Premio Racconti nella Rete 2019 “Un insolito giovedì sera” di Marco Bernabeo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019“Ciao tesoro”. Disse lui, distratto.
“Ciao amore”. Rispose lei, annoiata.
Era giovedì, e, tornati dal lavoro, come ogni giovedì sera, dopo la doccia avrebbero trascorso la loro serata “da soli”.
Giacomo aspettava Luca per le 21, Lara sarebbe passata a prendere Claudia in macchina verso le 21,30. “Tesoro, ma che hai? È un po’ di tempo che mi sembri strano”, chiese Lara, lo sguardo altrove, il pensiero distante.
“Niente, niente…”. Rispose Giacomo.
Falso.
Domande senza risposte da tempo occupavano la sua mente, ma non era certo quello il momento di parlarne con sua moglie.
Non era mai il momento di parlarne con sua moglie. E poi, mentre rispondeva, Lara era già corsa in bagno.
Il trucco prima di tutto! Pensò Giacomo, fissando il vuoto. La guardò riflessa nello specchio, ancora una gran figa.
Eppure erano mesi che entrambi non si concedevano momenti di piacere, attimi di eternità.
“Divertiti”. Fece lui, sbadigliando.
“Anche tu”. Rispose lei, assente.
Apri la porta e uscì.
Mancavano cinque minuti alle 21, aspettò Luca fumando l’ultima Winston rimastagli.
“Andiamo”, disse Luca. Entrarono così nel solito pub “del giovedì”, dove la solita ragazza avrebbe loro servito la solita pinta della solita birra doppio malto, dove avrebbero ascoltato la solita musica rock anni ’70. Era soltanto un solito giovedì sull’alzaia del naviglio milanese. Routine consolidata la loro, dapprima voluta, poi pian piano accettata, infine sopportata. Ma della quale non potevano fare a meno.
Lara e Claudia il giovedì avevano, invece, la loro serata “sciure”, nonostante non avessero ancora lo charme né l’età che fa della “sciura” meneghina un’icona.
Al glamour del centro Luca e Giacomo preferivano la verace periferia sud, dove la Milano della “City” e di Citylife lascia spazio a case basse, vecchi casolari e al fascino antico di cascine abbandonate. Là dove il Naviglio corre, lento, verso il Ticino, dove la temperatura è sempre più bassa e i rumori sempre meno forti.
Nati entrambi a “la Barona”, ne avevano affrontato la difficile vita di fine anni ’80, quando al confine tra giovinezza e maturità scattavano i primi sconvolgimenti esistenziali.
“La Barona ti forma, figlio mio” ripeteva spesso suo padre, ubriaco, quando Giacomo insisteva, invano, di non voler più abitare in quel quartiere, ma soprattutto in quella famiglia.
“La Barona” ora gli mancava così tanto che ogni giovedì, al solito, il ritrovo con Luca era fissato proprio lì vicino, nel pub pieno di ricordi.
“Ti ricordi quella volta con Lucia? A proposito, ma l’hai più sentita? Che fine ha fatto? Comunque facesti proprio una gran figura di merda!” Disse ridendo Luca, aspettandosi la stessa reazione da Giacomo. Ma così non fu.
Lucia era stata, forse, l’unico vero, grande amore di Giacomo.
La ragazza problematica, cresciuta troppo in fretta, mai diventata adulta davvero, affidabile per gli altri, non per sé stessa. Dopo anni, un discorso diverso e insolito animava la loro conversazione. Ma Giacomo non era pronto.
Non rispose. Fissò la vetrina del locale con gli occhi dritti, persi e lo sguardo nel vuoto. “China girl” di David Bowie accompagnava gli annoiati sorsi alcolici dei presenti.
Credeva, Giacomo, di aver rimosso per sempre il ricordo di Lucia, di averlo sepolto nella fossa comune tra i cadaveri della memoria.
Ma così non era.
“Luca devo andare” disse all’amico.
“Ma Giac, sono appena le dieci” Rispose lui.
“Mi dispiace…”
Mentre parlava Giacomo era già in strada.
Entrò in macchina, prese il telefono, scorse la rubrica ansimando, …Lucia…
“Pronto, chi è?” Disse Lucia, incuriosita.
“Sono Giacomo”.
Lucia non rispose subito. Un silenzio assordante.
“Cosa vuoi”. Disse lei, angosciata.
“Vederti”. Rispose lui.
“Giacomo, che vuoi”. Lui non rispose, mise in moto e partì, direzione Cremona.
