Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Coniugazione di punire: Io, tu e loro” di Maria Giovanna Mulè

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Condivideva da anni la casa con un inquilino, che definiva “anonimo”.

Non gli importava chi fosse in realtà: freddamente, dentro di sé, registrava solo due dati, la presenza in casa e la corresponsione mensile dell’affitto, sempre sul conto bancario.

Con il suo gatto era diverso, perché il felino era indipendente e a tratti affettuoso.

Con me, invece, ha giocato dal primo istante a nascondino, poi a guerra e pace, fin quando, decise di rinchiudermi in una prigione, senza ulteriori trattative: solo lui avrebbe stabilito le modalità per usufruire della mia ora d’aria, per ragioni definite “di servizio”.

Mi sono dovuto abituato a stare in una piccola cella, piena d’acqua, in compagnia dei miei monologhi. Riteneva che così mi avrebbe messo a tacere e tenuto lontano dalla maschera che indossava. Era certo del suo controllo assoluto su di me.

All’occorrenza, mi portava a spasso. Apriva la credenza, svitava il barattolo e, come si fa con le pasticche, quelle più amare da mandar giù, dopo aver studiato attentamente la posologia, mi deglutiva, per intero. Per arrivare a questa soluzione radicale, aveva frequentato un corso di idro-colon terapia, applicando le sue nuove conoscenze a questo caso specifico. Aveva appreso a espellermi, senza perdersi un pezzo di me, per poi rinchiudermi ancora una volta nello stesso barattolo.

Aveva deciso di usarmi: un accessorio necessario, solo per mietere vittime, conquistando ragazze sensibili, a cui estorcere amore.

In quelle situazioni voleva sfoggiarmi, per esser capace di sussurrare e comporre poesie dedicate alle amate, esternando una apparente empatia. Tutto calcolato: la preda cadeva nella trappola e io di nuovo nel barattolo, a chiedere aiuto con tutta l’anima.

La vita di Ottavio procedeva in maniera prestabilita, fino a quando, un giorno accadde l’inaspettato. Ha dimenticato di chiudere lo sportello della credenza, il gatto si è arrampicato e con la coda ha inferto un colpo mortale al barattolo.

Splash. Sono caduto per terra: è stata l’emozione più grande della mia vita.

L’inquilino è entrato in cucina, quasi subito, e vedendomi nudo nel pavimento, ha iniziato a urlare, a delirare: tra una parola e l’altra senza senso, chiamò la polizia e l’ambulanza.

Dopo 20 minuti, tutti erano intorno a me: il dottore con lo stetoscopio, e la polizia interrogando l’inquilino, alla ricerca di tracce di un corpo che non si sapeva, come e dove cercare.

L’inquilino così anonimo, ha smesso di esserlo, nel momento in cui si è trovato a dover dare i suoi dati sensibili alla polizia, testimoniando. Il dottore diceva:<< È un cuore che batte. Presto, portiamolo via>>. Parlavano di una possibile ipertensione, ma l’unica cosa certa era che battevo come non mai, sperimentando nuovi ritmi, finalmente libero.

Mi sono trovato in una barella di ospedale, con attaccati macchinari che mi monitoravano: tutti erano preoccupati per me, mentre io invece ero felice.

Decisero in fretta di trapiantarmi nel corpo di un bambino che stava in quelle ore, nello stesso ospedale, lottando per rimandare la morte.

In quell’attimo, ho pianto dentro di me, come solo un cuore è capace di fare, per lui, per Ottavio, che aveva fatto della sua vita un’opera d’arte, ma fredda e sterile.

I cuori, però, tutto sanno: non ci sono distanze che tengano.

Vedevo ciò che accadeva altrove, ovunque.

Quello stesso pomeriggio, tornato a casa, Ottavio non si era accorto di nulla e ha iniziato a fare un sogno durato millenni, attraversando vite passate, in cui era stato colpito di nascosto, sempre dritto al cuore, ogni volta in modi e secoli diversi.

