalità s’era riappropriata del paese. Nessuno acquistava più; cavoli, verze e mele avvizzivano nelle ceste. Era opinione dei Graziani che la causa fosse la mancanza di varietà stagionale. Opinione assai distante dal vero: i colsantesi avevano smesso di comperare da loro perchè non li sopportavano più. Era un problema di atteggiamento. I Graziani erano sempre di buonumore. Sempre e troppo. Pacche sulle spalle, tutti sorrisi e battute; non si poteva tollerare che avessero voglia di scherzare con il portafogli vuoto, la neve appoggiata alla soglia e tre croci al cimitero senza corpi sotto la terra smossa. Erano impazziti, lo diceva anche il prete. La tragedia li aveva resi folli, meglio starci alla larga, che quella pazzia, seppur non contagiosa, risultava parecchio irritante.
Una sera come tante il parroco biascicava, sbattendo il bicchiere di rosso sul piano di marmo – dobbiamo aiutarli, sono compaesani, un po’ di buon cuore, gente, non dovrei dirlo, lo so, il Signore mi è testimone, ebbene, la signora Graziani m’ha rivelato che- e qui il religioso snocciolava le parole come grani d’un rosario, riservando a ognuna il tempo che meritava – ebbene, la signora Graziani m’ha rivelato che tutte le domeniche incontra i suoi figli.
La mano di Lucio il barista era rimasta chiusa a cerchio, lo schianto della bottiglia a terra e del vino che s’allargava come sangue non aveva scalfito l’uditorio.
– Già, proprio così. Li incontra al fiume. Dice che anche il marito li incontra ma lui non lo vuole confessare, che non è peccato incontrare i propri bambini.
– Che? Come? Ma come li incontra?
– Dice che li incontra nell’acqua. Dice che lei e il marito vanno sotto e parlano con loro. Dice che stanno bene e pregano per noi.
E giù Rita e Pina a segnarsi, un po’ sul petto e un po’ sulla fronte, che con le fiamme dell’inferno non si scherzava.
– Li aiuteremo – aveva detto Lucio, asciugandosi le mani sul grembiule – li aiuteremo. Tutti qua. Domenica. A che ora, prete?
– Vanno al fiume all’ora dell’annegamento.
– Qua, alle quindici in punto. Anche tu, prete. Riposerai più tardi.
Pina si era presentata in pelliccia confondendo quella domenica con una qualunque. Dai tetti era tutto un gocciolare rapido di neve che si squagliava. La comitiva sembrava in ascolto del concerto d’acqua, ma pare più probabile che ognuno pensasse a quel che lo attendeva. Lucio aveva negato al parroco il bicchiere di rosso. Il macellaio apriva e chiudeva il coltello multiuso con precisione da metronomo: pensava alla grossa vacca piemontese che lo aspettava gelida in laboratorio, ne avrebbe ricavato un guadagno consistente, avrebbe tenuto pure gli occhi per qualche sciocco padrone di cane.
Un sole anomalo s’appoggiava alla poltiglia insudiciata. Li avevano trovati subito. Conoscevano con esattezza il luogo crudele perché nell’estate del giorno tragico non vi era colsantese che non si fosse recato al fiume col desiderio di finire in qualche fotogramma del tg, tutti eccetto Lucio. I Graziani, mano nella mano, s’avviavano a piedi nudi verso l’acqua, i giacconi sulla riva, appesi a un ramo trascinato dalla corrente, la neve risucchiava i suoni.
– Fermiamoli, moriranno! Il prete s’agitava.
Lucio, le braccia larghe a croce, a bloccare il passaggio – tutti immobili, e zitti.
Il parroco col rosario tra le mani pregava e pure il macellaio, che in chiesa non entrava da un pezzo, s’accodava sul finire delle frasi. Pina e Rita s’erano strette l’una all’altra. Lucio pareva un albero dal tronco largo, con le radici che sprofondavano nel terreno e arrivavano al fiume.
L’acqua immobile, come doveva essere apparsa il giorno tragico, aveva risucchiato i coniugi, un passo dopo l’altro. I polpacci, le ginocchia, le cosce e le pance, avanzavano quieti verso la sponda opposta, verso la follia, verso morte certa.
– Non possiamo lasciarglielo fare, è mio dovere impedirlo – i grani del rosario tremavano tra le mani.
– Fermo, prete. Se vogliono morire, moriranno, è un loro diritto e non li fermeremo per lavarci le coscienze – la mano di Lucio, albero dalle radice profonde, gravava sulla spalla del parroco.
I capelli della signora Graziani avevano galleggiato un attimo, sdraiati sulla superfice lucida prima di scomparire.
Non vi era traccia di vita, non vi era un suono, anche il vento riposava. Le gocce immobili a penzolare dai rami senza staccarsi. Il tempo trascorso non si poteva misurare in minuti, era tempo scandito dai gradini scesi verso gli inferi. Erano giunti al termine. Erano tutti assassini, dannati, nessuno meno degli altri e se la ragione addossava un po’ più di colpa a Lucio, gli animi sapevano che non esisteva redenzione per gli occhi che s’erano posati sulle due anime alla deriva. Il rosario abbandonato a terra, il macellaio s’avviava all’auto – ho una vacca da sventrare.
-Eccoli!
Lucio aveva allungato un braccio verso il punto in cui erano sprofondati, c’era del movimento simile a quello dell’acqua smossa dalla voracità dei pesci che scoprono una mollica di pane. Erano emerse le fronti, i sorrisi, le anche, erano emerse le mani giunte tra loro. I Graziani guardavano la comitiva con benevolenza.
L’acqua era svanita all’istante dagli abiti e dai corpi. I capelli della donna svolazzavano lievi, s’era alzato il vento a ridare vita al paesaggio sospeso.
La signora Graziani aveva appoggiato la fronte su quella di Lucio. Il prete teneva le mani sul cuore. Il macellaio sorreggeva le donne.
– Venite con noi, i bambini ne sarebbero felici.
Lucio aveva già cavato le scarpe, il parroco lacrimava col rosario al collo, il macellaio, dimentico della vacca da spolpare, correva in direzione dell’acqua. Pina e Rita, sottobraccio ai coniugi, s’avviavano al fiume; si sarebbero inabissate e se fossero riemerse sarebbe stato l’unico segreto che avrebbero portato nella tomba. Pina teneva la pelliccia stretta sulle spalle. Qualcuno passando di lì l’avrebbe potuta rubare.
Quanto è bella, e poetica, e onirica, a volte, la follia. Brava Isa!
Una prosa davvero efficace, più che dagli eventi sono stato trascinato dal ritmo. Bravissima.
Brava, complimenti. Storia di una lucida follia con un finale che mi è piaciuto moltissimo.
una storia raccontata con maestria, Isa sei davvero brava!
Mi piace molto come sono caratterizzati i personaggi, pochi tratti ma molto significativi che lasciano il giusto spazio alla fantasia del lettore
Isabella, il racconto mi ha spiazzato. Ben scritto, visivo, onirico. Mi sono chiesta, fino alla fine, dove volessi andare a parare e mi hai lasciato basita. Personalmente non amo i racconti surreali, ma devo dire che il tuo mi è piaciuto molto, hai dotato i Graziani di umanità, li hai fatti amare al resto dei cittadini, e anche a noi lettori.
Grazie Antonella, Luca Luca, Anna Rosa, Valeria,Elisabetta per i commenti. Siete stati buoni buoni!
Che ansia! Nel senso: che bene che hai reso questa follia! Davvero brava!