Premio Racconti per Corti 2010 “Fuori tempo” di Davide Caliandro
Categoria: Premio Racconti per Corti 2010Il live era appena finito e la band stava già sistemando gli strumenti nelle loro custodie. Il chitarrista, più degli altri, sembrava contrariato da qualcosa. Quel qualcosa gli rendeva i nervi visibilmente tesi. Non parlava ne fiatava, ma le labbra serrate ricordavano un tappo di spumante pronto a saltare e gettar fuori parole cariche di risentimento, di accusa. Invece fu il cantante a sbottare. Proprio quello che finisce per prima di mettere a posto i propri attrezzi. Non avendo null’altro sotto mano che potesse aiutarlo ad allentare lo stress, avvolse con dei rapidi strattoni la prolunga del suo microfono e poggiò le mani sui fianchi, guardò fisso nel vuoto per qualche secondo, dando le spalle alla sezione ritmica come al solito schierata sul fondo del palchetto, e poi si voltò di scatto verso il batterista. Due passi veloci per avvicinarsi e un leggero piegamento del busto in avanti misero già il suo volto a venti centimetri da quello del colpevole dell’ignobile fiasco della serata. Il condannato, senza processo, non si era ancora alzato dal suo sgabello di ordinanza e stava mettendo via i piatti con dei movimenti placidi e felpati, come a voler passare inosservato.
“Porcatroia! Ti rendi conto che ci hai rovinato la serata?”
e lui zitto.
“Ma come cazzo ti viene di anticipare così le battute? Me lo spieghi?”
disse il cantante con voce stizzita, ma poco amplificata: non voleva aggiungere brutte figure a quella già fatta, nonostante nel piccolo pub fosse rimasto solo il personale del locale.
Nel parcheggio, nessuno rivolse la parola al batterista, mentre caricavano in macchina gli strumenti. Appena finito, solo il bassista, il più calmo di tutti, si fece avanti
“E dai non ci pensare”
e lui zitto, si accese una sigaretta.
“Spaghettata solita a casa mia? Ci sei?”
“No, credo di non far più parte del gruppo ormai”
Si allontanò verso la sua macchina e mentre tirava la portiera verso di se, una voce femminile bloccò la sua voglia di solitudine.
“Dario!”
E Dario si girò.
“Ero certa che fossi tu.”
Esclamò la donna, soddisfatta.
“Ti ho guardato per tutto il concerto. Mi chiedevo: è lui, non è lui? Ma il tuo naso mi ha ricordato i giorni di scuola.”
Rideva, sempre soddisfatta.
“Martina! Ammazza che figa sei diventata!”
E frenò subito la lingua, ma tanto a belle figure era a posto quella sera.
“Siete stati bravi”
Martina virò su altri argomenti
“Si, come no!”
“Davvero.”
“Lascia stare, stasera eravamo nemici su quel palco.”
“A me è piaciuto”
Martina sorrise, intontita.
“Vieni a bere qualcosa con me? Festeggiamo la reunion!”
Disse Dario, per svoltare.
“Ehm, veramente dovrei andare.”
“Dai, un brindisi ai vecchi tempi, no? Te lo ricordi Spagnoli, quello di latino? La colla sulla sed..?”
“No, davvero, mi aspettano.”
“Dai, sei splendida stasera. Lo sai che mi sei sempre piaciuta, dammi un’altra possibilità.”
“C’è mio marito in macchina, è troppo tardi, mi spiace. Ciao Dario.”
Dario entrò in macchina, accese il motore e mise un pezzo jazz, per farsi del male. La musica lo accompagnava a casa, scivolando nella sonnacchiosa notte della città. Ad un tratto, un tonfo. Aveva investito un uomo. O meglio dire, un uomo si era gettato di corsa contro la sua auto nel tentativo di attraversare la strada. Dario scese dall’auto e si avvicinò preoccupato al malcapitato che si era già rimesso in piedi e tentava di allontanarsi trascinando un ginocchio dolorante e una busta di plastica in una mano
“Ma.. aspetti.. ha bisogno dell’ospedale.”
quando un poliziotto in tuffo olimpico si avventò al collo dell’infortunato. Dario, visibilmente scosso, non fece in tempo a capire la situazione che si sentì toccare una spalla da un altro poliziotto
“Non si preoccupi, lo portiamo noi in ospedale. A pedate!”
“Ma che è successo?”
“Ha rapinato una farmacia e stava per sfuggirci. Lei vada a casa, non si preoccupi, ce la vediamo noi adesso. E grazie: tempismo perfetto!”
Dario si voltò a guardare il paraurti della sua auto, per niente contento della sua puntualità.