Svegliatosi con un dolore, dentro, in profondità, è andato dritto alla credenza e ha visto che non c’era più il barattolo, proprio quel barattolo.

Si è sentito impazzire. Ha chiamato l’ultima delle sue vittime, gridandole:<<Mi hanno strappato il cuore>>. Lei gli ha riattaccato il telefono, urlandogli tutta la rabbia taciuta fino a quel momento:<<Tu, proprio tu, che mi hai fatto a pezzi>>.

Non compreso, si è recato in ospedale, dichiarandosi affetto da una patologia rara:<<Sono affetto da vacia pectoris. Vivo senza cuore>>.

I dottori ridevano di lui, ma continuava a invitarli a verificare l’attendibilità delle parole narrate, con opportuni esami di laboratorio. Con enorme sorpresa, gli esperti del benessere constatarono il vuoto cosmico nella cassa toracica, e dopo aver radunato i migliori studenti per un’analisi attenta del caso, predisposero immediatamente una operazione chirurgica a “cuore aperto”.

Così scrivevano nella modulistica, anche se si trattava di un evidente errore, di una definizione tecnica obsoleta, per un caso così stravagante. Sarebbe stato più opportuno parlare di intervento a “vuoto aperto”: noi cuori ci teniamo al corretto uso delle parole.

Entrando nella sala operatoria, per la prima volta in vita sua, Ottavio implorava che gli venisse colmato quel vuoto, adesso riconosciuto, con qualunque materiale fosse a loro disposizione.

Si è sciolto in lacrime, come il bambino che contemporaneamente si svegliava dal lungo trapianto, felice, con me dentro.

Quindici ore dopo, ad attendere il risveglio di Ottavio c’era solo la polizia.

In quelle ore la community, attraverso il sistema di voto digitale, aveva approvato da casa, con il 70% dei voti favorevoli, un nuovo provvedimento legislativo per regolamentare la condizione giuridica del cuore: ritenuto l’unico essere, che lavora, in ogni parte del mondo, in maniera involontaria 24 ore su 24, senza pause, diritti a ferie, straordinari retribuiti e scioperi, capace di parlare tutte le lingue esistenti, viene riconosciuto patrimonio dell’umanità, dalla nascita all’aldilà.

Nello stesso momento, il 30% dei votanti una preferenza diversa dal sì, diffusero propri selfie su tutti i social networks: ognuno cercava di dimostrare le proprie innate capacità nell’arte della tutela del cuore e difendeva la propria autenticità.

Un comunicato ufficiale circolava nella rete: <<In nome di Facebook, Twitter e Instagram, a partire da oggi entrerà in vigore la legge n 888888/2018. Si decreta che qualunque atto contro il cuore, sarà punito gravemente, secondo i seguenti artt. e successive modifiche e integrazioni>>.

Il caso di Ottavio rientrava nelle disposizioni dell’art. 8, comma 3.

Si trattava di un sequestro immotivato del cuore, con l’aggravante di attentato al proprio fuoco divino.

Ottavio, carceriere e prigioniero di sé stesso da una vita, provò finalmente sollievo all’idea che qualcuno diverso da lui, riuscisse a infliggergli una pena, socialmente riconosciuta.

I suoi occhi non videro mai più il suo cuore, ma fu così che apprese a sentirlo.

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3 commenti »

  1. Originale questa “umanizzazione del cuore”. Piaciuto

  2. Grazie Monica del tuo prezioso commento.Ringrazio anche in anticipo chi vorrà lasciare un commento dopo aver letto il racconto.Ogni vostra traccia di passaggio più solo essere un prezioso stimolo

  3. Un racconto che fa parlare una parte umana è sempre surreale, ma questo è surreale al quadrato. Sarebbe surreale anche se al posto del cuore ci fosse, che so, un criceto o qualunque altra cosa. Siamo in Brazil se fosse un film. Brava!

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