“Confortably numb” e i Pink Floyd lo spinsero fuori da Milano e, in quel limbo che fa della Bassa padana una terra fertile, nacquero nella sua testa le più strane, insolite idee.
E se fosse sposata? Se avesse dei figli? Non so niente di lei da oltre dieci anni, ma voglio e devo assolutamente vederla.
Quei pensieri riecheggiarono nella testa di Giacomo.
Alle 22,50 era sotto casa di Lucia. O sotto quella che credeva essere ancora casa sua. E che, del resto, Lucia abitava ancora.
“Scendi, sono giù”. Le disse al citofono.
“No, Giacomo”, rispose lei, senza convinzione.
“Scendi Lucia”. Insistette lui. Lei non rispose. Scese le scale. Incrociandone lo sguardo di lei Giacomo si sentì mancare. Non la vedeva né sentiva da dieci anni, Lucia. E ora era ancora più bella. Era bellissima. In quei dieci, lunghi, e ora inesistenti, anni Giacomo si era costruito una carriera, una famiglia, una vita medio-borghese, tanto desiderata dal ragazzo de “la Barona” quanto odiata dall’uomo di Porta Nuova.
Lucia in quei dieci anni aveva raggiunto solo un obiettivo, vincere il concorso in magistratura. Aveva avuto storie finite male, un disagio interiore mal celato, uno smisurato orgoglio che le aveva impedito di rincorrere Giacomo e dirgli tutta la verità sull’aborto che aveva spezzato la loro storia, la loro felicità. Francesco era morto per cause naturali e non perché Lucia non lo voleva. Ma a questo Giacomo non aveva mai creduto.
“Tu e la tua famiglia del cazzo non avreste mai accettato un figlio prima dal matrimonio. L’hai ammazzato, vero Lucia?”. Le aveva sempre rinfacciato lui.
E così, piano pian, era finita. Le loro esistenze parallele erano, ora, un mare di routinaria finzione nella quale navigavano comodamente. Alla vista di lui, Lucia gli si gettò addosso. Lui provò a baciarla, ma lei si ritrasse.
Non aveva dimenticato quel maledetto, solito giovedì di dieci anni prima.
“Vado al pub, Lucia”. Le aveva detto.
Ma Giacomo aveva già le valigie pronte e un biglietto per Singapore, dal quale sarebbe tornato soltanto sei mesi dopo, sposato con Lara e con una figlia in arrivo. Che avrebbero chiamato Lucia.
“Che vuoi, Giacomo”. Gli disse, fredda.
“Voglio te.” Rispose lui, abbracciandola.
Si baciarono. Entrarono in macchina, mentre un vecchio cd dei “Clash” suonava nello stereo, tornarono a unire i loro corpi assaporando vecchie sensazioni ma provando nuove e insolite emozioni. Emozioni che entrambi credevano sepolte e che, invece, improvvisamente riemersero con forza.
“Pronto” Disse Giacomo rispondendo al telefono.
“Giacomo Stella?” chiese il dottor Minoli.
“Sì sono io”.
Riaccompagnò immediatamente Lucia a casa, arrivò a Milano che era ancora notte. Entrò dal Pronto Soccorso dell’ospedale San Giuseppe, dove erano già arrivate due colleghe e amiche di Lara. Piangevano. Salì al piano, aprì con violenza la porta della stanza. Lara era irriconoscibile.
L’impatto era stato violentissimo, nell’estremo tentativo di salvarla le avevano già amputato un braccio. Giacomo restò senza parole e senza fiato. Non aveva lacrime, né pensieri. Aveva gli stessi occhi dritti, persi e lo sguardo nel vuoto che poche ore prima gli aveva provocato il ricordo di Lucia. La sua vita, per quanto finta, ma da lui accettata, ora andava a rotoli. Sua moglie agonizzava in un letto d’ospedale, sua figlia lo aspettava a casa, ignara di tutto. Lucia, ancora una volta abbandonata, non l’avrebbe più rivisto.
Un nuovo, insolito capitolo andava scritto.
Le prime luci coloravano il cielo di quel venerdì autunnale.
Fuori dall’ospedale, in via San Vittore, c’era Giovanni, che con la sua armonica da anni allietava i passanti, chiedendo in cambio un sostegno alla sua vita. Era un venerdì mattina che avrebbe dovuto seguire un “solito giovedì sera”. Invece, da quel venerdì, tutto sarebbe diventato più insolito.
Leggo questa storia proprio all’indomani di un tremendo schianto in cui ha perso la vita una giovane donna moglie di un mio amico. Anche per lei era la serata “sicure”. Molta verità in questo racconto.