Premio Racconti nella Rete 2019 “Help” di Valeria Vecchiè
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Fine Ottobre. La giornata era assolata e chiara come di prima estate. Michelle, scesa dal bus n.21, percorreva il viale verso l’Istituto in cui insegnava. Con le cuffie nelle orecchie e la borsa a tracolla pareva una di loro, i tanti studenti diretti in aula. Di Istituti professionali ne aveva visti vari ed era abituata alle aule di periferia, al rapporto difficile con quei ragazzi di varie etnie, disillusi, poco fiduciosi nella vita e nel futuro. Prof, ma lei che ne sa? Lei è laureata e prende lo stipendio! – Laurea e stipendio si ottengono con dei sacrifici e ci puoi arrivare anche tu. Smettila di fare la vittima e vedi di venire a scuola sempre e non a giorni alterni, capito? Sappi che a te ci tengo!
I care, io ci tengo, il motto da seguire e da mettere in pratica, la chiave di tutto il rapporto. E cosi lei ce la faceva sempre, con il passare dei mesi, con fatica, ma ce la faceva, e pian piano spuntavano i sorrisi dietro quei berretti e Michelle riusciva a far passare anche qualche emozione con i versi della letteratura che, con parole semplici, spiegava, per far giungere il messaggio a tutti i ragazzi, nessuno escluso. La musica era sua grande alleata nel suo modo di fare scuola. – Ogni brano vale come comunicazione doppia, siete convinti? Musica e parole insieme: dove non arrivano le note arrivano le parole e viceversa. Capite la grandezza? Kevin vieni ad aiutarmi per favore!
E cosi l’aula si colorava di note, prima il Rap, per parlare lo stesso linguaggio dei ragazzi, e poi via con i Beatles, passione trasmessale dai suoi genitori, che, non a caso, l’avevano chiamata Michelle. Lei era diventata esperta a far convivere i versi di Dante con i versi delle canzoni, con il linguaggio di strada e con i valori della vita. In quelle aule era quello che ci voleva: con il trascorrere dei mesi quei ragazzi rispondevano, esternando quella tenerezza fino a quel momento protetta fra le pieghe delle loro felpe. Molti di loro, poi, ai Beatles si erano pure appassionati e, senza fare troppa pubblicità, ne avevano scaricato i brani sul proprio IPod.
Ma non lui, il moro del penultimo banco, detto Lupo, per via del tatuaggio sul braccio, ma anche per la sua indole solitaria, a lui Michelle non riusciva ad arrivare, pur avendo provato, senza risultato, in ogni modo: con sguardi discreti ed indulgenti, come dire – quando hai voglia di parlare io sono qui, con la collaborazione dei compagni – Prof, non possiamo farci niente, non parla nemmeno con noi!, con tentativi di contatto con la famiglia, inesistente, e in altri modi, del tutto inutili. Quando c’era, Lupo se ne stava al suo posto, schivo, senza partecipare ai momenti allegri della classe, senza indulgere mai a quel clima disteso che lei, ogni giorno, cercava di creare. Talvolta lui guardava Michelle e pareva volerle dire qualcosa, ma, incontrando gli occhi della prof, tornava a chiudersi nel suo atteggiamento di cupa ribellione. Ma proprio in quello sguardo, perso e dilatato, Michelle aveva intuito il problema, almeno quello più urgente, da affrontare al più presto, ed il fatto di trascorrere le giornate senza riuscire a gettare un ponte le dava un senso di vuoto e di frustrazione. Nell’ultimo mese, poi, Lupo raramente era a scuola ed era stato visto in luoghi che non facevano ben sperare. Quella mattina pertanto, la sua presenza in classe era un’occasione importante, da non perdere. – Oggi voglio farvi ascoltare un brano dei Beatles, Help, che parla del bisogno di AIUTO, del dare e ricevere aiuto. Secondo voi un artista come J. Lennon, al culmine del successo, ha fatto la cosa giusta a cantare una richiesta d’aiuto? – Lennon forse ha fatto male a mostrare debolezza. Avrebbe potuto danneggiare il gruppo… Partono i commenti, la discussione si accende. – Io credo, ragazzi, che abbia dato prova di forza d’animo: chiedere AIUTO è un atto di coraggio e consapevolezza e non bisogna mai e dico MAI vergognarsi o aver timore di chiedere aiuto! Dai, ascoltiamo insieme il brano!
Help, I need somebody, help! Partono le note e Michelle guarda Lupo. Lupo questa volta guarda la prof.
I never needed anybody’s /help in any way/ But now these days are gone. Lupo ha lo sguardo basso sul banco. Michelle è nervosa e finge di sistemare il volume. Sente che qualcosa si sblocca.
Help me if you can, I’m feeling down. Lupo ha un groppo alla gola. Michelle sente battere il cuore più forte e spera, spera, spera.
My indipendence seems to / vanish in the haze. Lupo rivede tutto ciò che ha vissuto in famiglia. Rivede tutti quei momenti in un lampo, in sequenza e poi mescolati insieme e gli pare che gli manchi l’aria. Michelle vede la sua immagine di donna disposta a dare e a chiedere aiuto.
I feel so insecure . Lupo rivede il sorriso odioso del Santo che una volta la settimana gli passa la roba. Michelle pensa con un brivido che, in fondo, quello è l’ultimo tentativo prima di perdere quel ragazzo. Talvolta anche dietro la cattedra si provano brividi.
Now I find I’ve changed my mind / I’ve opened the doors. Lupo vede il campetto dove da piccolo giocava sognando di diventare un calciatore famoso e la porta, la porta dove, se eri bravo davvero, volava il pallone. Sente per un attimo le ali che aveva il suo cuore in quegli istanti. Michelle immagina un portone antico, aperto su un campo fiorito, ombreggiato, dove riposarsi dopo una fatica. Talvolta anche una prof è stanca.
Won’t you please, please help me? Lupo sembra chiudersi in un guscio. Michelle raccoglie le forze. Deve scegliere le parole giuste da dire. Talvolta, in certi momenti, una prof non può permettersi di sbagliare! E Michelle lo sa. – Ragazzi metto qui sulla cattedra questa scatola sigillata che ha una fessura come quando si va a votare. E’intitolata “help”, sì, come la canzone. La lascio un paio di giorni e aspetto. Voi inserite i vostri biglietti in cui scriverete le vostre riflessioni sull’argomento che abbiamo trattato ma anche vostri bisogni o eventuali richieste di aiuto. Naturalmente il contenuto è privato, non vi preoccupate.
Michelle tenta di esternare normalità. Non guarda verso Lupo. Teme di spezzare l’incantesimo. Ora deve lasciare spazio ai ragazzi, alle loro chiacchiere sommesse, ai loro sguardi, ai pensieri, alle ironie per sdrammatizzare. Alcuni lasciano il loro biglietto nella scatola. Driinnnn. Fine giornata. Lupo prende lo zaino, e a testa bassa e se ne va. Michelle vorrebbe chiamarlo indietro, ma non lo fa. Talvolta anche ad una prof mancano prontezza e coraggio.
Il giorno seguente piove. Lupo è assente, il banco è vuoto. Michelle sente addosso tutto lo spleen letto nei versi del suo amato Baudelaire ed anche di più. Help! I need somebody, help! Anche lei vorrebbe gridare aiuto, urlare che si sente stanca, debole e impotente. Anche le prof a volte hanno bisogno di aiuto. – Ragazzi oggi ritiro la scatola. Avete scritto tutti qualcosa? – Già..un altro giorno è andato e tutti hanno scritto, tutti tranne lui, che neppure è venuto a scuola! Driinnnn. I ragazzi sciamano fuori dall’aula.
Michelle sale sulla sua auto ed appoggia la cartella, che oggi pare più pesante del solito -ho lasciato anche aperta la macchina! Mentre commenta fra sé, il suo sguardo cade sul cruscotto: un foglio ripiegato. Lo apre e riconosce la grafia di Lupo. Ogni prof che si rispetti, col tempo, riconosce la scrittura dei propri studenti. “Prof, quella canzone mi ha fatto capire delle cose. Sono stato in giro a pensare, per tutta la mattina, per questo non sono venuto a scuola. Se vuole vedermi sono qui, vicino al parcheggio. Ho bisogno di parlarle e di aiuto, help me, prof!” Segue un emoticon che strizza l’occhio, disegnato di fretta.
Michelle alza gli occhi: eccolo là con la sua felpa nera ed il berretto di traverso, sul volto un mezzo sorriso, mai visto prima. Michelle scende e gli va incontro. Lo abbraccia. “Ce la facciamo Lupo, questa volta ce la facciamo, non ti preoccupare!” Michelle sorride. Talvolta, grazie ai propri ragazzi, i prof. vivono emozioni che non si possono dimenticare.